Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  ottobre 17 Domenica calendario

Stefano Bollani si racconta

È assurdo, quindi credo. Potrebbe essere questo il motto che gli scettici affibbierebber o a Stefano Bollani mentre lo osservano nella sua ricerca di un dialogo con E.T. l’extraterrestre. Bollani ha quasi 49 anni e sabato riceverà a Sanremo il premio Tenco alla carriera. È compositore, pianista jazz e cacciatore, in senso buono, di alieni. Non è un pazzo. «Da piccolo — dice — ero fan di Urania e mi sono portato appresso la passione per la fantascienza. Ricordo anche l’emozione di vedere il film Il pianeta proibito, con la sua colonna sonora fatta solo di suoni elettronici, in cui scopriamo alla fine che il mostro alieno è una creatura partorita dall’inconscio dello scienziato stesso e che sono le sue paure a tenerlo in vita».
Che cosa le ha fatto scattare questa passione: interesse per l’astronomia, il desiderio guardando il cielo di andare oltre la conoscenza attuale?
«La curiosità. Penso che i più interessanti fra gli scrittori e i registi di fantascienza, da Philip Dick a Kurt Vonnegut, da Stanley Kubrick a Steven Spielberg, stiano in realtà parlando del mondo contemporaneo, semplicemente spostando l’azione nel futuro».
Arriviamo subito al dunque, lei crede che esistano nell’universo civiltà simili alla nostra?
«Spero ne esistano di ancora più intelligenti e avanzate, intendo in senso spirituale e di conseguenza sociale».
Se così fosse non è sbagliato parlare di alieni, una definizione nemica?
«Alieno a me sta bene, sta per altro da sé. Ragionare sulla questione e sul come ci immaginiamo gli alieni può aiutare a definire meglio la propria paura dell’altro, del diverso da noi. In generale, molta fantascienza è catastrofista. Io invece ora mi sento a caccia di visioni solari e positive della nostra vita nel futuro. Più ragioneremo in maniera propositiva, più il genere umano avrà frecce al proprio arco nel decidere riguardo al proprio destino».
Se ha ragione lei, se gli extraterrestri esistono, perché non si sono mai manifestati?
«Guardi che si sbaglia, i presagi non sono modesti. Direi che si manifestano anche troppo.
Tantissime persone nel mondo dichiarano di avere avuto incontri con gli extraterrestri o di essere in contatto telepatico con loro e in grado di canalizzare i loro discorsi. Sono tanti, troppi per poterli liquidare tutti come matti o fanatici in cerca di notorietà.
D’altronde, accade da sempre nella storia del mondo che alcune persone entrino in contatto con spiriti, defunti, persino dei. Nel nostro vocabolario li chiamiamo medium oppure visionari. Alcuni sciamani, altri addirittura santi».
Forse per lei non è neppure importante che esistano, basta che rappresentino un’idea.
«Concordo. Sono comunque una proiezione di qualcosa che riguarda la nostra interiorità.
Tutti noi abbiamo qualcosa dentro che sentiamo alieno, extraterrestre, e lo temiamo.
Quando poi cominciamo a parlarci insieme, ci rendiamo conto che un punto di vista alieno può essere molto utile per riflettere e inventare un nuovo percorso».
Perché si è sentito in grado di scrivere addirittura un libro sugli extraterrestri?
«Dialoghi tra alieni è la trascrizione di una lunga intervista pubblica che ho fatto a tre cari amici: Mauro Biglino, Anne Givaudan e Igor Sibaldi.
L’argomento è stato affrontato da punti di vista molto diversi tra loro ma che convergono su alcuni concetti base. Ci siamo divertiti così tanto che è nata l’idea di farne un libro».
Esisterà, se già non c’è, una musica universale?
«Ecco, di questo mi piacerebbe molto parlare con un extraterrestre, un bel pleiadiano che mi racconti il ruolo che per lui ha la musica nella vita. Come aveva intuito Spielberg in Incontri ravvicinati del terzo tipo, il mondo dei suoni potrebbe intanto rivelarsi il più efficiente mezzo di comunicazione fra noi e una civiltà distante. Questo vale anche sul nostro pianeta, dove ad esempio Mozart o i Beatles parlano a miliardi di persone di epoche, luoghi e culture differenti».
Torniamo sulla Terra per un po’. Quando ha cominciato a suonare?
«A sei anni, volevo fare il cantante e i miei mi hanno proposto di imparare uno strumento con il quale un giorno potessi accompagnare la mia voce».
Da allora chi l’ha guidata?
«Da Gershwin a Carosone passando per Nino Rota, Miles Davis, Frank Zappa e Francis Poulenc, l’elenco sarebbe davvero lungo. In cima alla lista c’è però mia moglie Valentina, che oltre ad essere la mia compagna di vita, per me in molti sensi, compreso quello artistico, è anche la mia luce».
Che mestiere è il suo, si definisce un artista poliedrico?
«Mi definisco in un qualche modo solo se proprio obbligato, tipo se mi chiedono i documenti in autostrada».
Professione di riserva?
«Forse il bibliotecario. Ma un bibliotecario che poi ad un certo punto sale sul palco».
Al pianoforte sono più importanti le mani o l’orecchio?
«Questa è facile: mi sembra più importante la voglia che hai di partire alla ricerca della bellezza, dunque l’intento che ci metti. E la bellezza non si costruisce da soli».
Da chi e che cosa bisogna farsi accompagnare?
«Dalla fortuna di una famiglia per esempio. Ho una sorella più piccola di me, Manuela, che è cresciuta nel mondo del musical e ora ha un suo one woman show. I nostri genitori hanno poco a che fare con la musica dal punto di vista professionale, ma nostro padre Roberto cantava per divertire gli amici. Fino a pochi anni fa era dirigente in una ditta di inchiostri. Nostra madre Maddalena ha badato a noi. Ci siamo sempre spostati molto.
Mio padre come me è nato a Milano, mia madre è veneta, mia sorella è nata ad Alba e poi siamo cresciuti facendo le scuole a Firenze. Ecco, questa famiglia semplice mi ha sempre sostenuto e mi ha donato molta serenità».
Crede in Dio?
«In ogni cosiddetta religione organizzata, in ogni tradizione spirituale, ci sono preziose gemme da cui ricavare splendore, idee, intuizioni. Più che credere, sento, intuisco che tutto è uno, e che quell’uno che permea tutte le cose ha caratteristiche che noi definiremmo intelligenza, curiosità, senso dell’umorismo e soprattutto tanto amore».
Che cosa la spaventa?
«Mi piacerebbe rispondere non c’è niente che mi spaventi, ma mi spaventa un po’ dirlo. Ecco, ho risposto».
Che cosa saremo, dopo, nell’universo, qui o su Marte?
«Ah, non so lei. Io penso di reincarnarmi, perché voglio ancora capire un sacco di cose. Su di noi e su quegli altri che cerco».