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 2021  ottobre 18 Lunedì calendario

Intervista a Pierfrancesco Favino

 Il Favino innamorato. Alla Festa di Roma l’attore porta Promises, dal bestseller della scrittrice e regista francese Amanda Sthers. Girato in inglese, tra Londra e il litorale laziale il film (in sala il 18 novembre con Vision) è una storia d’amore vista attraverso i ricordi di un uomo e le promesse che non è riuscito a mantenere.
Alexander è un commerciante di libri, ha scacciato l’infanzia difficile costruendo una famiglia. Ma l’esistenza viene travolta dall’incontro con una gallerista che sta per sposarsi e quell’amore mai vissuto li segnerà per sempre: «Finalmente una scrittrice capace di raccontare la fragilità degli uomini senza giudicarli», dice Favino.
Il suo più ruolo più romantico,
finora.
«Mi viene in mente Cosa voglio di più di Soldini, ma lì l’aspetto sociale era altrettanto forte. Quindi sì, è la prima volta che mi viene consentito un ruolo romantico. A me piacciono i film romantici, a volte abbiamo voglia di farci due pianti al cinema, ci libera».
Quanto ne aveva voglia?
«Tanto, ma ho sempre pensato di non avere il fisico adatto. Forse Amanda ha visto qualche cosa che io non avevo ancora visto».
È un film sulla complessità dei ricordi e soprattutto dei rimpianti.
«Mi sono interrogato su questo, ho scoperto di non avere rimpianti, falle. Il tempo degli incontri è fondamentale nella vita, a volte mi chiedo se avessi preso un’altra strada cosa sarebbe successo. Ma sono sempre stato fedele a ciò che sentivo in quel momento. Nel film c’è l’idea consolante della necessità degli altri e in questo momento in cui siamo spinti, anche da consumatori, a essere soli, lo dico apertamente: so stare da solo, ma sto meglio con gli altri».
La regista è rimasta colpita dal suo rapporto con le sue figlie, dal femminile che circonda la sua vita.
«La distinzione di gender per me non è mai esistita, fatico a capirla.
Certo, ho la fortuna di essere circondato da donne, e mi ha portato a non aver paura di quelle emozioni che da ragazzo vengono considerate troppo morbide. Ma ho passato molte più serate a dare pacche sulle spalle ad amici piangenti perché la donna li aveva lasciati, che non a fare commenti brutali sulle fattezze di una donna: tanti uomini sono così».
Questo film abbraccia l’arco di una vita intera, come pure “Il colibrì” che ha girato con Francesca Archibugi, e “Nostalgia”, girato con Martone: un ritorno a casa, un confronto con il passato e il senso di appartenenza.
«Si sta compiendo per me una trilogia del tempo che non immaginavo avrei attraversato.
Siamo in un momento in cui le persone hanno bisogno di guardare al proprio passato. Non è casuale che tanti registi e scrittori, in questo caos, sentano il bisogno di chiedersi: ma io da dove vengo?».
Una generazione di spettatori si rispecchia nella sua carriera.
«A 52 anni inizi a guardarti indietro.
Ora il gruzzoletto di ciò che hai costruito si vede, e dici: mi rappresenta o no? Il tempo delle cose arriva anche a suggerirti pensieri, bilanci, decisioni».
Il cinismo dei social fa passare l’amore in secondo piano. Bisogna avere il coraggio di rimetterlo al centro?
«Vivo male l’aggressività di questo momento storico, mi impedisce di avere fiducia negli altri. Per me gli altri sono importanti, voglio credere, non mi voglio chiudere.
Perciò scelgo di non stare all’interno di un vocabolario aggressivo e cinico».