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 2021  ottobre 19 Martedì calendario

Intervista a Hillary Clinton


«Siamo ormai in una situazione di seria minaccia alle istituzioni, allo stato di diritto e anche alla democrazia. La gente che alimenta, promuove, questa crisi costituzionale è ispirata dal nostro ex presidente che ha cercato di dividere gli americani, di metterci gli uni contro gli altri. Sostiene di non aver perso le elezioni. Continua a dire che lui dovrebbe essere ancora presidente, nonostante tutte le evidenze contrarie che stanno lì a dimostrare che mente. Troppi americani che sono stati sistematicamente disinformati e ingannati per anni pensano di essere loro i veri patrioti. Ci troviamo in una situazione terribile».
Intervisto Hillary Clinton insieme alla sua coautrice Louise Penny mentre sta uscendo Stato di terrore: non un saggio come i libri precedenti della donna che è stata segretario di Stato, senatrice, first lady e che ha sfiorato lei stessa l’elezione alla Casa Bianca nel 2016, ma un thriller politico, pubblicato in Italia da Einaudi e scritto a quattro mani con l’autrice canadese, celebre per i suoi gialli che puntano sull’introspezione dei personaggi più che sull’azione.
Nel vostro libro c’è anche molta azione: una minaccia terroristica nucleare e una ministra degli Esteri, che le somiglia molto, costretta a girare da un Paese all’altro per sventarla. Cerca di porre riparo ai guai combinati da un ex presidente definito «di incompetenza quasi criminale» che si è ritirato a Palm Beach – dove si trova ora Donald Trump – e continua a destabilizzare la politica americana. È fiction, d’accordo, ma anche un romanzo a chiave. Pura sfida letteraria, esperienza catartica o desiderio di raccontare una storia istruttiva? Cercate di trasmettere un monito?
«Abbiamo scritto», racconta Clinton, «nella speranza di costruire una grande storia capace di catturare l’attenzione dei lettori descrivendo personaggi memorabili. È fiction e abbiamo scritto in due ma, certo, i personaggi e la trama del libro riflettono la mia esperienza diplomatica: è stato il nostro modo per costruire un racconto realistico, per aprire porte davanti al lettore, raccontargli cosa accade nei momenti di crisi nella Situation Room della Casa Bianca. Vogliamo stimolare la loro immaginazione, ma anche trasmettere un ammonimento su quanto di molto grave sta accadendo alla democrazia degli Stati Uniti e anche di altri Paesi del mondo che oggi vedono le loro istituzioni seriamente minacciate».
Nel libro Ellen Adams, cioè lei, va a Palm Beach dall’ex presidente Eric Dunn in un tentativo estremo di ottenere informazioni utili nella corsa contro il tempo per sventare un attentato nucleare. Lei è stata a Mar-a-Lago ma 16 anni fa, per un matrimonio. Ha conosciuto Trump per relazioni sociali e familiari. Non ne aveva percepito la pericolosità, anche se allora non era entrato in politica?
«Io ho avvertito il Paese nel 2016 e continuo ad ammonire anche oggi circa la pericolosità di un demagogo come Trump. Se la storia ci insegna qualcosa è che un demagogo determinato e di successo rappresenta per la democrazia una minaccia micidiale».
A differenza dei romanzi di suo marito Bill Clinton con un altro maestro del thriller, James Patterson, libri tutti d’azione, qui c’è anche molta introspezione psicologica. Possiamo aspettarci un sequel, magari meno centrato sul terrorismo internazionale e più sulle convulsioni politiche interne dell’America?
«Non escludiamo nulla» qui è Louise Penny a rispondere, «ma per adesso ci godiamo una sospirata pausa. Scrivere un libro così, a quattro mani, è stata un’esperienza esaltante ma anche faticosa. Ci siamo prese tutte e due grossi rischi. Credo che, alla fine, siamo riuscite a raccontare una storia angosciosa, a far riflettere sullo stato del mondo, con una pillola narrativa non troppo amara». Interviene Hillary Clinton: «Un altro libro? Vedremo, ormai si vive alla giornata».
Quando ha mostrato il vostro thriller, così diverso dai suoi, a suo marito?
«Non abbiamo fatto vedere niente a nessuno», racconta Clinton, «fino a quando non abbiamo completato la prima stesura. A quel punto l’ho fatto leggere a Bill. Gli è piaciuto. Si è appassionato al punto da suggerire correzioni su circostanze che, magari, trovava meno credibili». «Sì» conferma Penny. «All’inizio ero confusa. Perché interveniva? Poi mi sono detta: ok, lui ne sa molto di più».
In «Stato di terrore» un ruolo importante lo hanno i giornalisti. Anche se lei non ha avuto rapporti facili con la stampa, sembra stimarla più di altri. Anche di suo marito. Che spero si sia ripreso dall’infezione che lo ha costretto in ospedale. E grazie per aver confermato questa intervista qui, a New York, appena rientrata col presidente dalla California.
«Sì, siamo appena tornati a New York. Sono molto grata ai sanitari: è stato curato in modo eccellente e sta recuperando. Quanto al giornalismo, io e Bill non abbiamo sensibilità diverse. Consideriamo la stampa essenziale per la democrazia. A volte siamo critici perché ci aspettiamo molto: racconti corretti, i fatti, la verità. Mi rincresce vedere che a volte, soprattutto all’estrema destra, si definisce giornalista chi si presta a fare da portavoce di un’agenda politica».
Dal libro traspare un certo risentimento per la sottovalutazione delle donne. I protagonisti positivi sono tutti al femminile. Gli antagonisti, anche un nuovo presidente che somiglia a Biden, sono tutti uomini. L’ha sperimentata questa sottovalutazione anche da segretario di Stato? L’ha combattuta o l’ha sfruttata, cogliendo l’interlocutore di un negoziato con la guardia bassa?
«Proprio così» risponde Clinton. «Non c’è dubbio che ogni donna che scende nell’arena pubblica venga sottostimata. È pessimo, ma ti devi abituare e impari a usare anche questo per raggiungere i tuoi obiettivi. Credo siano esperienze e sensazioni vissute da molte donne. Nel libro la cosa viene fuori spesso, è un modo di dare autenticità al racconto». «Abbiamo disegnato personaggi femminili» interviene Penny, «nei quali le lettrici possono immedesimarsi: non superdonne né vittime, ma persone determinate, con i loro dubbi, ma anche l’acume e la volontà di affermarsi».
Ancora sull’introspezione dei personaggi e l’involuzione della politica americana. Non vi attira esplorare i mutamenti psicologici di un partito repubblicano che Trump minaccia addirittura di boicottaggio delle prossime elezioni se non «risolverà» – verbo bizzarro – la frode elettorale di Biden?
«Già in questo libro» dice Penny, «mettiamo in luce che, se il terrorismo internazionale è così pericoloso, è anche perché una grossa minaccia viene dall’interno. Lo ricordo proprio ora che abbiamo appena appreso della scomparsa di Colin Powell, un repubblicano che ha avuto il coraggio di scuotere il suo partito». L’ultima parola a Hillary Clinton: «Dobbiamo continuare a condannare la diffusione di questa falsità chiamata big lie. Ripeto: stanno minando le elezioni e le istituzioni democratiche spingendo tanti a dubitare della legittimità dell’attuale presidente. No: le elezioni hanno avuto l’esito che è stato certificato. Sono vere, reali, valide: Trump ha perso e Biden ha vinto. Dobbiamo continuare a ripeterlo. Ed essere vigilanti».