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 2021  ottobre 25 Lunedì calendario

Biografia di Licia Colò raccontata da lei stessa

Licia Colò, è vero che lei voleva fare la pilota di elicotteri?
«Verissimo». 
Però da anni la vediamo in televisione ad arrampicarsi sui pendii innevati o accanto alle iguane giganti delle Galapagos.
«La spiegazione è semplice. Sono nata nel 1962 e dopo la maturità, quando ho cercato di capire come prendere il brevetto, mi sono accorta che quel mondo allora era precluso alle donne. Sarei dovuta andare in America per farlo». 
Ma eravamo nel 1979, mica nel Medioevo. 
«Eppure era così. E se devo dirla tutta io come donna mi sento discriminata ancora oggi». 
Perché? 
«Perché se io vado a fare un reportage in alta quota e, com’è comprensibile, appaio in video con i capelli scompigliati, puntualmente il giorno dopo mi arriva una pioggia di critiche. Nessuno però muove mai gli stessi rilievi, per dire, a Mario Tozzi». 
Cioè la vorrebbero con parrucchiere al seguito, anche in cima all’Himalaya? 
«Diciamo che vedere una donna con i capelli in disordine è inusuale in una televisione come la nostra. Così avviene che se un collega spiega un fenomeno naturale ci si concentra sulle sue parole, altrimenti...». 
Se invece è lei a raccontare l’origine dei ghiacciai che cosa dicono? 
«Mi scrivono: “ma perché non si pettina”?». 
Pensi se davvero avesse fatto l’elicotterista. 
«Poi c’è un’altra cosa. Mi sono sentita più volte dire: “Ma alla tua età fai ancora televisione?”. Bene, nessuno oserebbe dirlo a, poniamo, un Piero Angela. Doverosa precisazione: per me Angela è un maestro, mi sono ispirata tanto a lui e al suo modo di divulgare i temi della natura». 
C’è da dire che di donne divulgatrici televisive in Italia ce ne sono poche. 
«Ci possiamo contare sulle dita di una mano». 
A ridosso di Natale riparte «Eden» su La7, a fine novembre la rivedremo con «Il mondo insieme» su Tv2000. Con «Il pianeta. Istruzioni per l’uso» (Solferino) ha appena vinto il Premio Internazionale di Letteratura Città di Como – Opera a tema. 
«Mi è andata bene, dai». 
Ma, elicotteri a parte, lei voleva fare questo lavoro? 
«Di certo non lo immaginavo quando, a sei anni, mi trasferii con la mia famiglia da Verona a Casal Palocco, nell’Agro Romano. Seguivamo papà, che era un pilota dell’Aeronautica e adesso non mi faccia parlare della vicenda Alitalia, ché mi si spezza il cuore». 
Lei ha studiato psicologia, vero? 
«Ma non mi sono mai laureata. La verità è che avevo cominciato a mantenermi facendo la segretaria in un centro sportivo ma poi venni licenziata: mi ero rifiutata di lavorare a tempo pieno. Un amico mi disse: perché non fai la modella? E così andai a Milano». 
Gli anni Ottanta. La televisione privata stava nascendo allora. 
«Feci un provino ad Antenna Nord. Mi raccomandarono di sistemarmi i capelli». 
Be’ ma allora è un destino! 
«Ma io non mi truccavo, mettevo i jeans, non ero una vampona da televisione. Poi avevo fatto volontariato nelle associazioni ambientaliste, ero già una militante all’epoca». 
Però lei non è vegetariana. 
«No, ma mica bisogna esserlo per forza. Diciamo che preferisco mostrare gli orrori che avvengono in certi allevamenti intensivi». 
Di lei si dice che è intransigente nella scelta degli interlocutori in trasmissione. 
«Se c’è una cosa che non sopporto è il chiacchiericcio su temi importanti. Che senso ha, per esempio, fare una trasmissione dividendo i cosiddetti opinionisti tra vegani e carnivori? Meglio intervistare un esperto come lo era Umberto Veronesi, per dire». 
Tornando alla tv anni Ottanta, lei è stata tra le prime conduttrici del mitico «Bim Bum Bam». 
«Una vita fa. Ma che bella che era quella televisione così libera, creativa. Avevamo la sensazione di dover inventare ancora tutto». 
Poi ha affiancato Maurizio Costanzo a «Buona Domenica». 
«Maurizio è una delle persone a cui devo di più. Mi ha insegnato a fare televisione, mentre da Alberto Castagna ho imparato un’altra cosa: ascoltare. Lui ascoltava davvero le persone, si interessava ai loro problemi non per posa ma per sincera empatia». 
Nel 1989 arriva la sua prima trasmissione dedicata alla natura, «L’arca di Noè». Da allora la sua strada è stata segnata. 
«Tutto è stato molto naturale, ho solo ascoltato quello che sono. Non nascondo che a volte partire e tornare dopo settimane, a volte mesi, è stato complicato». 
In un’intervista al «Corriere della Sera» Nicola Pietrangeli di recente ha detto: «Non ho ancora capito perché con Licia sia finita». Glielo riveliamo adesso, qui? 
