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 2021  novembre 24 Mercoledì calendario

Femminicidi, le falle nelle leggi a difesa delle donne

Se in soli 11 mesi ci sono già stati 109 femminicidi, se le vittime di violenza sono 89 al giorno, se solo il 15% delle donne denuncia gli abusi prima di venire uccisa, se le misure di sicurezza e quelle facoltative vengono applicate in pochissimi casi e nelle sentenze dei tribunali si legge che le vittime "provocano" o si parla di "relazioni burrascose" davanti ai maltrattamenti, qualcosa non sta funzionando. Dall’omicidio d’onore, l’Italia si è dotata di un poderoso patrimonio legislativo contro gli uomini violenti ma poi c’è Juana Cecilia Hazana Loayza, morta ammazzata in un parco di Reggio Emilia per mano del suo ex, Mirko Genco, già condannato per atti persecutori contro di lei, già denunciato dalla precedente compagna, orfano a sua volta di un femminicidio.

La relazione della Commissione d’inchiesta sul femminicidio restituisce l’immagine di un Paese in cui le donne non sono ancora sufficientemente tutelate. O meglio, spiega la senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione, «gli strumenti ci sono — dall’allontanamento dell’uomo violento al braccialetto elettronico — ma raramente vengono utilizzati. Bisogna saper leggere correttamente il fenomeno, che risiede nella sperequazione di potere della relazione uomo- donna, nella visione patriarcale delle società. Serve la specializzazione dei tribunali, la formazione delle forze dell’ordine, dei giudici, degli avvocati, dei medici e degli insegnanti».


Poche denunce
La Commissione sui femminicidi ha preso in esame un solo bienno, il 2017-2018, quando le donne uccise sono state 216, più della metà dai partner. «Il 63% delle donne uccise non aveva parlato con nessuno della violenza. Solo il 15% aveva denunciato l’autore — spiega Linda Laura Sabbadini, direttora centrale dell’Istat che ha curato parte del rapporto — Due dati molto gravi che chiamano in causa tutti noi: padri, madri, amiche, amici». A volte, si legge nel report, il racconto a una persona fidata, una mamma, una zia diventa la prima e troppo spesso l’unica esternazione della violenza subita. Nella maggior parte dei casi, lo sfogo non si traduce in denuncia. «Ma chiamate in causa — aggiunge Sabbadini — sono anche le istituzioni che non riescono a raggiungere donne che ne hanno bisogno».


Il rischio sottovalutato
Poi ci sono quelle che denunciano: minacce, lesioni, tentati di strangolamenti con tanto di certificati medici. Reati gravi che farebbero scattare anche misure cautelari. E invece «da parte dell’autorità — dicono le commissarie — non vi è stata un’adeguata valutazione della violenza». E quelle donne sono morte. Ma se le querele sono così rare è evidente che quando le vittime trovano il coraggio la situazione è drammatica. «Il 79% delle uccise che aveva denunciato aveva indicato di temere per sé e i figli. La maggioranza aveva sporto più di una denuncia, segno di una piena escalation della violenza. Le donne devono essere credute » sottolinea Sabbadini. Ma nei centri più piccoli, in cui si conoscono tutti, vengono dissuase. «Il femminicidio — dice Antonella Veltri, presidente della rete anti violenza D.i.Re — non è un evento imprevedibile. Le donne uccise avevano cercato aiuto, si erano separate dai maltrattanti, a volte erano stati emessi provvedimenti. Non è bastato. Manca la valutazione del rischio: va fatta con i centri anti violenza che usano una metodo consolidato per scegliere il livello di protezione di ogni donna».


Pene e attenuanti
Sui 118 processi arrivati a sentenza per i femminicidi considerati dalla Commissione parlamentare, ci sono state 98 condanne, 19 assoluzioni, un patteggiamento. «Sono di meno gli autori condannati a ergastolo e a 30 anni di quelli condannati a meno di 20 anni», dice Sabbadini. Pene inferiori a quelle attese per via del rito abbreviato, poi cancellato dal "Codice rosso", e delle attenuanti. «Preoccupanti », le definiscono le commissarie. A leggerle si trovano anche «l’essere un ottimo lavoratore attaccato alla famiglia» o «i problemi economici e di salute della moglie», uccisa.


I figli orfani o sottratti
Anche i bambini diventano vittime della stessa violenza: uccisi dai padri, orfani di madri (169 in quei soli due anni) o sottratti alle donne che denunciano i violenti. Come nel caso di Laura Massaro, una sopravvissuta della violenza, che lotta da anni per stare con suo figlio. «Il processo penale per violenza e quello civile di separazione seguono strade separate: un uomo violento può essere considerato un buon padre a cui affidare i bambini — spiega Valente — Così le donne non denunciano anche per paura di perdere i figli».