Dunque smentisce le voci su un suo possibile ritiro?
«Completamente. Ho ancora due anni di contratto con la Israel e voglio continuare. È un mestiere bellissimo, questo».
Il grave incidente al Criterium del Delfinato 2019, con fratture multiple agli arti e lesioni interne, le ha tagliato in due la carriera: ha più rabbia o più rimpianti per quegli attimi sfortunati e così determinanti per la sua vita?
«Ripensandoci, non ho mai avuto rabbia dentro di me per quella caduta, ma solo delusione perché stavo facendo un buon lavoro ed ero in ottima condizione in vista di quel Tour: vincendolo avrei raggiunto Anquetil, Merckx, Hinault e Indurain, sarei entrato nella storia. Dopo due anni ancora sto combattendo per tornare al mio livello. Ma io credo che tutto accada per un motivo: ho avuto un momento di riflessione intima dopo l’incidente, mentre ero ancora in ospedale a Saint-Étienne, ho cercato di capire che cosa volessi davvero dalla vita, se continuare a fare il corridore o iniziare a fare qualcos’altro. Ho scoperto allora quanto davvero ami correre, gareggiare, viaggiare, stare sulla strada all’aria aperta. Mi piace lo stile di vita del ciclista professionista. Anche se non dovessi tornare al livello di prima, continuare ad avere il privilegio di farlo per me è una cosa che non ha prezzo».
Continua a sognare il quinto Tour?
«Continuo a sognare di tornare a vincere e, come dicevo, vedere Valverde e Nibali, cinque e un anno più di me, che ancora vincono corse mi dà enormi motivazioni per continuare ad allenarmi. Vincenzo, al Giro di Sicilia, mi ha impressionato: sembra ancora il corridore di cinque anni fa».
Però l’età media per diventare fenomeni si è molto abbassata. Cosa pensa, ad esempio, di Tadej Pogacar?
«Più che altro sono impressionato dalla sua condizione mentale, dalla facilità con cui affronta le gare. Ha sempre una grande pressione sulle spalle ed è incredibile il modo che ha di gestirla. Non gli ho mai visto fare qualcosa di sbagliato in gara, un attacco andato a vuoto, una pedalata fuori posto: se attacca, vince. Se non vince, condiziona la gara e mette gli altri alle corde».
Quanti Tour può vincere lo sloveno?
«Se niente lo ferma può battere ogni record. E, quando vorrà, può essere il primo dopo Pantani a centrare la doppietta Giro-Tour. Ci ho provato anch’io nel 2018 e dopo aver vinto il Giro sono arrivato terzo al Tour: ci sono andato vicino. Ma nessun rimpianto per aver consumato energie in Italia. È stato il momento più bello della mia carriera».
È come se quella sua impresa sul Colle delle Finestre, al Giro 2018, con quell’attacco solitario a 80 km dall’arrivo, sia stata una grande svolta storica nel ciclismo: oggi tanti attaccano da lontano, con coraggio, senza remore, senza pensare alle conseguenze. Come fece lei quel giorno.
«Sì, il ciclismo è cambiato molto e quel mio attacco, sconsiderato, incredibile anche solo da immaginare, ha forse dato il via a un modo nuovo di intendere questo sport. Prendete Julian Alaphilippe, Remco Evenepoel o Mathieu Van der Poel: non hanno mai paura di attaccare da lontano o di attaccare tante volte. Io non ebbi paura di mandare tutto per aria sul Colle delle Finestre pur di provare a vincere quel Giro che fino ad allora era stato al di sotto delle mie speranze. Abbiamo visto tante gare stupende negli ultimi tre anni. Più di quante non ne avessimo viste nei dieci precedenti».
L’ultima Roubaix è già mitologia, per esempio.
«L’ho vista in tv e ho avuto la sensazione di star assistendo a qualcosa di impressionante. Non amo quel tipo di corsa, sono un corridore da salite e corse a tappe, ma mi sono sentito parte di un tutto grandissimo. Colbrelli è stato straordinario, era anche alla sua prima partecipazione. Ma sono stati bravi tutti, dal primo all’ultimo. Il pavé l’ho assaggiato talvolta al Tour, nel 2014 in modo doloroso, durante la tappa di Arenberg mi ritirai per un caduta. È bello che il ciclismo sia ancora uno sport talmente "antico" da avere corse così».
Resterà nel ciclismo alla fine della sua carriera?
«Lo spero, sono molto interessato al mezzo bici, a tecnica, tecnologia, allo sviluppo di materiali e di metodiche di allenamento. Mi piacerebbe trasmettere le mie conoscenze ai giovani. Il nostro team, la Israel Start-Up Nation, è pieno di ragazzi molto giovani, stiamo crescendo tutti insieme».
Le piacerebbe che i suoi figli Kellan e Katie ripercorressero le sue orme nel suo sport?
«Sì, mi piacerebbe molto».