«Ma che paroloni. Cercava una frase a effetto. Semplicemente gli amori finiscono. Nicola per me è stato una figura straordinaria, tutti notavano la differenza d’età (quasi trent’anni, ndr) tranne me. Non è stata quella la causa della rottura. O forse sì, chissà. Di certo quello non era un problema quando stavamo insieme». 
Licia, lei sembra uscita da un trattato di filosofie orientali. Sorridente, chiara nel pronunciare le parole, spettinata ma con grazia. 
«Eh, ma pure io ho avuto momenti neri». 
Racconti. 
«Non l’ho mai detto pubblicamente ma io ho avuto un cancro alla tiroide». 
Adesso come sta? 
«Bene. L’ho scoperto, mi sono preoccupata, mi sono curata, mi controllo costantemente. Cerco di prendere così le cose, perché farne un caso nazionale?». 
In fondo, lei è abituata a trattare con tigri e rinoceronti... 
«Be’, c’è stata una volta in cui mi sono spaventata davvero». 
Nella giungla? 
«No, in Sardegna». 
E che mai ci potrà essere in Sardegna da spaventare una che nuota con le balene? 
«Ero lì per lavoro in un piccolo paese. Cammino per strada e vedo un cane chiuso in un’auto, al sole con quaranta gradi. Entro in un bar vicino e chiedo “di chi è quella macchina?”. Un energumeno mi viene davanti e comincia a insultarmi pesantemente. “Fatti i fatti tuoi” è la frase più gentile. Minaccia. Sudo, ma non mollo. Gentilmente lo invito ad avvicinarsi alla macchina, volevo constatare che il finestrino fosse davvero aperto come lui diceva. In effetti, lo era. Ficco la testa nell’auto, lui fa la stessa cosa dall’altra parte. Ci ritroviamo quasi muso contro muso, io non arretro di un millimetro. Solo molti giorni dopo mi sono resa conto che poteva finire male, molto male». 
Ha rischiato le botte per salvare un cane. 
«Be’, coerente, no?» 
Senza mai perdere la calma. 
«Non l’ho persa nemmeno quando ho scoperto, in tarda età, di avere una sorella». 
Figlia di suo padre fuori dal matrimonio? 
«Sì, ma maggiore di me. Papà non ha mai tradito mamma». 
Vi frequentate? 
«Da poco. Non è facile intavolare dei rapporti con un familiare “ritrovato”». 
La sua vita sembra una telenovela senza enfasi. 
«Una volta a “Buona Domenica” avevamo come ospite Sean Connery. Tensione in studio, la solita frenesia che precede la messa in onda. Ad un certo punto saltò l’impianto elettrico. Panico per tutti, tranne che per Connery. Chiese solo una sedia e un caffè. Pace. Per me fu una lezione di vita, non soltanto di televisione». 
Perché ha chiamato sua figlia Liala, come la scrittrice? 
«Io e Alessandro (Antonino, il marito di Colò, ndr) volevamo chiamarla Andrea ma poi ci spiegarono che per battezzarla avremmo dovuto ripiegare su Andreina. No, grazie. Così abbiamo unito le iniziali dei nostri nomi e la “a” finale sta per always. In questo modo lei sarà sempre figlia di entrambi, comunque andranno le cose tra noi due». 
Adesso Liala ha sedici anni. 
«E non mi stanco mai di ricordarle che per lei tutto sarà più difficile di quanto lo sia stato per me. Mi spiego. Questa generazione è molto più competitiva. Ai ragazzi si richiede moltissimo: competenze, saperi, elasticità mentale. Non c’è paragone con l’adolescenza dei loro genitori. Qualche volta mi chiedo come facciano a reggere tanta fatica». 
Liala (la scrittrice) ebbe una relazione con un pilota dell’Aeronautica. Anche qui qualcosa torna pensando alla sua vita e a suo padre. 
«Infatti quando la nascita di mia figlia venne resa pubblica ricevetti una bellissima lettera della figlia di Liala. Scoprii che la scrittrice era stata una donna fortissima, indipendente, coraggiosa. Mi sembrò un ottimo auspicio». 
Licia, perché abbiamo impiegato anni per capire che il riscaldamento climatico è un problema serio? 
«Perché viviamo poco. Rimaniamo sulla Terra lo spazio di una vita troppo breve per preoccuparci seriamente del futuro. Se lei ci pensa, cento anni sono nulla rispetto ai tempi dell’universo. Se campassimo trecento anni ci preoccuperemmo eccome». 
Lei pensa che qualcosa si stia muovendo? 
«Sì, ma ancora si dà troppo poco peso mediatico a certe cose. Penso agli incendi in Australia o alla mattanza dei canguri. Lei lo sa che l’Italia è tra i principali importatori di pelli di canguro, che vengono usate per abbigliamento sportivo e di lusso? Se ne parla ancora troppo poco». 
E pensare che la gente guarda i suoi capelli.  
«Ma io vado avanti. Come sempre».