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 2021  ottobre 18 Lunedì calendario

Parla Maria Pia Di Meo, la regina del doppiaggio

È la Sophia Loren delle voci, la Maria Callas del doppiaggio, la primadonna dei suoni e delle ombre, perché è lì che vive Maria Pia Tempestini (Di Meo è il cognome della mamma), la più grande doppiatrice di sempre, unica e irripetibile come La dama con l’ermellino di Leonardo. Non c’è diva che non abbia avuto la sua voce, non c’è icona del cinema che non parli attraverso di lei: dalla Audrey Hepburn di Colazione da Tiffany alla Julie Andrews di Mary Poppins, dalla Julie Christie del Dottor Zivago alla Tippi Hedren de Gli Uccelli, dalla Sue Lyon di Lolita alla Ursula Andress di 007, dalla Mia Farrow di Rosemary’s baby alla Jane Fonda di Barbarella. Dal 1978, anno de Il Cacciatore, è la voce di Meryl Streep, cioè il meglio che c’è, e che di lei, in tv da Fabio Fazio, ha detto: «Mi piacerebbe moltissimo avere la voce di Maria Pia, così calda, meravigliosa». Del resto la Di Meo ama dire: «Le attrici sono fatte da due persone: una che si vede e una che si sente. Io sono quella che si sente».
Maria Pia, ha cominciato presto a regalare la sua voce...
«Ho cominciato a doppiare bambina: avevo 5 anni e non sapevo ancora leggere. Imparavo le battute a memoria e quando toccava a me dirle mamma dietro di me mi dava un colpetto sulla spalla».
Che tipo era mamma? Anche Anna Di Meo era un’attrice.
«Era una ragazza molto intelligente, un’autodidatta che, oltre a recitare, scriveva libri. Ma non è riuscita a fare la carriera che avrebbe voluto e così ha riversato su di me i suoi desideri frustrati. Era un carattere irruente, quasi violento, molto possessiva nei miei confronti, che ero figlia unica. Non era una donna facile».
E papà? Giotto Tempestini ha fatto cinema, teatro, radio...
«Papà era il contrario di mamma. Dolce, gentile, bellissimo ma con lui i rapporti erano inesistenti. La nostra non era una vera famiglia: mio padre non era un uomo di polso e mia madre, che lo ignorava, un giorno lo cacciò di casa. Lo vedevo poco e mamma non me ne parlava bene».
Lei ha dato la voce al firmamento di Hollywood. Com’è il rapporto con le dive che ha doppiato?
«Barbra Streisand dopo Come eravamo per ringraziarmi mi fece avere un bellissimo regalo: una sciarpa di cashmere. Che, per colpa dei miei numerosi traslochi, ho perduto...».
E poi?
«Fanny Ardant mi scrisse una bellissima lettera dopo La donna della porta accanto: era in Italia ed era il periodo terribile in cui François Truffaut, suo compagno, stava male. In alcune scene, disse, avevo aggiunto qualcosa alla sua interpretazione».
E Meryl Streep?
«Mi ha voluto incontrare a Roma qualche anno fa ed è stata deliziosa. Io ero persino imbarazzata: lei che mi riempiva di complimenti e io che le dicevo: ma sono io onorata di doppiarti, sono io che imparo da te...».
La Streep lo ha detto anche in tv a «Che tempo che fa».
«E Fabio Fazio lì è stato un gran maleducato. La Streep e Tom Hanks dicevano cose bellissime di me e Angelo Maggi e lui non solo non ci ha nominati, ma si è anche vantato con aria snob di aver visto il film in lingua originale. Avrei voluto scrivere una lettera ai giornali per dire quanto fosse stato cafone, ma poi ho lasciato perdere».
Ormai siete come sorelle dopo più di quarant’anni insieme...
«Sì, però, pensi che per doppiare il prossimo film della Streep dove lei non è protagonista anche se interpreta il presidente degli Stati Uniti, mi hanno chiesto di fare il provino. Io il provino? Ma non ci penso proprio. Io non farò alcun provino, anche se Sandro Acerbo, che è una persona squisita e un bravissimo doppiatore, mi ha detto: lo so Maria Pia che è assurdo, ma fallo lo stesso».
Ma il motivo?
