Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  novembre 21 Domenica calendario

Biografia di Luisa Ranieri raccontata da lei stessa

“Abitavo di fronte al tribunale e andavo a spiare le udienze dei processi penali», racconta Luisa Ranieri, 48 anni tra un mese, attrice napoletana. Studiava Giurisprudenza: «Dai diciannove ai ventidue anni, con in tasca il diploma di operatrice turistica».
Dopo è stata un’altra vita.
Che cosa l’affascinava del diritto?
«Mi piaceva l’utopia della giustizia, potere tenere assieme una società attraverso le leggi, ma anche la ricostruzione della verità non oggettiva, ma processuale. Vedevo nel mio futuro una carriera di magistrato o di avvocato penalista. Poi ho incontrato il teatro e sono caduta nella sua trappola».
Per “colpa” di chi?
«È stato un tentativo terapeutico. Ero molto timida e non riuscivo a parlare in pubblico, neppure davanti ai miei compagni di classe. Un paio di volte mi è capitato di svenire di fronte al professore di italiano che mi interrogava.
All’università questo problema è aumentato e mi limitava in maniera importante. Fu un mio caro amico, Vittorio Carità, scomparso quest’anno, a portarmi assieme a lui a un corso di teatro.
Vedrai, mi disse, ti guarirà».
Funzionò?
«Devo ammetterlo, funzionò.
Studiavo legge la mattina, lavoravo in ufficio con il mio papà al pomeriggio e la sera seguivo i corsi di teatro. A un certo punto mi prese la voglia di andare via di casa e mi trasferii a Roma. Cominciai a fare pubblicità per mantenermi gli studi. Poi qualcosa è andato storto, o dritto, e eccomi qua».
Anto’, fa caldo…che cosa ha significato quello spot?
«Beh, l’inizio di tutto».
Poi fu Pieraccioni con “Il principe e il pirata”.
«Gli fui segnalata da una responsabile del casting che mi aveva visto in uno spettacolo al teatro Colosseo. Pieraccioni venne di persona a controllare e passai l’esame. Poco dopo Antonioni mi scritturò per un episodio di Eros».
Qual è il colore di Napoli?
«Il blu, il colore del mare di Sant’Angelo d’Ischia dove passavamo le vacanze. Duravano tre mesi. Un periodo che ricordo come il momento dell’innocenza e della spensieratezza, la stagione delle prime amicizie, dei primi amori. Il mio si chiamava Luca, era un ragazzino biondo. Avevo appena nove o dieci anni e non gli interessavo. Fu la mia prima delusione sentimentale».
Esiste davvero la napoletanità?
«È un modo di pensare, di sentire, un forte senso di appartenenza. È una lingua, una musica, sono la tragedia e la risata, pensi a Totò e Eduardo. Siamo napoloidi, per dirla con Erri De Luca».
Che cosa le ha dato la famiglia?
«Devo risponderle al plurale. Ho avuto due famiglie. I miei genitori si sono conosciuti e sposati troppo giovani, è stato un matrimonio di grande passione anche se immaturo e difficile. Hanno avuto tre figli, dopo otto anni la separazione. Poi è arrivato Alberto, il mio secondo papà. La mia è ora una famiglia della media borghesia napoletana. Padre imprenditore e mamma Linda, una forza della natura, casalinga. Mi hanno insegnato la semplicità».
Il mondo è finalmente delle donne?
«No, non credo. Siamo soltanto in cammino».
Vorrebbe una donna al Quirinale dopo Sergio Mattarella?
«Perché no. Eppure nella discussione politica non c’è un partito che abbia indicato il nome di una donna! Il potere è maschile.
Ma le pare normale? E poi tutti i giorni ci sono notizie di mogli e fidanzate uccise dagli uomini.
Serve una rivoluzione culturale che diventi giuridica e che abbracci tutti i campi della vita privata e pubblica. Serve un cambio di mentalità».
Quali sarebbero i vantaggi di un governo mondiale a maggioranza femminile?
«Lei mi porta nella fantascienza. Le donne per natura o per educazione tendono a non fare la guerra, a non usare la violenza, ma la strategia, il pensiero. Vedono lontano, sono pratiche, sanno cosa vuol dire prendersi cura degli altri, quello che dovrebbe fare la politica. Sono per forma mentis portate a costruire e a progettare il futuro: lo fanno come mogli, madri e come donne».
Ha mai dovuto pagare un prezzo per lavorare?
«Non sono mai stata molestata, ma questo non vuol dire niente perché il fenomeno esiste e non solo nel mondo del cinema».
Il #MeToo è arrivato dopo anni di silenzio. Perché?
«Dietro la nostra cultura si nasconde comunque un pensiero maschilista: te la sei cercata, ti faceva comodo. E poi c’è il senso di colpa cattolico, quindi non era facile parlare. Se le donne in Italia lo hanno fatto solo dopo che negli Stati Uniti è esploso il caso Weinstein è perché si sono create le condizioni, e quelle che hanno trovato il coraggio di denunciare si sono sentite all’improvviso autorizzate a parlare, perché capite e finalmente accolte».
Quando è nato l’amore con Luca Zingaretti, ora suo marito?
«Ho incontrato Luca nel 2004 sul set di Cefalonia. Ne subivo il fascino. È un uomo introverso e io sono sempre stata attratta dalle persone che tacciono, che ascoltano più che parlare. Agli inizi non lo pensavo come un possibile fidanzato, poi sono capitolata: nei suoi occhi ho sentito che c’era qualcosa che ci univa, un senso di familiarità. Come se non ci fossimo trovati, ma ritrovati».
Se potesse, che cosa cambierebbe della sua vita fin qui?
«Guardi, ho due bambine. Emma ha dieci anni e Bianca sei. Oggi penso che avrei potuto fare più figli. Non è un’esigenza che avevo nel Dna. Prima di incontrare Luca non avevo mai pensato seriamente di diventare madre. È stato lui a mettermi davanti all’interrogativo, io ogni volta rimandavo. Ora mi sono pentita di non avere cominciato prima. Pensavo di conoscermi e invece ho scoperto tutta una parte di me che ignoravo.
Ma difendo il diritto delle donne di non essere madri. La maternità non definisce e non completa, come spesso si dice, una donna. Le persone sono universi che trovano in sé le loro motivazioni e nessuno ha il diritto di giudicarle».
Lei è nei film “E’ stata la mano di Dio” e in “7 donne e un mistero” di Alessandro Genovesi che uscirà a Natale. Come è stato lavorare con Paolo Sorrentino, un altro napoletano?
«Paolo è un regista che non fa chiacchiere, ha tutto nella testa. Ti dà poche indicazioni ma capaci di farti entrare immediatamente nel mondo del personaggio che stai interpretando. Ma la cosa che mi ha più colpita, oltre la maestria, è stato l’ordine. È un aspetto raro nel cinema. Lui lavora nell’ordine. E io, che amo molto l’ordine, ne sono rimasta estasiata».
Ha mai pensato, anche per una volta sola: diventerò la nuova Loren?
«Scusi se rido. Io Sophia Loren non ho nemmeno avuto la fortuna di conoscerla».