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 2021  ottobre 25 Lunedì calendario

Intervista a Badiucao, il Banksy cinese

La prima mostra italiana dell’artista dissidente cinese Badiucao “La Cina non è vicina”, si terrà al Museo Santa Giulia di Brescia dal 13 novembre al 13 febbraio 2002. Qualche giorno fa l’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese ha scritto alla Città di Brescia, chiedendo con toni molto duri di cancellare l’evento: «Le opere che espone sono piene di bugie… diffondono false informazioni.. mettono in pericolo le relazioni Italia-Cina ». Ma la Città di Brescia e la Fondazione Musei non hanno ceduto, rinviando al mittente le minacce con una lettera a firma del sindaco Emilio del Bono che ha ricordato ai cinesi come la libertà di espressione sia un valore irrinunciabile.
Badiucao usa l’arte come strumento di denuncia e i suoi disegni sono diventati un’icona del movimento di Hong Kong e di quanti in Cina hanno a cuore libertà e democrazia. Il suo attivismo lo ha costretto ha lasciare la Cina, dopo molte minacce: vive a Sidney in Australia.
Badiucao, si aspettava un pressione così forte per far cancellare la sua mostra?
«Il mio quadro preferito è Davide con in mano la testa di Golia di Caravaggio. Non solo perché descrive la sconfitta di un uomo normale contro un gigante, ma perché sia Davide che Golia sono entrambi un autoritratto di Caravaggio stesso. Ciò mi ricorda il conflitto fra la mia identità cinese e la Cina stessa. Il governo cinese con pesanti minacce fece annullare nel 2018 la mia mostra ad Hong Kong. È stato un errore allora subire: il silenzio è complicità ed il bullismo cinese va affrontato. Credo che sia molto importante ciò che hanno fatto la Fondazione Musei e il Sindaco di Brescia: non hanno ceduto alle pressioni e hanno difeso l’arte e la libertà di espressione».
Repressione del dissenso e attacco agli intellettuali non sono una novità nella Repubblica Popolare Cinese...
«Mio nonno e suo fratello persero la vita durante la cosiddetta Rivoluzione Culturale, che uccise milioni di intellettuali, insegnanti, professionisti, studenti. Mio nonno era un regista e uno dei pionieri dell’industria cinematografica cinese, fu rinchiuso in un Laogai, un campo di concentramento, i suoi film vennero definiti “erba velenosa”. Fu costretto ad un durissimo lavoro forzato e morì di stenti in meno di un anno».
Può raccontarci su cosa sta lavorando?
«Sto continuando a lavorare sui “Diari di Wuhan”, per raccontare il modo brutale in cui la Cina ha affrontato l’emergenza coronavirus. Il prossimo impegno saranno le Olimpiadi invernali di Pechino del febbraio del 2022. Le tavole che oggi pubblicate cercano di svelare il contesto di estrema repressione in cui si svolgeranno, affiancando alcuni sport con la repressione in Tibet e in Xinjiang, l’opprimente macchina di controllo della rete e gli onnipresenti sistemi di sorveglianza, le speranze e la sconfitta del movimento di Hong Kong».
Crede che l’Occidente dovrebbe boicottare le Olimpiadi invernali di Pechino?
«Sì, è in corso un genocidio della minoranza uigura in Xinjiang ed una progressiva militarizzazione del Tibet. A Hong Kong sono state azzerate in pochi mesi tutte le residue libertà. Non posso credere che il mondo libero possa accettare un’Olimpiade che sarà usata dal regime per auto-celebrarsi».
L’Occidente deve essere più incisivo nei confronti del regime cinese?
«La grande maggioranza dei cinesi ha a cuore gli stessi valori di libertà, rispetto e tolleranza universalmente condivisi… C’è ancora speranza per una Cina democratica: ma l’Occidente deve aiutarci, abbandonando inutili politiche di “ appeasement ”, smettendo di trattare la Cina come un Paese normale, iniziando a denunciare con forza le mille violazioni dei diritti fondamentali».