«Dicono che la mia voce non è uguale alla sua quando canta. Una cretinata. Quando si canta il timbro cambia. Basta sentire la Ricciarelli quando canta e quando parla. Sono due voci diverse. E allora?».
Ma lei canta?
«Macché. Sono stonatissima».
E quindi?
«Io capisco che forse metto in imbarazzo direttori più giovani di me, capisco che forse il talento metta soggezione, capisco meno che quando superi una certa età, a volte, ti guardino come se non esistessi più, come se fossi finita, ma...».
Ma?...
«Io provini non ne faccio. Né ora, né mai. Se lo tolgano dalla testa».
Lei è la Storia del cinema.
«Non me lo faccia ripetere più...».
Ma il doppiaggio italiano è sempre il migliore del mondo?
«Direi di sì. Anche se oggi i tempi di programmazione hanno appiattito tutto. Bisogna dare anima ai personaggi, la bravura sta qui. Oggi si fa un po’ tutto allo stesso modo, c’è grande capacità tecnica, più si è veloci più si è bravi, ma tutto questo fa perdere qualità».
E perché vi criticano?
«Ci accusano di rovinare i film in originale, di essere il motivo per cui gli italiani non sanno l’inglese...».
Ed è vero?
«Stupidaggini. Seguire un film con i sottotitoli vuol dire perdersi il film. Certo alcuni, tipo quelli shakespeariani, sono inarrivabili per un doppiatore. Ma, mi creda, moltissimi altri sono stati salvati dal doppiaggio».
E sull’inglese?
«Se vuoi imparare la lingua devi andare in Inghilterra o negli Stati Uniti. Non al cinema...».
Però negli ultimi anni hanno imparato ad amarvi, avete milioni di fans su internet.
«È vero. Per decenni però siamo stati invisibili. Non mettevano nemmeno il nostro nome nei titoli di coda dei film».
La prima vera star popolare fu Ferruccio Amendola.
«Abbiamo fatto tanti film insieme, ma avevamo poco in comune. Quando lo diressi in Sleepers, pretendeva di doppiare sia Robert De Niro che Dustin Hoffman che recitavano insieme. Era completamente pazzo. Gli dissi che non se ne parlava proprio, lui si offese ma fece come dicevo io. Lui fece De Niro e Giorgio Lopez Dustin Hoffman».
E Oreste Lionello?
«Era un uomo straordinario: aveva un’adorazione per me come donna e come attrice. Mi diceva: tu sei nata per recitare, non per stare qui».
Come del resto le disse Anna Magnani in «La Rosa tatuata», film che le regalò l’Oscar
«Davo la voce a sua figlia, Marisa Pavan. All’inizio la Magnani era diffidente, non era tipo che si concedesse molto. Poi mi vide lavorare. Mi disse: a ragazzì, ma te che stai a fa’ dentro ’ste sale. Devi fa’ l’attrice, che stai a fa’ qua? Mi regalò un profumo che io ho usato per anni e che non si trova più. Meraviglioso».
Chi è stato il più grande doppiatore di sempre?
«Peppino Rinaldi, la voce di Marlon Brando, Paul Newman, James Dean, Jack Lemmon. Era, come diceva Pirandello, uno, nessuno e centomila. Aveva una voce straordinaria e una grande capacità di cambiare registro. Quasi tutta la mia vita professionale l’ho passata con lui».
A proposito di «cult». Insieme avete fatto «Ultimo tango a Parigi»: lui Brando, lei la Schneider.
«Quando vidi il film rimasi impressionata perché mi piacque infinitamente. Brando era di una bravura spaventosa. C’è un monologo dove lui parla con la moglie morta nella bara: è incredibile. Bertolucci mi disse che non era nel copione, la improvvisò Marlon parlando della sua vita, dei suoi dolori».
Però...
«Brando aveva una voce che non gli assomigliava: sottile, quasi nasale. Ma la sua bravura era immensa».
E Bernardo Bertolucci che tipo era?
«Era un uomo molto particolare, di poche parole, ma apprezzava moltissimo il nostro lavoro».
Muccino invece ha detto che «vedere un film doppiato è come spararsi in bocca»...
«Ma lui può dire quello che vuole. Le persone più sono intelligenti e colte più capiscono. Fellini ci ammirava, Muccino no. Non mi faccia dire altro».
