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 2021  ottobre 25 Lunedì calendario

L’attrice Michela De Rossi si racconta

I molti santi del New Jersey hanno fatto il miracolo a Michela De Rossi, la cui carriera è esplosa a Hollywood con un ruolo da co-protagonista nel prequel de I Soprano . Nel film, in sala con Warner il 4 novembre, Michael Gandolfini, 22enne figlio dello scomparso James, incarna un giovane Anthony Soprano negli anni della formazione, quei Sessanta squarciati dai conflitti razziali e le rivalità criminali tra afro e italo americani a Newark. Per capire come diventerà il mafioso tormentato della serie culto bisogna guardare a quello zio che idolatra, il gangster Dickie Moltisanti (Alessandro Nivola), molto innamorato della volitiva moglie italiana, per il cui ruolo è stata scelta l’attrice romana, 28 anni.
Da dove è partito il viaggio che l’ha portata a Hollywood?
«Da una piattaforma online di casting. La Warner cerca un’attrice italiana. Mando il selftape, come altre centinaia di ragazze. Non ci penso quasi più quando mi chiamano a Roma per il provino di persona.
Siamo in quaranta, noi more del panorama italiano che facciamo a spintoni. Due mesi dopo, come ogni sera sono a teatro, il mio agente mi chiama ridendo: domattina sei su un aereo per New York, provi accanto all’attore protagonista. Piango, chiamo i miei: non ho mai volato fuori dall’Europa, lì ci saranno colleghe famose... Loro insistono.
Atterro a New York, due ore di provino con Nivola e il regista che poi, in ascensore mi dice: "Che fai?", io parlo di un progetto italiano. Sto per ripartire, mi telefona: "Vogliamo che sia tu". In albergo arriva la costumista a prendermi le misure...».
Cinque mesi di set a New York.
«Un’apocalisse di burocrazia per ogni cosa. E io allora non parlavo bene inglese, non capivo i colleghi sul set, ho avuto la labirintite... Una sfida».
Perché hanno scelto lei?
«Forse avevo nel corpo e negli occhi lo stupore di chi vede per la prima volta lo skyline di New York, di un’attrice in un film hollywoodiano.
Il mio personaggio negli anni 60 arriva da un rione napoletano in America, nel film dice "il mio destino era fare sette figli e andare in giro con un vestito nero". Compirà un bel vaggio di emancipazione. E volevano un viso mediterraneo, particolare, non una bellezza di porcellana. In più la mia ironia combaciava con quella del personaggio. Li ho anche un po’ travolti, sono una "all in", nelle difficoltà mi butto, non voglio avere rimorsi. Loro cercavano questo».
Ha lottato per togliere qualche stereotipo al personaggio?
«Moltissimo. Non era scritto come lo vedete, l’ho reso più carnoso, lontano dalla macchietta delle donne italiane. Mi sono inventata pezzi di scene, ho cambiato battute. Hanno allargato il mio ruolo».
Michael Gandolfini?
«Ha fatto un lavoro pazzesco sapendo che gli avrebbero dato contro a priori: i fan erano già insorti alla notizia del film, la serie è considerata intoccabile. Aveva le ansie da aspettativa ad interpretare il padre. E non aveva mai visto I Soprano perché quando James è morto lui era piccolo. A 18 anni ha dovuto incarnarlo, ha avuto forza e lucidità. Eravamo coetanei, più giovani degli altri, siamo stati sempre insieme, siamo amici».
Il momento migliore?
«La presentazione a New York con Robert De Niro, che viene da me, io tremo, "complimenti da dove vieni?". Attacco a singhiozzare per l’emozione, mi stringe le spalle e mi bacia la guancia. Ma in tanti, da Bradley Cooper a Zoe Kravitz, mi hanno detto cose belle».
Prima del "miracolo", ha fatto una gavetta dura.
«Subito dopo il liceo ho fatto provini ovunque, sono entrata in Accademia. Ho studiato danza per 18 anni, mimo, commedia dell’arte, prosa.
Amo il teatro, ma ho mandato online un curriculum per un film italiano. Cinque mesi di provini, chiamate del regista anche di notte: 14 giorni prima delciak, mi scarta».
Sono arrivati altri registi.
«Ho fatto poche cose ma bellissime. I primi a fidarsi di me sono stati Damiano e Fabio D’Innocenzo, per La terra dell’abbastanza . Ci sentiamo sempre. Ho imparato molto da Antonio Albanese nei tre anni della serie I topi ».
È vero che per aggiudicarsi un ruolo bisogna avere molto follower?
«Il talento è solo uno dei fattori.
Una volta su tre in finale ai provini mi ha penalizzato il basso potenziale social: le produzioni vogliono attrici che aiutino la promozione del film».
Ha avuto altri ruoli?
«Sì. Sono l’unica italiana nella serie
Django , una prostituta da saloon, braccio destro di una protagonista, un’attrice transgender inglese strepitosa. E per la prima volta sono protagonista, con Filippo Scotti, di una storia d’amore sopra le righe, Io e Spotty , di Cosimo Gomez».
Che reazioni si aspetta adesso?
«C’è la curiosità di capire cosa ha fatto questa ragazza di così speciale per andare a Hollywood. Ho un’ansia allucinante, sento quasi il peso di una nazione. Sinceramente ho sofferto tanto per fare questo lavoro. Ora il film esce, vediamo che succede».