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 2021  ottobre 11 Lunedì calendario

Lello Arena ricorda Massimo Troisi

Il rimpianto più grande di Lello Arena è quello di non aver mai visto insieme le due persone più importanti della sua vita: «Mia figlia e Massimo Troisi non sono mai stati nella stessa stanza. È una cosa impossibile, mi fa ancora impressione». Impossibile ma vera: perché i due fondatori de La Smorfia non hanno trascorso insieme quelli che sarebbero stati gli ultimi anni di Troisi, morto nel 1994. Tutto a causa di una lite a bassa intensità scoppiata nel 1987 quando ad Arena non fu dato un ruolo in Le vie del Signore sono finite. Rimpianti che l’attore napoletano ha messo in apertura di C’era una volta, libro in uscita per Rizzoli il 12 ottobre e dedicato alla favola che ha portato alla nascita di uno dei gruppi leggendari dello spettacolo e del cinema italiano.E ci ha messo quasi trent’anni Arena per mettere nero su bianco quel racconto. «In realtà non l’avrei mai scritto. Fa parte di un privato che si fa fatica a rendere pubblico. Poi ho pensato che non volevo che questa storia potesse essere raccontata da corsari». È un resoconto in cui Arena evoca forze cosmiche, mitologiche. «Già la mia storia parla tanto: mio padre torna dalla guerra e trova la sua bellissima fidanzata bionda che lo ha tradito e si è mangiata tutti i suoi soldi. Come si dice a Napoli: “Cornuto e mazziato”. Poi in un’estrazione vince un posto di lavoro e solo allora incontra mia madre». Le stesse forze cosmiche che intanto lavorano per far sbocciare il talento di Troisi. L’incontro tra i due nei primi anni Settanta, quando Troisi sostituisce un attore ammalato in una rappresentazione a San Giorgio a Cremano. «Doveva restare in scena solo pochi secondi: dopo sei minuti era ancora lì, il pubblico impazzito». L’inizio de La Smorfia frutto del puro caso. «Massimo è stato un lievito per le nostre vite. Ha sempre saputo di non avere molto tempo e ci ha messo nelle condizioni di essere attori autonomi». Ma è vero anche il contrario: «Meno male che ci siamo stati noi: non è facile essere Troisi e non avere la possibilità di esserlo. In che senso? Lui è sempre stato impegnato politicamente. Ma quando interveniva a scuola la gente iniziava a ridere e non la finiva più. Il teatro gli ha dato la possibilità di canalizzare la sua energia».
Una storia che tiene dentro anche dieci anni di convivenza. «Anche a Roma, dove ci trasferimmo nel 1977, non ci siamo mai fatti mancare la dimensione di basso napoletano». Un basso che era un laboratorio permanente. «Per fortuna Massimo si svegliava tardi, regalandoci mezza giornata di normalità. Poi iniziava il gioco. Andava alla finestra, guardava fuori, chiedeva: “Ma sono arrivati?”. E al mio “ma chi deve arrivare?” rispondeva serissimo: “Ma come chi? Gli alieni! Sono arrivati gli alieni?”». E così via, per tutta la giornata: «Si ostinava a parlarmi di notte. Io dopo dieci minuti crollavo e lui dopo un’ora mi svegliava: “Rafé, ma ti sei addormentato? E uno si addormenta così? Avvisa perlomeno”. Come se fossi stato in grado di avvisare che mi stavo addormentando…».
Un racconto commovente e divertente quello di Arena. Che ormai sa di dover avere a che fare anche con la conservazione della leggenda di cui ha fatto parte. «Speriamo che il Comune di Napoli tenga fede agli impegni e dedichi a Massimo una parte del museo Pan. Io ed Enzo De Caro vogliamo condividere i ricordi che la vita con lui ci ha lasciato. Devono appartenere a tutti». E C’era una volta è una toccante guida a quel patrimonio nazionale che va sotto il nome di Massimo Trosi.