Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  settembre 14 Martedì calendario

Biografia di Tommy Lee Jones

Tommy Lee Jones, nato a San Saba (Texas, Stati Uniti) il 15 settembre 1946 (75 anni). Attore. Regista. Tra i riconoscimenti conseguiti, un premio Oscar come miglior attore non protagonista nel 1994 per Il fuggitivo di Andrew Davis e un premio all’interpretazione maschile al Festival di Cannes nel 2005 per Le tre sepolture, da lui stesso diretto. «Ho lavorato con una cinquantina di registi e ho fatto attenzione sin dal primo giorno. È stata questa la mia educazione professionale. […] Ho visto almeno una cinquantina di errori possibili e cinquanta modi di ottenere un risultato. Dirigere non è difficile: basta lasciare fuori i possibili errori» • Figlio di un operaio del settore petrolifero e di una poliziotta, coppia irrequieta al punto di essersi sposata per due volte e per due volte aver divorziato. «Come migliaia di altre famiglie del Texas, il clan Jones affrontò grandi cambiamenti a causa del business petrolifero, con il quale Tommy Lee ha ancora legami finanziari. La famiglia si trasferì a Midland, dalla piccola comunità di allevatori di Benjamin, e da Midland alla Libia (questo avveniva prima dell’èra Gheddafi)» (Gary Vorhes). «“Il primo film che ho visto è stato in un cinema nella cittadina di Rotan. Era un biglietto doppio, per un vecchio film di Tarzan e un film intitolato La maschera di cera. È stata un’esperienza enorme. […] Osservavo questo edificio ogni volta che ero in quella cittadina. Sapevo che lì stava succedendo qualcosa, e pensavo di averlo capito abbastanza bene finché non sono entrato e la faccia di un ragazzo si è sciolta, e Tarzan è stato circondato dai pigmei della tribù, e la grande scimmia ha cercato di ucciderlo. È stata un’esperienza fantastica. Ero un po’ vecchio per essere così ingenuo, probabilmente sui 5 o 6 anni. Ricordo che, quello stesso giorno, mi ero unito a una squadra di baseball – quella che chiameresti Little League –, e a tutti era stato dato un berretto arancione. Portai il mio con me al cinema, e mi spaventai così tanto che morsi il bottoncino sulla parte superiore, e mi vergognai quando l’indomani andai al campo da baseball non avendo più il bottone sul mio berretto nuovo”. […] “Ho sempre desiderato di essere un attore. Da bambino ero un soldatino da cortile molto entusiasta e piuttosto istrionico. Mi piacevano le recite scolastiche, in seconda e terza elementare: pensavo fosse un’esperienza meravigliosa. Metteva i brividi. Il mondo dell’immaginazione mi affascinò molto presto”. […] Hai visto qualche messinscena teatrale da piccolo? “Non ho mai visto alcuna seria messinscena teatrale, al di là delle piccole recite scolastiche, dove interpreti una talpa che è stata accecata dal sole ed è tenuta prigioniera dal dio del granturco: qualche mito pseudo-nativo americano, trasformato in una piccola recita scolastica. O Biancaneve e i sette nani, messa in scena da tutta la seconda elementare di Rotan. Io interpretavo Eolo”» (Carole Zucker). «“La presi molto seriamente. In realtà, quella commedia ha segnato anche l’inizio della mia carriera nei media, perché […] portarono l’insegnante, che era anche il regista, e i sette nani nella stazione radio e ci misero tutti in fila, presentando ogni attore e dicendogli di fare qualcosa tipico del suo personaggio. E quando chiamò il mio nome, naturalmente, starnutii. […] Avevo sette anni. Sono un attore da allora, davvero”. Qual è stata la prima commedia seria in cui ricordi di aver recitato? “Beh, i miei genitori andarono in Libia. Mio padre lavorava nel settore