la Repubblica, 12 ottobre 2021
I No Vax del calcio
C’era una volta il caso tamponi. C’era il campionato a rischio interruzione per i focolai a grappolo, il contagio in campo in diretta tv. Un anno dopo, la Serie A è all’avanguardia nella lotta al Covid. Non c’è in questo momento in Europa un torneo che abbia risposto positivamente ai vaccini come quello italiano, dove il 98% dei tesserati, si è sottoposto al vaccino. Merito della sensibilità dei calciatori. Eppure anche qui resiste una minoranza sparuta: circa venti No Vax, quelli che tra calciatori e membri degli staff hanno declinato l’iniezione. Venti su circa mille persone, considerando che tutti i componenti di quello che si chiama in gergo “gruppo squadra”.
Al momento, chi si è vaccinato non deve più sottoporsi al tampone ogni 48 ore previsto dal protocollo. Da venerdì anche in Serie A scatterà il green pass obbligatorio. E la commissione medica della Figc pubblicherà un nuovo protocollo per adeguarsi alle normative nazionali. I No Vax, per giocare con gli altri, dovranno sottoporsi al tampone.
Non è una questione che riguarda solo il calcio. In Nba, ad esempio, Kyrie Irving ha rifiutato il vaccino, obbligatorio per giocare a New York, e quindi non potrà disputare le partite in casa dei suoi Nets. Nel calcio, l’allarme è tornato dopo il caso Rabiot in Nations League: il centrocampista della Juve è risultato positivo nel ritiro della Francia, dove i media parlano di un suo rifiuto del vaccino. In Premier League il popolo No Vax fa proseliti: i rifiuti sono vicini al 50%. Al confronto, i numeri della A sono rassicuranti. E anche se alcuni club (Milan, Udinese e Sassuolo) non svelano i dati ufficiali, ce ne sono almeno altri sette che garantiscono il 100% di vaccinati. Ma c’è anche il caso di una società che ha in gruppo 5 refrattari, altre due ne hanno tre, tutte le altre un caso soltanto. Pure il Genoa ne aveva uno, ma lo ha ceduto nel mercato estivo liberandosi, oltre che del suo stipendio, anche di possibili rischi.
L’Udinese ha iniziato a vaccinare per prima, a maggio, in molte squadre hanno aderito anche la formazione femminile e la Primavera, soprattutto se condividono il centro sportivo con i big. L’unica certezza è che chi ha detto “no” al vaccino è, nella stragrande maggioranza dei casi, molto convinto. Un No Vax, appunto. Si tratta prevalentemente di calciatori stranieri, africani o del Nord Europa. «È per motivi religiosi», ha detto uno di loro, senza in realtà circostanziare troppo. Un altro ha dato la colpa alla moglie che si informa su internet.
Se prendiamo a campione la fascia di età 18-35 anni, i giocatori hanno aderito alla campagna di vaccinazione molto più della popolazione media (98% contro 77%). Il merito è anche del pressing fatto dall’Associazione italiana calciatori, che in estate ha raggiunto tutti i ritiri per informare i singoli atleti sui vantaggi del vaccino e sui rischi di rifiutarlo. E tutti gli azzurri hanno già ricevuto entrambe le dosi. «Continuiamo a dare il buon esempio – dice Umberto Calcagno, che dell’Aic è il presidente – dopo i sacrifici e l’impegno già messi in campo dall’inizio della pandemia». Ne hanno beneficiato anche le società: solo per i tamponi, nello scampolo di campionato post pandemia, la Serie A aveva speso 3 milioni di euro. A queste cifre, vaccinarsi conviene a tutti.