la Repubblica, 14 ottobre 2021
Una raccolta di vignette di Altan
Si sa: le vignette non vanno descritte, tanto meno spiegate. Anche trarne una morale pare rischioso, così come è inutile inseguire i fantasmi di un’interpretazione assoluta, militante, unilaterale. Impiantarci sopra un’omelia meriterebbe il plotone d’esecuzione, quindi l’immediato e comprensibile abbandono della lettura di queste righe.
Con tali severe premesse, ma con necessario coraggio, si può cercare – molto cercare, chissà con quale riuscita – di dar conto dell’ultima e gagliarda raccolta di Altan, A me gli occhi, che reca nel sottotitolo “lo sguardo sul mondo come una terapia”. Carnefice della retorica, dei luoghi comuni, delle frasi fatte, degli slogan politici e commerciali, Altan acchiappa tutto ciò, lo interiorizza di slancio, se ne lascia ispirare e infine lo ribalta con intenti polemici e una scintilla di nonsense. Quasi del tutto vano d’altra parte è andare a caccia di eventuali ascendenze o antenati. Sì, certo, nel tratto potente c’è qualcosa di Grosz e nello spirito la perfidia dei francesi (Siné?); ma se i testi, inseparabili rispetto al disegno, possono ricordare addirittura Novello, è pur vero che questi rimane un cantore delle buone maniere borghesi, mentre Altan resterà il poeta di Cipputi e dell’odierna sgangheratezza. Quindi a ciascuno il suo Altan, non solo unico e irripetibile, ma poliedrico e aperto a qualsiasi apprezzamento; per cui se proprio occorre – e non è detto – esprimere qui le proprie soggettive preferenze nel novero dell’Altanologia, a parte i nasi che si ripiegano su stessi, gli occhioni a palla e i ciuffi irti come spunzoni sulla testa; a parte gli ombrelli piantati nel sedere, si coglie l’occasione per esprimere qui la più tenera riconoscenza per ulteriori dettagli del paesaggio altaniano quali cagnolini al guinzaglio, dita con unghioni sporgenti dalle tasche, zampe di mobili tipo piedini animali, lacci di scarpe e ciabatte, pentole sul fuoco, sigarette abbandonate nei posaceneri, carte appallottolate sul tavolo e ombrelloni in lontananza. Al culmine dell’entusiasmo filologico un paio di vignette nelle quali è parso di riconoscere l’uso del romanesco da parte dell’"uomo di Aquileia”, come lo definisce Paolo Mereghetti nella breve introduzione (un’intervista di Simonetta Sciandivasci chiude il libro).
Si può aggiungere che spesso le donne, almeno quelle ritratte a seno nudo, trasmettono una certa esotica sensualità che di riffa o di raffa fa pensare a Gauguin; e che i bambini, per lo più petulanti, hanno la funzione di provocare nei mostruosi adulti, a loro volta paralizzati dentro enormi poltrone, delle vere e proprie esplosioni di cinismo.
Il volume è organizzato lungo l’arco di dodici grandi temi, a partire dall’occidente e dalle sue responsabilità e proseguendo con l’Italia che fa schifo e fa ridere, la ferocia cialtrona della destra, il disastro senza riparo della sinistra, il lavoro disperante, la natura e l’ambiente che vanno a rotoli, la mancanza di senso nella società dell’ottundimento e così via. Per uno di quegli incroci combinatori di cui si ha scrupolo a chiedere se siano casuali o predisposti, una sezione è dedicata al sistema mediatico con lo stesso titolo, Il mezzo è il massaggio, che a causa di un errore tipografico nel 1967 spinse il professor Marshall McLuhan ad accettare di buon grado il gioco di parole e anzi a rivendicarne le potenzialità in un libricino in cui confermava come i media svolgessero un autentico massaggio sulla natura delle persone, stropicciandole, strofinandole, modellandole nell’equilibrio sensoriale con esiti niente affatto dissimili da quelli che si possono ammirare nei tipi piazzati dinanzi al microfono in questa raccolta.
Giorno per giorno, settimana per settimana, le tavole di Altan sono un tonico, un balsamo, un bagliore, una risorsa di intelligenza paradossale che lietamente integra gli eventi e ancora di più il modo in cui li confeziona la cronaca. Il punto è che viste tutte insieme, e osservate una dopo l’altra, hanno un tale impatto – tanto più alto e profondo quanto più utile ad aggirare l’effetto disperante – che si finisce per mettere da parte l’iniziale voto di castità interpretativa. E così, atterriti dal trovarci tutti in un mondo evocato come “una palla di lava puzzolente”, si finisce in balia di pensieri non condivisibili e azzardatissimi dubbi. Se Altan, per dire, non sia soprattutto una sorta di chiaroveggente testimone del male e della sventurata condizione umana; o se del suo lavoro non sia possibile una lettura, oltre che spassosamente artistica e impegnativamente politica, anche spirituale e – questa è grossa – perfino teologica. Ma poi ci si rivede dentro una vignetta, magari di profilo e con la dovuta goffaggine, pronti a essere inceneriti da qualche lampo che ridicolizza,però un po’ pure affratella.