petrolifero. Io stavo per entrare in prima media e sapevo che non giocavano a football americano in Libia, quindi non volevo andare. Trovammo una scuola preparatoria a Dallas, dove prendevano molto sul serio i compiti a casa. Mi dovetti veramente sforzare per adattarmi a questo. Ma prendevano sul serio anche il teatro… […] Un giorno stavo passeggiando per il campus e, solo per curiosità, aprii la porta del teatro per dare un’occhiata. Vidi che stavano provando uno spettacolo, e mi sembrò piuttosto interessante. Mi sembrò piuttosto bello. E dissi: “Questo è probabilmente qualcosa che voglio fare”. E la recita successiva che fecero fu una bella recita per una scuola preparatroria per ragazzi… […] Era The Caine Mutiny Court-Martial [adattamento teatrale del romanzo L’ammutinamento del Caine curato dallo stesso autore, Herman Wouk – ndr]. […] Il set è solo un’aula di tribunale. Tutti i costumi sono uniformi color kaki, tutte le parti sono maschili. Interpretai il giovane tenente, Stephen Maryk”» (intervistatrice d’eccezione Meryl Streep). Grazie alla sua bravura come giocatore di football americano, ottenne una borsa di studio per l’Università di Harvard, dove continuò ad affiancare all’attività atletica quella teatrale. «Il mio primo dramma fu probabilmente uno di quei drammi di Pinter: Il guardiano. Ho fatto tre drammi di Pinter mentre ero lì. Due anni di repertorio estivo e tanti altri drammi. Quando sono arrivato a New York, ne avevo fatti più di 20». Suo compagno di stanza ad Harvard era il futuro vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore, da allora suo grande amico. «“Quando eravamo compagni di studi e di stanza all’Università di Harvard, dove mi sono laureato in Lettere, io giocavo a football e lui leggeva molti libri. […] Si studiava, ma si facevano lunghe escursioni in canoa, gite sterminate nei boschi, a contatto con la natura”. […] Un antico “fraterno legame”, il loro: ispirò lo scrittore Erich Segal nella stesura del bestseller Love Story, che nella versione cinematografica riservò allo stesso Tommy Lee Jones il ruolo del “rubacuori” accanto al protagonista Ryan O’Neal» (Giovanna Grassi). In proposito, nel 2000 lo stesso Segal, smentendo almeno in parte quanto poco prima sostenuto dall’allora vicepresidente Al Gore nel corso della campagna per le elezioni presidenziali, chiarì che «non lui, ma il suo compagno di stanza all’università, l’attore Tommy Lee Jones, allora un prestante studente, fu il modello per Oliver, il protagonista maschile del romanzo Love Story, interpretato nel film da Ryan O’Neal. […] “In Oliver non c’è molto di Gore”, ha dichiarato il romanziere al New York Times. “C’è solo la figura del padre, che fu un potente senatore. Oliver è soprattutto Tommy Lee Jones, che era un macho dal cuore di poeta”. […] “Oliver lo stallone sensibile”, ha dichiarato testualmente, “è Tommy Lee Jones. Oliver lo snob, che avverte il peso della propria dinastia, è Al Gore. […] Mi colpirono entrambi, e decisi di farne un personaggio unico”» (Ennio Caretto). «Jones concluse la sua carriera universitaria con una laurea in Inglese, diplomandosi con lode nel 1969. Ancora rompendo gli schemi, si trasferì a New York subito dopo la laurea, ottenne il suo primo lavoro nell’arco di dieci giorni e trascorse diversi anni a perfezionare le sue abilità sul palco» (Vorhes). «Fece subito il suo debutto a Broadway in Un patriota per me, apparendo lo stesso anno in una produzione off-Broadway di In disgrazia alla fortuna e agli occhi degli uomini. Il suo primo ruolo cinematografico arrivò l’anno successivo come coinquilino di Ryan O’Neal in Love Story (1970). […] Jones continuò a lavorare sul palco, nei film e in televisione, prendendo parte per quattro anni a Una vita da vivere. Il suo primo lavoro importante in televisione fu nel ruolo del protagonista del film televisivo The Amazing Howard Hughes (1977). Due dei ruoli più cruciali di Jones arrivarono ​​nei primi anni ’80: il marito di Sissy Spacek (Loretta Lynn) Doolittle “Mooney” Lynn in La ragazza di Nashville (1980) e in televisione come Gary Gilmore in un adattamento di Il canto del boia di Norman Mailer (1982), per il quale fu premiato con un Emmy. […] Un altro punto di svolta nella sua carriera fu la sua memorabile resa di Woodrow F. Call nella miniserie Colomba solitaria (1989), dove riuscì a incarnare il Texas del nostro immaginario collettivo. Questo fu seguìto dalla sua sorprendente interpretazione dell’omosessuale Clay Shaw in JFK di Oliver Stone (1991), per il quale Jones ricevette una lungamente attesa candidatura all’Oscar. Jones consolidò la sua carriera con le sue apparizioni in due mega-successi, in Trappola in alto mare (1992) come psico-terrorista rock’n’roll e come l’ufficiale Gerrard in Il fuggitivo (1993), per il quale ricevette il premio Oscar per il miglior attore non protagonista» (Zucker). «Quando Jones accettò il suo Oscar, […] fece un discorso molto breve. “Questo è il più grande premio che un attore possa ricevere”, disse. “L’unica cosa che un uomo può dire in un momento come questo è: ‘Non sono veramente calvo’”. Questo perché all’epoca era calvo per interpretare il ruolo della dotata e infelice leggenda del baseball [Ty Cobb (1886-1961), in Cobb di Ron Shelton – ndr]» (Roger Ebert). «Si riunì con Stone in Tra cielo e terra (1993) e Assassini nati – Natural Born Killers (1994). Jones ha anche interpretato la parte di un attentatore irlandese in Blown Away – Follia esplosiva (1994), un avvocato che cita la Bibbia in Il cliente (1994) e l’eponimo antieroico giocatore di baseball in Cobb (1994)» (Zucker). La maggior popolarità gli giunse tuttavia qualche anno dopo, grazie a un ruolo molto diverso dai precedenti. «Doveva essere un piccolo film, due ore di svago fondate su un corpo di polizia segretissimo di uomini vestiti solo e rigorosamente di nero che non abbandonano mai i loro occhiali scuri e la cui missione è quella di proteggere la Terra dalla minaccia di alcune bizzarre creature extraterrestri. Quando è uscito, nel ’97, Men in Black è diventato invece un fenomeno che ha raccolto in giro per il mondo 600 milioni di dollari. […] Ma la vera svolta è venuta per Tommy Lee Jones, il burbero poliziotto de Il fuggitivo, trovatosi dopo 20 anni di carriera al suo primo ruolo comico» (Lorenzo Soria). «Insieme a Eastwood […] ha poi girato Space Cowboys (2000), forse il film che ha dato inizio alla stagione dei ruoli della “maturità”. Sacrificarsi per gli amici, come alla fine del film, è solo la variante estremizzata della coscienza morale che caratterizza i ruoli di Tommy Lee Jones. Perfino quando interpreta la parte del duro, come ne Il fuggitivo, sembra non essere privo di morale. […] Jones reinterpretò il ruolo del Marshal Samuel Gerard de Il fuggitivo per U.S. Marshals (1998), e ne La preda di William Friedkin (2003) interpretò nuovamente uno stoico “cacciatore” di uomini – con la differenza che il personaggio ha un risvolto tragico. […] Insieme a Friedkin, Jones aveva precedentemente girato Regole d’onore (2000), la pellicola di guerra definitiva del cinema post-classico. Interpreta il ruolo di un veterano del Vietnam che deve difendere in tribunale l’uomo al quale aveva salvato la vita nella giungla» (Thomas Klein e Ivo Ritzer). «Jones […] ha anche lasciato il segno interpretando uno sceriffo in Non è un Paese per vecchi […] e un padre in lutto che indaga sugli inquieti veterani della guerra d’Iraq in Nella valle di Elah. Alcuni pensano che il suo deputato abolizionista Thaddeus Stevens, un ruolo candidato all’Oscar, abbia rubato Lincoln a Daniel Day-Lewis» (Rory Carroll). Nel 2005, dopo alcune esperienze televisive, il suo debutto nella regia cinematografica, con l’acclamato Le tre sepolture, «grandioso neo-western: […] porta il cadavere del suo amico messicano e il suo assassino dal Texas al Messico, patria dell’uomo ucciso. Nonostante il cadavere sia soggetto a una decomposizione sempre più avanzata, fa di tutto per portarlo a destinazione nel modo più dignitoso possibile, lì dove voleva essere sepolto. Del tutto irremovibile. È la legge dei cowboy: niente vale tanto quanto l’amicizia e quanto una promessa» (Klein e Ritzer). Molto apprezzata dalla critica anche la sua seconda regia cinematografica, The Homesman, candidato alla Palma d’oro al Festival di Cannes del 2014: «Un western sovversivo, […] che esplora la condizione femminile nelle asprezza della frontiera, nel Nebraska degli anni Cinquanta dell’Ottocento. Hilary Swank interpreta una resiliente e solitaria donna single che arruola il burbero usurpatore di terreni Jones perché la aiuti a riportare tre donne malate di mente alla civiltà. “Il nostro film è l’opposto del western convenzionale”, afferma Jones. “Riguarda le donne, non gli uomini; tratta di pazzi, non di eroi; stanno viaggiando verso est, non verso ovest; e abbiamo una prospettiva diversa su quello che è stato chiamato destino manifesto”» (Carroll). «Un film che prende contropelo l’epica western, ritrovandone da una parte le storie quotidiane di vita vissuta e spogliandole dall’altra di quell’aura eroica che aveva spesso appassionato i fan ma che aveva rischiato di diventarne anche un limite» (Paolo Mereghetti). Tra le ultime pellicole cui Jones ha preso parte in veste di attore, Attacco alla verità – Shock and Awe di Rob Reiner (2017), Ad Astra di James Gray (2019) e C’era una truffa a Hollywood di George Gallo (2020) • Attualmente al terzo matrimonio. Due figli dalla seconda moglie • Grande passione per i cavalli e per il polo. «Sono in grado di cavalcare, sparare, allevare gli animali e prendermi cura di un ranch». «Sto bene in Texas, dove sono cresciuto, in una famiglia di agricoltori e proprietari di ranch: ho vissuto con i cavalli e il bestiame tutta la vita. Ma sto bene a New York, a Los Angeles, in Nuovo Messico. Anche in Argentina, dove abbiamo una proprietà, e dove compriamo cavalli purosangue, li alleviamo e li alleniamo per il polo» • «A parte un discorso alla nomina presidenziale democratica di Gore del 2000, il cowboy del nuovo West, come è stato soprannominato, ha mascherato le sue convinzioni politiche. Liberale o conservatore, libertario o paternalistico, colomba o falco, non è mai stato chiaro. Jones detesta l’intrusione in quella che considera la sua sfera privata. […] Riguardo al riscaldamento globale – un argomento intrigante da quando è stato protagonista di annunci pubblicitari per l’industria petrolifera e del gas del Texas, ma ha anche fatto una spedizione ecologista in Antartide – dice solo: “Penso che qualsiasi persona pensante dovrebbe essere preoccupata per il cambiamento climatico”» (Carroll) • Estremamente riservato. «Si esprime con poche parole, caustico e graffiante come molti dei suoi personaggi» (Soria). «Mantiene l’opacità con una brutalità leggendaria – alcuni dicono bullismo –, che ha intimidito colleghi, fan e intervistatori