la Repubblica, 13 ottobre 2021
L’attivismo dei mariti 5Stelle
Nella notte dei tempi le mogli dei capi democristiani erano così invisibili che alcuni di loro – Rumor e Colombo, per dire – ne facevano a meno lasciandosi accudire da sorelle o da figure più simili a perpetue che a governanti. Così, durante la Prima Repubblica le mogli del potere erano loro stesse a volersene tenere ben lontane.
È possibile che alla base ci sia stato il trauma della signora Fanfani che in un’intervista al Borghese procurò un mare di guai al marito ("L’improvvida iniziativa di un familiare” fu la formula con cui si cercò di prendere le distanze). Ma certo Eleonora Moro rifiutò la presidenza dell’Opera Montessori con la risolutissima formula: “In politica l’onorevole Moro è vedovo”. Della signora Andreotti non si conosceva neppure il volto mancando negli archivi qualsiasi fotografia. Raccontava Guido Quaranta, che di quella lunga stagione fu il più indiscreto cronista, lo scandalo suscitato dalla moglie di Luigi Granelli quando a un comizio del marito fu sorpresa a fargli il gesto di stringere.
Tale condizione di muta e impercettibile irrilevanza si riassumeva in un’espressione che oggi risuona crudele e misteriosa, per cui le mogli dovevano restare “al loro posto”. Ecco. Forse è uno sproposito o un abbaglio, ma il fatto che le cronache politiche abbiano assegnato qualche rilievo alle confidenze del marito della ex sindaca di Torino Appendino e di quello della ex sindaca di Roma Raggi dice non solo l’ampiezza e la profondità del rivolgimento, ma a suo modo illustra anche un notevole balzo in avanti sul piano della parità di genere.
Ora nessuno pensa, nel tempo della disintermediazione, che i due mariti dovevano rimanere “al loro posto”. E infatti, dopo la sconfitta Andrea Severini non ha aspettato un attimo per dirsi tentato dal votare domenica per la destra; così come al ballottaggio di Torino, secondo il sito Lo Spiffero, Marco Lavatelli sarebbe orientato a votare pure lui per il centrodestra di Damilano. Ma qui ci si ferma, perché nei gender studies le teorie sono complesse e nel suo corso la storia non prevede inversioni e riequilibri così limpidi e lineari.
Il punto, piuttosto, è che mai come oggi la politica deve vedersela con il carattere degli individui e specialmente con quanti ruotano attorno al nucleo del potere e del sistema mediatico aspirando al ruolo, insieme vago e reclamatissimo, di personaggio o fenomeno. Da questo punto di vista, tra le varie peripezie che abbassano e un po’ anche rallegrano l’odierno costume politico, il parente invasivo e chiacchierone, potenziale motivo di consenso o di scandalo, è una costante che la Seconda e Terza Repubblica recano in dote come un inesorabile suggello, o ticket che dir si voglia.
Cominciò con il cognato di Di Pietro; proseguì nelle varie articolazioni famigliari e testimoniali alla corte di Berlusconi; si fece quindi largo la signora Dini e il figlio di lei con Rinnovamento; poi fu la volta del partito-famiglia dei Mastellas e così via, in rapida proliferazione, fino a Babbo Renzi, a Michetti suggerito dalla sorella di Meloni e a Bernardo scelto anche in qualità di pediatra della figlia di Licia Ronzulli. Un eventuale elenco, supportato da ampia bibliografia, dimostrerebbe che l’eterno familismo italiano quasi nulla si è fatto mancare. Ma i “mariti di” sono una novità. Nel frattempo, se n’è aggiunto un terzo, sempre a Torino, sempre cinque stelle: il compagno di Valentina Sganga, che però vota a sinistra. Tra cicaleccio e vaniloquio lo si accoglie nel novero dei post-famigliari con un sospiro.