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 2021  ottobre 10 Domenica calendario

Tutto quello che sapete sui gatti è falso

Più gatti per tutti. La rinascita post Covid sarà migliore se ognuno si metterà un gatto in casa. Anzi, meglio più d’uno, perché i gatti sono come le ciliegie: uno tira l’altro. Per migliorarsi la vita non c’è che da condividerla con questa divinità pelosa. E sarebbe forse il caso che superMario Draghi introducesse un apposito capitolo di spesa nel Pnrr. Si sa che i soldi investiti in gatti sono quelli spesi meglio, e poi nella transizione ecologica ci starebbero benissimo.
Certo, come tesi potrà apparire un po’ estremista e, come dire?, leggermente sbilanciata. Ma non si può parlare del gatto restando neutrali, e nemmeno moderandosi. L’unico modo corretto di approcciarglisi è l’adorazione. Il gatto non ammette mezze misure: o lo si ama o lo si odia. Ora, si dà il caso che questo colloquio si svolga fra due persone che la loro scelta l’hanno fatta: gattolici credenti e praticanti. E anche scriventi. Costanza Rizzacasa d’Orsogna ha pubblicato un autentico bestseller, Storia di Milo, il gatto che non sapeva saltare, fiction tenera e toccante con un protagonista vero, il suo gatto disabile Milo, e adesso bissa con Il gatto che andò al Polo sud (entrambi per Guanda). Il soprascritto è invece responsabile di un saggio non sui gatti, ma sull’amore per loro, Il gattolico praticante - Esercizi di devozione felina (Garzanti) che le sue belle sette edizioni le ha fatte, segno che il gatto regna anche in libreria oltre che nei nostri cuori. Proprio sulla pandemia e sui suoi danni collaterali, Costanza lancia l’allarme: «Troppi gatti, anzi troppi animali sono stati adottati durante il lockdown. Finita la clausura, c’è chi se ne sbarazza abbandonandoli o riportandoli indietro. I gattili, che si erano svuotati, si stanno riempiendo. Come se gli animali fossero cose. Nel nuovo libro di Milo c’è un episodio simile, quello di un labrador comprato durante il lockdown e poi abbandonato. Milo lo salva e lo chiama Lunedì». Vergogna.
Il problema è che, anche se il gatto vince, e infatti ha scavalcato il cane come animale più presente (e presidente) nelle case degli italiani, restano sul suo conto delle dicerie insensate. Serve ancora e sempre un illuminismo micesco per disperdere le tenebre del pregiudizio. Per esempio, capita ancora di sentire blaterare che il gatto è anaffettivo, e in ogni caso meno affettuoso del cane. «Intanto, bisogna considerare che il rapporto del gatto con l’uomo è molto più recente di quello del cane», premette Costanza, e ha perfettamente ragione perché il cane è l’animale dell’uomo cacciatore e pastore, il gatto quello dell’uomo agricoltore. «Ma poi - sempre Costanza - il paragone non ha senso. Certo, magari Milo non scodinzola, ma esprime l’affetto in molti altri modi, come tutti i gatti. Un giornale americano ne ha recentemente contati venticinque, anche imprevedibili come strizzare gli occhi. Milo mi aspetta dietro la porta e mi fa scenate di gelosia se rientro tardi. Lui è disabile, soffre di ipoplasia cerebellare che colpisce il cervelletto e gli fa perdere l’equilibrio, quindi è un caso particolare. Ma credo che ogni gatto abbia la sua personalità». Ecco il punto. Nel rapporto con il gatto bisogna capire, e prima lo si fa e meglio è, che non ha né mai avrà dei comportamenti stereotipati, prevedibili, scontati. Ognuno fa storia a sé, è unico e irripetibile, per citare Papa Wojtyla. Testimonianza personale: i miei due gatti (anzi, i due gatti di cui sono l’umano, tollerato in casa loro) sono fratelli e vengono dallo stesso gattile in provincia di Napoli, il che spiega perché oltre al nome ufficiale tassesco ne abbiano uno ufficioso locale, e infatti si chiamano Argante-Ciro e Goffredo-Salvatore. Bene: non potrebbero avere un carattere più diverso. Tanto Argante è timido, pauroso e intenso, tanto Goffredo è estroverso, caciarone e giocherellone. Stessa vita, stesse esperienze, ma reazioni completamente diverse. L’unico aspetto in cui si somigliano, anzi sono proprio uguali, è il dispotismo capriccioso verso il loro servitore bipede.
