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 2021  novembre 29 Lunedì calendario

Procacci racconta la Coppa Davis del 1976

Gaia Piccardi per il Corriere

Eccola, riunita nei giorni della Davis sotto mentite spoglie al film festival di Torino da Domenico Procacci, produttore e regista di «Una Squadra», docufilm in sei puntate su Sky a primavera, la Coppa Davis che riconosciamo e amiamo, figlia unica del ‘76, Pietrangeli con la sua faccia da attore e l’arte della diplomazia con cui portò l’Italia a giocare la finale nel Cile di Pinochet («La vittoria è tutta degli atleti ma il merito di aver difeso la trasferta non lo divido con nessuno») e quattro campioni invecchiati senza perdere per strada il gusto dello sfottò. «Amici miei», con le racchette al posto degli schiaffoni nella sacca. C’è il bon vivant de noantri Adriano Panatta, il ciuffo ingrigito ma ancora morbido come certe veroniche («Abbiamo vissuto con disincanto una storia irripetibile, che nulla ha a che fare con il campionato del mondo che stanno giocando qui a Torino, almeno avessero il buongusto di levargli il nome Davis...»), c’è Paolo Bertolucci, scudiero da una vita («Invidio Volandri per l’abbondanza che può gestire ma per me la Davis è morta: peccato perché con il vecchio format la Nazionale sarebbe ancora più forte»), ci sono — seduti all’altro lato del tavolo come un tempo in spogliatoio o a cena in ritiro — Corrado Barazzutti e Antonio Zugarelli, il tignoso secondo singolarista e la riserva preziosa (sull’erba di Wimbledon contro la Gran Bretagna, nella finale della zona europea, fu proprio Tonino a battere il mancinaccio Roger Taylor). «Avete vinto la Davis senza parlarvi!», stuzzica gli impuniti il capitano. «Nella diversità dei caratteri c’era amicizia» è la volée di velluto di Panatta, ancora oggi sornione e carismatico, motore di tutta la narrazione di un’impresa lontana eppure ancora presente nella memoria collettiva, alla faccia dei social e di YouTube. È la forza di cinque personalità uniche — l’espatriato tunisino di origini nobili, il talentuoso figlio del custode del Tc Parioli, il sagace doppista di Forte dei Marmi, il terraiolo di Udine e il baffo dell’ultimo uomo scoperto da Mario Belardinelli, il venerando maestro cui tutti davano del lei — ad essersi conficcata nel cuore degli Anni 70, al centro del villaggio.

E allora, centellinata nella serie di Procacci che abbraccia un arco di cinque anni (un trionfo, tre finali: 3-1 a Sydney dall’Australia nel ‘77, 5-0 a San Francisco dagli Usa nel ‘79, 4-1 a Praga dalla Cecoslovacchia nell’80) con l’aiuto di interviste (la produzione ha riportato Fillol e Cornejo all’Estadio National de Chile) e suggestive immagini d’archivio, una pioggia di aneddoti cade su di noi, deliziandoci. Quella volta che, di ritorno da una rocambolesca esibizione in Argentina, Adriano (la mente) insistette per prendere il Concorde insieme a Paolo (il braccio), mentre Corrado ripiegava su un più lungo ed economico volo di linea. «Il Concorde da Rio de Janeiro — ricorda Bertolucci con gli occhi che ridono ormai da settant’anni — era funzionale al fatto di poterci concedere qualche ora di sole a Copacabana e passare da Parigi per portare a cena due signore a cui l’avevamo promesso...». E pazienza se il volo privato dall’Argentina al Brasile è bloccato da una tempesta che ha costretto alla chiusura l’aeroportino dei Cessna: «A sbloccare la situazione ci pensa Adriano, che offre al direttore dello scalo tutto il compenso che avevamo guadagnato con l’esibizione». Nella trasferta a Wimbledon dell’agosto ‘76 è sempre Panatta ad incaponirsi a voler giocare solo sul dritto di David Lloyd, doppista, fratello scarso di John, fino a metterlo in palla. «Chiedo perdono, è tutta colpa mia — ammette Adriano a reato abbondantemente prescritto —, sono stato un cretino». Si fa perdonare il giorno dopo, blindando il risultato con una netta vittoria su Taylor.