Lei non ha mai amato doppiare attrici italiane.
«Non amavo doppiare attrici incapaci e farle diventare importanti. Essere doppiati nella propria lingua è assurdo».
Però ha dato la voce a Claudia Cardinale...
«Sì, ma solo una volta o due e perché lei aveva all’inizio una voce terribile quasi fastidiosa, poi l’ha molto migliorata e con il tempo è diventata una sua caratteristica. Ma la Cardinale era una vera attrice».
Anche Virna Lisi, però...
«Perché in Come uccidere vostra moglie, che aveva girato in America, per quasi tutto il film parlava in greco. Ma anche lei non aveva bisogno di me per essere grande».
E Raffaella Carrà in «Giulio Cesare, il conquistatore delle Gallie»?
«Davvero? E chi si ricorda più...».
E la Allasio in «Poveri ma belli»?
«Lì è diverso: Poveri ma belli racconta un’epoca. Marisa Allasio, Lorella De Luca, Alessandra Panaro non erano attrici, per Dino Risi dovevano solo essere bellezze vistose. Noi davamo la voce alle ragazze della porta accanto dell’epoca».
Chi le piace delle doppiatrici che sono arrivate dopo di lei?
«A volte ad ascoltarle mi sembrano tutte uguali. Ma mi piacciono molto Domitilla D’Amico, la voce di Scarlett Johansson, Chiara Colizzi, che è Uma Thurman e Nicole Kidman, e Emanuela Rossi, cioè Michelle Pfeiffer e Emma Thompson».
C’è un film che l’ha emozionata più di altri?
«Ho visto I Ponti di Madison County decine di volte, mi sono sciolta dal piacere di fare questo film. Non c’è niente di più coinvolgente di un amore impossibile. E Clint Eastwood poi è meraviglioso: come attore, regista e uomo».
Lei è sempre stata una bella donna. Ma il MeToo esisteva anche nel doppiaggio?
«No, da noi no. Ho sempre avuto tanti corteggiatori, ma con me cascavano male: li ho mandati tutti a quel paese. Mai avuto storie con doppiatori, molto per colpa mia».
In che senso?
«Beh, insomma, mi hanno sempre considerata altezzosa, una con la puzza sotto il naso. Invece la mia era umiltà: io ho avuto sempre voglia di avere al mio fianco persone che ne sapessero più di me, da cui imparare qualcosa, con cui scambiare delle opinioni su tutto».
Normale però che suo marito fosse geloso...
«Sì, ma aveva sposato un’attrice non una casalinga...».
È vero che al cinema suo marito non riconosceva la sua voce?
«E le pare bello? Ho sposato uno psichiatra ma lui non amava molto andare al cinema e non vedeva di buon occhio che facessi film. Quando l’ho sposato però ero una ragazzina: io avevo vent’anni e lui trentadue. Non avevo nessuna intenzione di mollare il cinema, ma...».
Ma?...
«Mi disse che o lasciavo lui o lasciavo il lavoro. E io ho fatto questa stupidaggine di lasciare il lavoro per più di dieci anni».
Cosa ci siamo persi...
«Non lo dica a me. Ho vissuto una vita che non era la mia in una città bellissima ma che non amavo».
È vero che ha detto di no a Vittorio Gassman?
«Ho debuttato dodicenne in teatro con lui nel Peer Gynt. Era di una bravura e di una bellezza uniche».
E poi?
«Mi telefonò a Milano e mi chiese: ma tu hai ancora voglia di fare l’attrice? Sì, ma ho un bambino di due anni. Embè? mi rispose, non sei la prima attrice che fa figli. Non ebbi neanche il coraggio di dirlo a mio marito perché tanto sapevo come sarebbe finita. Feci anche una figuraccia con Gassman. Mi disse: ti aspetto a Roma con il copione. Non solo non ci sono andata, ma manco gli ho telefonato per avvisarlo».
E che pensa dell’algoritmo che sostituisce la voce dei doppiatori nei film con un avatar sonoro?
«Ma figuriamoci. Di porcherie ne ho sentite tante, ma questa mi pare il massimo. Con me comunque sarebbe impossibile. Io sono unica...».