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 2021  novembre 26 Venerdì calendario

La polemiche sul ministro Cingolani e le guerre puniche

Nel saggio Le due culture e la rivoluzione scientifica del 1959 il fisico Charles P. Snow raccontava della «nuova frattura venutasi a creare tra umanisti e scienziati», biasimando quei «letterati sedicenti intellettuali che, arroccati nel loro sapere erudito, si dimostravano incapaci di cogliere la portata delle scoperte scientifiche». A quei tempi non c’era Twitter, ma per mesi nelle università e nei licei non si parlò d’altro.
Le frasi pronunciate l’altra sera al Tg2 Post dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, invece – «Non serve studiare quattro volte le guerre puniche, occorre cultura tecnica. Dobbiamo formare i giovani per le professioni del futuro, quelle di digital manager per esempio» – hanno scatenato non pochi cinguettii diventando trend topic per tutta la giornata. Chi conosce bene il ministro-scienziato spiega che quella delle lezioni sulle guerre puniche replicate come una soap opera è un suo cavallo di battaglia e che fin dai tempi in cui fondò l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova ne fece il paradigma di una scuola passatista e arretrata. Ma quelle stesse frasi pronunciate da ministro in tv hanno fatto saltare sulla sedia più di un insegnante di storia e strappato un «era ora» ai colleghi nerd con cattedra scientifica.
«Il ministro Cingolani», osserva il matematico Piergiorgio Odifreddi, «ha toccato un nervo scoperto della scuola italiana, che è figlia della riforma Gentile, definita da Mussolini stesso “la più fascista delle riforme fasciste”. La separazione tra umanesimo e scienza, riflessa nella contrapposizione tra il liceo classico, per le future classi dirigenti, e gli istituti tecnici per i futuri lavoratori, è anacronistica: non esiste ad esempio nelle high school americane, dove gli studenti studiano materie sia umanistiche sia scientifiche, secondo piani di studio individuali e non collettivi». Aggiunge: «I parrucconi nostrani, che ancora pensano che il greco e il latino siano gli strumenti principali per comprendere il mondo, sono i padri naturali degli antiscientisti odierni, che da un lato diffidano dei vaccini scientifici, ma dall’altro credono nei miracoli religiosi. Urge una radicale riforma della scuola, che la metta finalmente al passo coi tempi».
Dialettica la posizione dello storico Gianni Oliva che si scandalizza di fronte alla minestra riscaldata in cattedra delle guerre puniche: «Premesso che non si insegnano quattro volte, ma tre, pensare che la storia si studi troppo al liceo è un errore, i programmi di oggi prevedono due ore di insegnamento a settimana, la seconda delle quali è spesso è sacrificata all’italiano. La scuola deve formare sì i tecnici, ma anche i cittadini, e io sono il primo a sostenere che nella scuola secondaria si potrebbe fare a meno delle guerre puniche, infatti auspico che il programma delle superiori cominci dalla Rivoluzione francese per arrivare poi al presente del mondo globalizzato». Forte della sua esperienza da preside, incalza: «Volendo privilegiare il sapere scientifico e tecnico bisogna però cominciare dalle basi, vale a dire dalle strutture di cui dovrebbero essere dotate tutte le scuole, a partire da un computer per ogni studente».
È invece tranchant il geologo Mario Tozzi: «Con queste dichiarazioni Roberto Cingolani ha dimostrato di non essere il ministro giusto per seguire le materie ambientali. L’ambiente è questione di cultura, non solo di cultura tecnica. Non sapremmo molto del clima utilizzando soltanto i satelliti senza conoscere lo sviluppo storico dei fenomeni. E anche le guerre puniche sono espressione della storia della Terra: se non ci fosse stata una certa conformazione geologica, in quel punto Cartagine non ci sarebbe stata e avremmo parlato di un’altra storia degli uomini».
Chi si è dedicato con passione allo studio delle guerre puniche come Giovanni Brizzi, professore di Storia romana all’Università di Bologna, respinge con eleganza l’attacco di Cingolani: «Le materie tecniche sono senz’altro importantissime, ma attenzione: privilegiando solo queste può finire come ai primordi della Royal Society, quando si privilegiava l’industria alla scienza, finendo col nominare presidenti uomini provenienti dalla finanza e dall’economia e in qualche modo emarginando un genio come Isaac Newton, uomo della grande sintesi». Conclude: «Ciò detto, conoscere la storia, e in particolare quella delle guerre puniche, può essere molto utile anche per leggere la modernità o indurci a scoprire la ragione che rese possibile la vittoria di Roma su Cartagine, ovvero la straordinaria capacità della prima di assorbire le popolazioni dell’Italia centrale che ne avevano fatto una civitas, mentre Cartagine era rimasta una polis dalle risorse umane infinitamente inferiori». A sorpresa, con il ministro della Transizione ecologica si schiera invece Paolo Mieli che ieri su Twitter ha scritto: «Fanno discutere le parole di #Cingolani sulle guerre puniche, da storico dico che ha perfettamente ragione; io dovrei dire “la storia non si tocca”, invece penso che la storia a scuola vada fatta bene, fare più volte le guerre puniche significa farla male».