allo stesso modo, riducendo alcuni alle lacrime» (Carroll). «Terrore dei giornalisti, col suo disgusto per i quesiti personali o poco acuti, probabilmente da quando fece piangere un’intervistatrice del magazine GQ contestando ogni sua domanda mentre rompeva delle noci con la mano o da quando lasciò la sala stampa senza proferire parola, in risposta a chi gli chiedeva se credesse o meno negli alieni» (Gianluca Gervasoni) • «L’ultimo cowboy di Hollywood. […] Mai una frase di troppo. Non parole, ma fatti. […] La sua mimica facciale vive del minimalismo più puro. […] Il suo volto ha i contorni di un aspro paesaggio naturale. Profondi solchi attraversano il viso per lungo: […] sulla guancia sinistra un’incrinatura particolarmente profonda, che ricorda un crepaccio. Un primo piano di Tommy Lee Jones è come uno sguardo lanciato da una grande altezza, su un canyon attraversato dai letti prosciugati dei fiumi» (Klein e Ritzer). «C’è il volto. Un testamento scosceso e esposto alle intemperie degli elementi che potrebbero fermare un orologio. Ci sono gli occhi neri, una volta paragonati a minuscoli pozzi di petrolio, e le mani massicce e coriacee che gli spuntano dalle maniche. C’è la voce, uno strumento scoppiettante ricoperto della polvere e del tintinnio di un texano di ottava generazione. E c’è la personalità silicea, tagliente, frastagliata, inflessibile. […] C’è una crudezza sabbiata che pochi altri eguagliano perché Jones è una cosa rara, un autentico solitario. La sua intensità infonde ai ruoli una bussola morale anche quando interpreta il cattivo» (Carroll). «Attore con una forte personalità. […] Jones ha una presenza cupa, potente e, a volte, minacciosa, che nasconde tanto quanto rivela» (Zucker). «Con Tommy Lee Jones, un attore grandioso, si lavora al meglio. […] Tutti gli altri attori mi chiedono infatti, quando giriamo una scena, in che modo il loro personaggio è arrivato a quel punto, che cosa faceva all’età di 10 anni, ecc. […] Tommy Lee Jones non fa domande. A lui si dice solo: raggiungi la porta, cammina lentamente, fermati lì, recita la battuta ed esci dall’inquadratura. E lui dice “Okay” e lo fa. […] Ed è così che i film dovrebbero essere girati!» (William Friedkin) • «Se parlassi con un giovane attore agli inizi? […] “Direi: […] coltiva la tua mente in ogni occasione e amplia la tua educazione. Cosa intendo per educazione? È il classico concetto di educazione-apprendimento liberale. Lo studio della storia, della scienza, in particolare della lingua inglese, della storia dell’arte, della storia dell’estetica, non poco della religione. Studia quelle cose, perché informano il tuo lavoro. È la mente che darà al tuo lavoro qualsiasi tipo di ampiezza o scopo o scopo o servizio”» (Zucker) • A proposito della sua prima volta dietro la macchina da presa, ha dichiarato: «È stato uno dei giorni più felici della mia vita. Volevo vedere crescere la mia immagine: ho pensato che non sarebbe cresciuta se non avessi assunto il controllo. Adoro cineprese e telecamere, adoro il processo creativo, mi piaceva l’idea di essere a capo di tutto. Ma continuerò anche a essere un attore disciplinato e attento, come sono sempre stato» • «La mia prima responsabilità è nei confronti del pubblico che paga, e se riesci ad accontentarlo è molto gratificante, un po’ come un dottore che vede che il suo paziente sta migliorando. Se poi oltre a questo riesci a conquistare anche il favore dei critici, tanto meglio» • «Perché recita? “Perché intrattenere la gente è gratificante. E perché così non ho mai dovuto fare un vero lavoro. Anzi, non so ancora che cosa farò da grande”» (Soria).