Si avanza così, bordeggiando tra lacrime di commozione e risate vere, tra la scorta della polizia necessaria per decollare verso il Cile tra le polemiche e la maglietta rossa in finale a Santiago, un’idea di Adriano (who else?). Come eravamo. E non saremo più.






Arianna Finos per la Repubblica
 Amici miei del Tennis. Non si vedevano da cinque anni, si sono ritrovati al Torino Film Festival i campioni della Coppa Davis, La squadra rimessa insieme dal produttore Domenico Procacci, qui regista di una versione dell’impresa del ’76 a Santiago del Cile che lascia la parola ai protagonisti: Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli e Nicola Pietrangeli, il capitano non giocatore.
Un’ora e dieci minuti (parte della serie su Sky a maggio, 6 episodi da 45 minuti) sul tennis e l’Italia dei Settanta. «Ho raccolto le loro versioni, la chiave ironica è stata una logica conseguenza», spiega Procacci. Il fondatore della casa di produzione Fandango, che negli anni ha lavorato con Muccino, Ozpetek, Ligabue, Garrone, qui cuce in una commedia all’italiana le testimonianze separate dei protagonisti, il coro contrappuntato da dispettosi controcanti. Pensato per il grande pubblico, godibile anche per chi non ama il tennis, il documentario parte dalla questione politica e diplomatica che divide l’Italia, la squadra che vorrebbe giocare nel Cile di Pinochet, i no di politici e artisti, da Fo a Modugno, mentre Tognazzi osserva: «Noi esporteremo sicuramente automobili, perché proprio Panatta non lo vogliamo esportare?». I giocatori raccontano di minacce telefoniche. La situazione si sblocca quando il partito clandestino comunista cileno fa sapere che il boicottaggio può essere strumentalizzato dal regime. «Io non mi sono mai preso il merito sportivo, ma non voglio dividere con nessuno il fatto di averli portati in Cile», dice Pietrangeli. Quel senso di appartenenza, racconta, «oggi forse si sente meno. Noi eravamo più sentimentali, la bandiera e l’inno ci commovevano. Oggi sono molto più materialisti, all’epoca portare la maglia azzurra aveva un diverso significato». Era anche una squadra squarciata dai conflitti, Pietrangeli parla di una doppia coppia che non si sopporta e non comunica. Panatta: «Con Zugarelli e Barazzutti non c’erano contrasti, ma modi di vivere diversi». Zugarelli: «Io e Barazzutti la mattina giocavamo, la sera andavamo a casa, gli altri erano scapoloni, da discoteca». Bertolucci-Panatta sono una strana coppia, vivono insieme, Panatta cucina e Bertolucci riassetta, night club e paparazzate. Aneddoti irresistibili, a Mar del Plata, dopo l’amichevole Argentina-Italia la coppia Panatta-Bertolucci rientra con un concorde, passa per Rio De Janeiro a prendere il sole, vira a Parigi per la notte con due ragazze, nello stesso tempo che impiega Barazzutti per rientrare con il volo di linea in economy. Ancora Panatta, al centro di una clamorosa scazzottata con un tifoso in tribuna, si fa arrivare dall’italia le Superga che Bertolucci per sbaglio ha portato a Berlino.
L’ultima parte è dedicata alla vittoria di Santiago, «quando siamo rientrati nessuno ci aspettava all’aeroporto» dice Panatta. E se il film si chiude sul trionfo, la serie, dice Procacci, prosegue con momenti scespiriani: l’allontanamento di Pietrangeli «che lo vivrà come un tradimento». Gli azzurri perderanno le finali del ’77 contro l’Australia, del ’79 contro gli Stati Unti e dell’80 contro la Cecoslovacchia.