Come è nato questo volume che ha la densità e lo spessore (360 pagine) di una vita intera?
«Ho tenuto per otto anni il corso Forme di poesia in musica all’università di Pavia in cui sono partito dalla Grecia antica passando per i trovatori, il Barocco, il Rinascimento, fino ad arrivare a dei personaggi contemporanei come Gaber, De André, De Gregori. Dopo tutto questo tempo a parlare degli altri, i miei collaboratori mi hanno suggerito di parlare di me, cosa che però mi sembrava un po’ ridondante. Così il nuovo corso l’ha tenuto Paolo Jachia, un professore di semiotica, mentre Massimo Germini, mio chitarrista da lungo tempo, spiegava i brani dal punto di vista musicale».
E lei?
«Io partecipavo raccontando fatti e aneddoti su come le canzoni da loro discusse erano nate».
Come sono state scelte?
«Non sono le più famose ma ognuna ruota intorno a un tema importante per la mia vita. Alla fine ne sono state tirate fuori venticinque che credo rappresentino bene i miei principi» .
Quali sono i suoi principi?
«Non scrivere mai di argomenti di cui ho già parlato e non dare mai per scontata una canzone, perché per realizzarla ci vuole l’intelligenza della mente ma anche quella del cuore.
Posso permettermi di scrivere canzoni anche molto "strane" perché so di non avere il physique du rôle di un Vasco Rossi che riempie gli stadi: ho costruito, negli anni, un pubblico fedele e i miei spettacoli di solito sono nei teatri, così posso divertirmi in vari modi, non solo cantando».
Cosa fa oltre a cantare?
«Monologhi, digressioni, aneddoti, testi teatrali e persino… barzellette!».
Chi è il suo pubblico oggi?
«C’è di tutto, da chi è cresciuto con me fino ai più giovani. E devo dire che sono contento perché un disco piuttosto complicato come l’ultimo, L’infinito (uscito nel 2018, ndr ), ha venduto circa 35 mila copie, ovvero un disco d’oro e mezzo, che oggi non sono poche. Ne sono felice, non tanto per le vendite, ma per il fatto che vedi che ci sono persone che ti seguono anche quando fai cose che in teoria sono un azzardo dal punto di vista commerciale».
"L’infinito" è anche una delle canzoni che nel libro vengono analizzate: di cosa parla?
«Dell’amore per la vita che è presente anche in persone che sembrerebbero odiarla, come Leopardi, e che invece in fondo all’anima la amava».
E poi ci sono i ritratti in canzone.
«Amo i ritratti. Molti sono dedicati ai miei figli o ad autori importanti per me: Borges, Pessoa. E in poesia Wislawa Szymborska ma anche Alda Merini: eravamo amici per la pelle».
Siccome ha parlato di Borges mi viene in mente "Samarcanda" perché avevo letto una storia simile nel suo "Racconti brevi e straordinari". Lei però ha sempre citato William Somerset Maugham. Qual è il riferimento corretto?
«In realtà la prima volta che appare la storia che ho raccontato in Samarcanda è nella Bibbia, nel Libro di Salomone, quando lui vuole salvare due amici e l’Angelo della morte si arrabbia. Ma è presente anche nella cultura indiana e in quella persiana. E poi in Maughan, dove il protagonista però è un servo, non un soldato, e in Borges. Ma è un tema che si trova in quasi tutte le culture, a sottolineare attraverso un paradosso l’impossibilità di sfuggire alla morte».
È vero che ha scritto questa canzone, che poi è diventata famosissima, dopo il casello della Milano-Bologna?
«È verissimo. Avevo appena letto questa storia e volevo farne una canzone. Però dovevo andare a Bologna e mentre viaggiavo mi sono venute le parole: mi sono fermato un paio di volte per scrivere quattro frasi che non avrei ricordato. Poi, arrivato a Bologna, avevo già quasi tutto il pezzo. Tranne il ritornello» .
Il famoso "Oh oh cavallo, oh oh"?
«Esatto. Quello è nato perché uno davanti a me ha inchiodato improvvisamente e a momenti gli andavo addosso. Allora gli ho gridato: "Oh oh coglione!". Immediatamente ho avuto una folgorazione ed è diventato "Oh oh cavallo"».
Però lei non era contento di aver avuto successo con quel brano.
«No, perché non era stato capito. Era stato preso come una specie di Furia cavallo del West, lo cantavano e ancora oggi lo cantano i bambini. Venivo da due dischi che avevano venduto mille copie, nessuno mi conosceva. Samarcanda vendette ottantamila copie in una settimana. Io allora ero un po’ orso, poi mi sono svezzato, ma a quel punto da un momento all’altro c’era gente che mi veniva addosso, mi buttava di qua e di là. Per non parlare dei concerti: ero abituato a suonare con due chitarre per cento persone e, all’improvviso, erano migliaia. Così mi sono detto: "Devi essere all’altezza di ciò che hai voluto!". A poco a poco ho imparato».
Tanto che nel 2011 vince persino Sanremo con "Chiamami ancora amore", capace di arrivare a molta gente parlando di temi importanti.
«Quando mi è venuta questa canzone mi è sembrata diversissima da quello che faccio di solito e che fosse proprio da Sanremo. Però al tempo stesso era molto densa, era come se in ogni verso ci fosse un mondo: dai soldati che muoiono agli operai che perdono il lavoro, al dramma dei bambini che annegano e ai potenti che se ne fregano. Mi sono detto: "Tu devi cantarla con tutta la forza che hai. Far vedere al pubblico che ci credi". E ci credevo in effetti. Sentivo che quella canzone poteva vincere. Potevo solo sbagliare a cantarla. Invece non ho sbagliato. Anche se, mentre la cantavo, ero così commosso dentro di me che ho sentito quel pezzo prendere vita. Quando sono arrivato a Sanremo la prima sera al ristorante c’erano tre persone che volevano l’autografo, la sera dopo averla cantata invece c’era così tanta gente che non potevo entrare: lì ho capito che quello che sentivo io era passato al pubblico».
Ma una canzone può essere considerata poesia?
«"Lirica" viene da lira: tutta la poesia greca antica era suonata. Addirittura c’erano due generi: quello più malinconico ed elegiaco di Saffo e di Alceo, che veniva suonato con il barbiton, una lira molto arcuata a quattro corde . E poi c’era... il rap! Archiloco e Ipponatte recitavano sulla musica di un flauto facendo invettive contro i loro nemici. Da sempre nella musica, nell’arte e forse nel mondo c’è una corrente che parla di malinconia, di tristezza, di dolore che è molto più calma e una corrente fatta di rabbia, di forza, che è invece molto più energica. Che oggi sono: il tango e il rock. Tutto viene da lì» .