Poi, altra superstizione: il gatto si affeziona alla casa, non all’umano con cui la divide. Costanza: «Ma no. È una questione di abitudine, esattamente come per noi. Una persona che sta sempre chiusa in casa non se ne allontana volentieri. È chiaro che anche il gatto si affeziona agli ambienti e agli odori familiari che facciamo tutti. Il trasloco è un trauma per noi, quindi anche per lui. Però io con Milo viaggio, anche perché me l’ha consigliato il suo neurologo. Mi disse: se lei lo porta con sé da subito, si abituerà. È successo così, e infatti durante il lockdown ha sofferto come me di non poter andare in giro». Si può aggiungere che le cronache sono piene di gatti viaggiatori, e di altri che hanno fatto chilometri per tornare a casa.
E ancora, dolendoci del cahier dei luogo comuni: il gatto è crudele. «Milo, no: è un gatto animalista. Forse per la sua disabilità non ha mai ucciso nessuno e più gli animali sono piccoli più ne ha paura. È terrorizzato dalle falene, ma una volta in montagna ha attaccato una mucca. Resta il fatto che non esistono gatti vegani e che il gatto è un cacciatore». Aggiungo io: cacciatore, ma almeno senza ipocrisia. In quest’era di buonismo appiccicoso e di pentimenti full time, lui non si scusa di niente. Anzi, con il sorcio in bocca è fiero di aver fatto bene il suo mestiere di killer: può essere feroce, ma non è mai falso.
E i gatti neri? «Superstizioni. Milo è nero ed è bellissimo, ma per me lo sarebbe anche se fosse verde o a pallini. Certo, sacche di ignoranza esistono ancora. Un rifugio di Bristol non voleva gatti neri perché non venivano bene nelle foto, una doppia assurdità perché non è vero che i gatti neri non sono fotogenici, e poi è quasi impossibile fare una foto brutta a qualsiasi gatto». Il che spiega perché il micio sia la vera star dei social: cosa sarebbe Facebook senza gattini? Nella società dell’immagine, la suprema eleganza del gatto non può che risultare vincente. Il gatto è chic anche quando si lecca il lato B alzando la zampa e, come diceva Cocteau, sembra che suoni il violoncello.
Infine, parliamo dei gattolici. Ci sentiamo incompresi quando spieghiamo che i nostri gatti sono una parte di noi. «Milo è mio figlio, io sono la sua mamma - e la voce di Costanza sembra emozionata -. So che è difficile da spiegare e forse anche da credere, ma non riesco a immaginare di poter essere più attaccata a qualcuno. Milo è arrivato nel 2013, in un momento complicato della mia vita, e me l’ha cambiata. Mi ha migliorato, come sempre quando ci dedichiamo agli altri. Milo è disabile e tutti in qualche momento ci siamo sentiti così, discriminati o in difficoltà. Credo sia per questo che piace tanto ai bambini, ne ho incontrati più di 21 mila nelle scuole. Uno, si chiama Eugenio, mi ha detto che Milo doveva sentirsi come lui quando per la prima volta gli hanno tolto le rotelle dalla bicicletta». Quando adotti un gatto non sei più io, sei noi. Lui trasforma il rientro in una casa vuota nel rientro a Casa. È una fonte infinita di affetto, divertimento, fascino. Ed è difficile, no, è impossibile credere che dietro la profondità metafisica dei suoi sguardi, «prunelles pâles, clairs fanaux, vivantes opales», così li cantò Baudelaire, non ci sia un’anima.