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 2021  novembre 24 Mercoledì calendario

Erdogan difende i tassi bassi, manda la lira in caduta libera e invoca «l’aiuto di Allah per vincere questa battaglia economica»


Un tragico esperimento naturale. Questo sta diventando la Turchia che, inseguendo un’ipotesi un po’ astratta dalle vaghe evidenze empiriche, sta facendo il contrario di quanto consiglierebbe una sana gestione della politica monetaria: di fronte a un’inflazione in forte crescita, invece di alzare i tassi – innescando, è vero, una piccola recessione – li sta abbassando.
La lira turca, valuta di un paese aperto agli scambi commerciali quanto la Francia e la Gran Bretagna (l’indice dell’apertura al commercio è intorno al 46% per tutti questi paesi), ha ulteriormente perso terreno: il 15% solo ieri, il 22% circa in una decina di giorni, il 33% da inizio settembre, da quando la banca centrale ha iniziato una nuova fase di tagli dei tassi, che ora hanno raggiunto i quattro punti percentuali: sono flessioni di dimensioni rare sul mercato valutario. Il forte rischio – ma si potrebbe dire la quasi certezza – è quello di alimentare ulteriormente l’inflazione, in breve tempo, comprimendo i salari reali.
La scommessa economica di Erdogan è stata affidata tutta a questa ricetta anticonvenzionale. Per adottarla, il presidente turco ha “licenziato” tre banchieri centrali, stracciando ogni parvenza di indipendenza dell’autorità monetaria. L’ultimo crollo, ieri, è stato scatenato proprio da un discorso di Erdogan: «La forza competitiva del cambio porta a un aumento di investimenti, produzione e occupazione», ha detto lunedì, entusiasmato dall’aumento del 20% delle esportazioni a ottobre: un incremento che ha spinto lo stesso governatore Sahap Kavcioglu a dire: «Quando raggiungeremo il surplus otterremo stabilità finanziaria e dei prezzi».
Nel suo discorso politico, Erdogan è andato anche oltre: ha parlato di «giochi» contro la valuta, e ha aggiunto: «Non appena faremo uscire il nostro paese da così tante trappole e sventure, con l’aiuto di Allah e il sostegno del nostro popolo, emergeremo vittoriosi da questa guerra economica di indipendenza». Il governo di Ankara non può ignorare infatti il peso di 167 miliardi di dollari di debiti con l’estero a breve termine, ma sembra voler dimenticare che la flessione del cambio peggiora le cose.
Erdogan, da sempre, fa appello a una teoria economica alternativa. «Abbiamo visto che la teoria secondo la quale l’inflazione può essere abbassata solo con un irrigidimento monetario non ha basi se non nelle economie chiuse – ha detto lunedì -. Io rifiuto le politiche che portino a una contrazione delle nostre economie, come gli economisti desiderano, la indeboliscano e condannino il nostro popolo alla disoccupazione, alla fame e alla povertà».
Il fatto che le politiche anti inflazionistiche generino irecessione è vero, ed è il motivo per il quale i governi dovrebbero mantenere in ordine i conti pubblici ed evitare ogni squilibrio nella politica economica in primo luogo. Mantenere i tassi bassi peggiora semplicemente la situazione.
Esiste, è vero, un’ipotesi macroeconomica, con scarsissime conferme empiriche – a parte i lavori di qualche economista... turco – che sostiene una politica monetaria uguale a quella voluta da Erdogan. È la teoria neofisheriana, dal nome di Irving Fisher, economista americano morto nel 1947. Partendo da una sua equazione – i tassi nominali sono approssimativamente uguali ai tassi reali più l’inflazione – se si ammette che i tassi reali sono definiti dell’economia reale e restano fermi si può avanzare l’ipotesi che abbassare i tassi può abbassare l’inflazione. La politica convenzionale pensa invece che una stretta aumenti i tassi reali e abbassi l’inflazione.
L’ipotesi, così descritta, è un mero gioco tra simboli algebrici, e richiede di esplicitare i meccanismi economici di fondo. Durante la lunga fase di bassa inflazione, per esempio, la Fed di St. Louis, attraverso i lavori del presidente James Bullard e dell’economista Stephen Williamson – il grande sostenitore di questa ipotesi – aveva valutato questa idea. La proposta era – al contrario di Erdogan – di alzare moderatamente i tassi e poi tenerli fermi, alimentare per questa via le aspettative di inflazione, e ottenere quindi un aumento dei prezzi. Anche Thomas Hoenig, della Fed di Kansas City aveva espresso un’idea simile. Una politica “tradizionale” (tecnicamente: che segue la regola di Taylor) – era il punto di partenza – comporta il rischio di intrappolare le economie in una fase di bassa inflazione e bassa crescita. Come il Giappone, come Usa e Uem negli anni scorsi.
Poco si era detto, però, del caso opposto, dell’alta inflazione, anche se Williamson non aveva escluso questa possibilità. Per Erdogan, alle prese con un’economia in forte squilibrio, l’ipotesi è apparsa come una via di uscita da un’impasse politica. Ora tutta la Turchia è un esperimento naturale. Quasi sicuramente tragico.