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 2021  ottobre 13 Mercoledì calendario

Su "A Roma di notte le fontane si muovono" di Paolo Fallai (Solferino)

Questa città sopporta quasi tutto, «solo la presunzione non riesce proprio a tollerarla. Quando la incontra trova sempre il modo di punirla». È la premessa e il mantra di Paolo Fallai, nel suo libro A Roma di notte le fontane si muovono, in libreria per Solferino. Paolo è un giornalista dalla penna diretta ed elegante, priva di fronzoli, propria di chi non ha niente da dimostrare e non teme di affiancare la cultura alla tempra del cronista, che senza pedanterie ti guida per mano alla scoperta del suo racconto. Settantacinque ritratti di luoghi della capitale, sempre sorprendenti, pieni di storie e curiosità spesso sconosciute anche a chi in questa città abita da sempre. È una raccolta di piccoli saggi usciti nel tempo sul «Corriere della Sera», ma vederli tutti insieme raccolti in un libro ne fa una cosa assolutamente nuova, godibile e atta all’uso immediato.


È gradevole perdersi tra via Pane a Montespaccato che con i fornai non c’entra nulla, così come a piazza del Popolo che con il popolo non ha nulla a che vedere, ma con i pioppi sì. E largo Argentina, che viene dall’Alsazia e non dal Sud America. Il dito di Cicerone ci insegna che il vino costa un bajocco a fojetta, il fantasma di Beatrice Cenci vaga sul ponte di Castel Sant’Angelo ogni 11 settembre dal 1599, quando fu decapitata per aver ucciso il padre stupratore. Ma si possono fare anche due passi a via «Mejo de gnente», targa abusiva che durò un anno, mentre una cancellata impedisce di raschiare frammenti dalla Sedia del diavolo per preparare pozioni stregonesche.


Le fontane, a Roma, di notte, si muovono davvero. Non è un’immagine poetica. Rotolano da una piazza all’altra, finiscono smontate per decenni e secoli in magazzini bui, si ribellano e rispuntano di nuovo in un altro posto, sempre pronte a partire ancora. E le statue parlano, da Pasquino a Lucrezia. E le ville navigano, come vascelli, tra le onde dell’«architettrice», Plautilla Bricci. Ostia non sarebbe Ostia senza gli scariolanti di Ravenna e senza la «sdora», che oltre a cucinare sapeva leggere e scrivere e mandava lettere a casa degli oscuri eroi della bonifica. L’America Latina non si sarebbe riscattata dalla dominazione spagnola se l’allora ventiduenne Simon Bolivar, nel 1805, non avesse giurato sulla collinetta di Montesacro di liberarla.


In via Tor di Nona gli asini volano, che ci crediate o no. A piazza Vittorio c’è una porta magica che funziona come un portale di Einstein Rosen, e vi trascina in un battibaleno in un’altra dimensione, se sapete decifrare l’iscrizione. E non avreste mai potuto leggere Don Chisciotte se i Trinitari non avessero riscattato dai pirati Miguel de Cervantes. Se vi serve una mappa di Gerusalemme invece, chiedete al Colosseo.


Roma madre e matrigna per i ragazzi. Al Quadraro, su una collinetta alta appena dodici metri, c’è il terzo mausoleo più grande della città, dopo quello di Augusto e la mole Adriana. È la tomba omaggio dei seguaci all’imperatore bambino, Alessandro Severo, che aveva solo 13 anni quando ebbe le insegne del comando per essere poi ucciso tre anni dopo dai suoi stessi soldati. Ugo Forno invece di anni ne aveva dodici, quando insieme a un gruppo di partigiani impedì ai nazisti di far saltare in aria un ponte sull’Aniene, e morì ucciso da un colpo di mortaio.


E poi due pignatte, Mosè ridicolo, gli sventramenti, i tanti modi di guardare la cupola più famosa della terra, quella di San Pietro. E ancora re Mida a Villa Gordiani, Gutenberg a Campitelli, le spoglie di Nerone scomparse, l’equivoco di Marco Aurelio e Costantino e quello di Costantino e Massenzio, Giulio Cesare a Villa Sciarra con Cleopatra e Cesarione, i buchi di mitra in via Rasella, il primo fumetto della storia a San Clemente, carbonari assassinati, Gadda e Rodari, e Porta Maggiore con il suo fornaio innamorato.


Un giorno di tanti, tanti anni fa arrivò in una casa un lettera del Comune. Era indirizzata a due bambini e li invitava a partecipare a un concorso: Conosci Roma. Si trattava, se volevano, di andare in giro per la città, monumenti e tanto altro, e raccontare le proprie impressioni. Un concorso a premi: giocattoli, libri illustrati. I bambini volevano assolutamente partecipare, ma come fare? Troppo piccoli per prendere l’autobus da soli. Stavano per rinunciare, molto tristi, quando la nonna disse: e va bene, per me è una fatica, ma se volete vi accompagno io. Felici, per mesi, nel tempo libero, andarono, fotografarono, chiesero, guardarono, disegnarono e inviarono al Comune i propri lavori. E ogni tanto, per posta, arrivava un piccolo premio. Erano ormai grandi quando, anni dopo, capirono che era stata tutta un’invenzione della nonna, per fargli conoscere e amare la loro città, la più bella del mondo. È una storia vera (non di chi scrive). In mancanza, c’è il libro di Paolo Fallai. Se avete un figlio, un nipote o un amico da accompagnare alla scoperta di Roma saccheggiatelo, rigorosamente senza citare l’autore. Farete un figurone.