Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  ottobre 14 Giovedì calendario

Un tuta di olio di ricino, un’altra che si decompone, mangiata dai batteri, quando viene dismessa. Intervista a Alan Garosi, l’uomo che ha reso i filati intelligenti

«Con la pandemia c’è stato senz’altro un cambio di tendenza anche nei filati, lo specifico di cui mi occupo, il mercato li richiede sostenibili e salutisti, per esempio i filati di nylon biodegradabili o di origine bio-based, e abbiamo appena brevettato una poliammide con proprietà antivirali e antibatteriche»: Alan Garosi, laurea in economia aziendale alla Bocconi, fa parte della plancia di comando di Fulgar, sede a Castel Goffredo Mantova), fondata nel 1970, nel 2003 ha aperto un sito produttivo in Sri Lanka e nel 2007 in Serbia. Prima della pandemia fatturava 214 milioni di euro. Tra i suoi filati vi sono Evo, ricavato dall’olio di ricino, e Amni Soul Eco, che si decompone rapidamente (mangiato dai batteri) quando il capo viene dismesso e posto in discarica.

Domanda. Come si fa ad ottenere un filato dall’olio di ricino?
Risposta. È prodotto mediante coltivazioni di semi di ricino che crescono generalmente in zone aride non destinate all’agricoltura, quindi non vi è alcuna ripercussione sulla catena alimentare umana e animale, a differenza di molti altri polimeri bio-based che utilizzano prodotti naturali destinati al settore agroalimentare. La biomassa è appunto il seme di ricino, e quindi il filato è una fibra tessile di origine naturale e dalle caratteristiche altamente performanti, che lo rende adatto a qualsiasi applicazione, in modo particolare per il mondo dello sportswear, poiché è molto leggero, stretch e traspirante, si asciuga velocemente e non si stira, gode di proprietà termiche e batteriostatiche.
D. Poi c’è il filato che si decompone.

R. Sì, è una formula che consente di ottenere un prodotto che si decompone naturalmente in circa cinque anni, mentre altre fibre impiegano decenni, senza rinunciare alle caratteristiche qualitative, anzi con grandi performance di morbidezza, comfort, traspirabilità. Ma stiamo anche imboccando la strada del riuso. I filati del futuro saranno quelli in grado di trasformare i rifiuti anche più inquinanti in risorsa, reintroducendo gli scarti nel ciclo produttivo e dando così nuova vita a materiali che altrimenti verrebbero scartati e che sono potenzialmente dannosi per l’ambiente.
D. Si può parlare di filati intelligenti?
R. Certamente. Sia per le proprietà, per esempio salutiste, che si trasferiscono a chi li indossa sia perché grazie a processi di produzione sempre più controllati il loro impatto ambientale è sempre meno impattante, quindi verso una politica zero waste.

D. Ritiene che la transizione ecologica avrà un impatto significativo sull’abbigliamento?
R. Il percorso è iniziato sia nei trend al consumo che nei comportamenti imprenditoriali. Per quanto ci riguarda la nostra politica di gestione e riciclo dei rifiuti derivanti dalla produzione si basa sul principio f che ogni materiale impiegato possa avere una seconda vita a partire da carta e imballaggi di plastica, al fine di creare prodotti dedicati anche all’accessoristica. Poi operiamo per ridurre al massimo i rifiuti e ottimizzare tutti i processi, non solo in fase di produzione del filato, ma anche dei tessuti e capi finiti. Ricicliamo più della metà del materiale impiegato nel ciclo produttivo. Da oltre dieci anni presentiamo il bilancio di sostenibilità, dove forniamo le informazioni sugli impatti (positivi e negativi) esercitati dall’impresa sull’ambiente. Inoltre abbiamo promosso un incubatore di innovazione sostenibile, cioè aiutiamo in nuovi talenti del fashion, aiutandoli non solo nella selezione, ma anche nella ricerca di materiali e filati sostenibili per le loro creazioni, mentre il Future/Lab, è una piattaforma virtuale di best practice ecologiche, attraverso le quali vengono raccontate le storie di giovani stilisti, produttori virtuosi e brand che collaborano in un’ottica di economia circolare.

D. Perché la moda italiana negli ultimi anni pre Covid ha perso un po’ di appeal e in parte è finita in mani straniere?
R. Ogni azienda ha una propria storia e rappresenta un caso a sé anche se attualmente è possibile evidenziare un elemento comune cioè che nella maggior parte dei casi si tratta di aziende familiari che faticano ad affrontare le sfide di una concorrenza sempre più aggressiva e globale. C’è anche un tema di passaggio generazionale che si accompagna a conflitti o spaccature e si traduce in una defocalizzazione del management, più impegnato in lotte intestine che all’andamento del business. Questo mix determina, almeno in parte, le problematiche di alcuni gruppi del fashion.
D. Cosa chiedere alla politica per supportare la ripresa e difendere il made in Italy dell’abbigliamento?

R. Il governo dovrebbe impegnarsi con grande determinazione per tutelare gli interessi nazionali da ogni mira speculativa e salvare il nostro patrimonio di competenze artigianali e imprenditoriali, davvero unico nel panorama mondiale. Serve un aiuto economico per iniziative e progetti legati alla sostenibilità, all’innovazione e digitalizzazione, alla formazione dei nuovi designer. Poi occorrono misure agevolate per le imprese in fase di ristrutturazione: prepensionamento, prolungamento della Naspi, ricollocamento dei lavoratori, formazione.
D. Il suo gruppo è anche nell’intimo (col brand Pompea) e nello sportwear: qual è lo stato di salute di questi settori?
R. Sono settori in forte crescita, ritengo che supereremo presto i dati pre Covid, anche grazie alle innovazioni, come l’intimo e la calzetteria realizzati con materiali riciclati e certificati completamente tracciabili in tutte le fasi della loro vita e capi dalle taglie adattabili con fibre speciali che offrono una vestibilità unica, come una vera e propria seconda pelle, dando vita ad un intimo inclusivo.
D. Quali sono le strategie di sviluppo del gruppo?
R. Ricerca di materiali alternativi, sperimentazione di nuove tecnologie, sviluppo di nuovi impianti energy oriented per una produzione sempre più sostenibile. Noi esportiamo in tutto il mondo e l’Oriente rappresenta ora un modello emergente che si sta sempre più avvicinando ai gusti occidentali, quindi da tenere d’occhio per le grandi potenzialità che dobbiamo assolutamente intercettare.