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 2021  ottobre 11 Lunedì calendario

Drusilla Foer si racconta

Di tutte le cose che Drusilla Foer fa, attrice e cantante e autrice, nessuna la definisce a pieno. «Tendo a qualificarmi come anziana soubrette», scrive nel suo Tu non conosci la vergogna (Mondadori), che sarebbe un’autobiografia se lei fosse persona separata dal suo personaggio, ma in lei l’intreccio è indivisibile. Nel libro racconta la sua vita tra Cuba, New York, Siena, le navi, le campagne, e ci ha messo dentro vite vere oltre la sua, quella dei genitori, dei nonni, della tata, del marito morto e in questo modo diventa vera oltre il personaggio inventato (dall’attore senese, classe 1945, Gianluca Gori) che ha portato a teatro e in tv. È stata la rivelazione della Repubblica delle donne , il programma di Chiambretti al quale Mediaset, qualche stagione fa, affidò il nuovo corso easy pop di Rete4.
Prima era stata giudice di Strafactor , dopo signora di Ciao maschio in Rai, in mezzo a cinema, radio, una parca mondanità e molto teatro, perno della sua carriera (da fine novembre a febbraio sarà in tour con 40 date di una nuova versione di Eleganzissima ).
Drusilla è una maschera, quindi una persona. Di lei s’è detto più di quello che si sapeva, ma lei non ha scritto il libro per fare chiarezza né per dire la verità. Perché, allora?
«Mi è stato proposto e ho accettato, certa di poter restituire con compattezza ciò che mi ha commossa e formata. Avevo sottovalutato la potenza emotiva della scrittura, che ti costringe a fare i conti con il modo in cui la memoria rimescola le nuance del vissuto, restituendotelo sempre diverso».
È preoccupata del risultato?
«Certo. Finora ho avuto giudizi accorati da persone care e vicine».
Non si fida dell’accoramento o delle persone vicine?
«Mi fido, ma non basta. Non sono una fanatica degli applausi, ma dei silenzi che si creano in teatro e che ti fanno capire che il pubblico ascolta. Gli artisti hanno un unico privilegio: poter esporre la propria visione delle cose a qualcuno che li ascolta».
Quell’ascolto, come gli applausi, può creare dipendenza?
«Il pubblico lo meriti, lo cerchi: ci parli, ti ci relazioni, ma non puoi desiderarlo. È quando vuoi il suo consenso che finisci in trappola».
Dice così anche Matteo Renzi, toscano come lei: la politica non si fa con i like, però poi cerca i like.
«Se è il momento di parlare di politica e della capacità dell’Italia di accogliere personaggi perdonabili me lo dica: prendo un gin tonic».
Lo prenda. Chi sono i personaggi perdonabili?
«Quelli che si lasciano sempre uno spazio per il perdono. Dicono: ora porto avanti questo progetto fantastico e verrò assolto».
Renzi deve ritirarsi fino a quando non verrà perdonato?
«Uno con quella indole deve andare avanti senza ritegno e vergogna: se l’Italia è pronta ad avere un personaggio spesso contraddittorio e che però pur senza voti riesce a ribaltare e indirizzare le cose, e che quindi ha qualcosa che funziona, deve lasciarlo lavorare. Non mi faccia parlare di politica: sono molto ascoltata, non vorrei dare idee…».
Sarebbe splendido.
«L’Italia, politicamente, è come la letteratura coreana in libreria: segue il principio del “vediamo se va”».
L’Italia è il suo pubblico. Vuole bene al suo pubblico?
«Avverto la responsabilità di quello che rappresento ma sono poco interessata alle aspettative che si hanno su di me. Sentire la responsabilità del rapporto con qualcuno e la volontà di averne cura, in fondo, sono forme d’amore».
Lei scrive nel suo libro di fare molto sesso, anche
occasionale, perché è amore anche quello e, di più, è “un’occasione”.
«Come tutte le forme d’amore, inclusa quella verso di sé».
Un esempio d’amore per se stessi?
«Indosso lo stesso paio di pantaloni da una settimana: non mi sono mai voluta tanto bene».
Il dolore sembra esserci stato poco nella sua vita: sembra non averla mai travolta.
«Il dolore non mi ha annientata e io ho scelto di raccontare la parte finale della guerra. Non la ricetta del risotto, ma il risotto».
Risotto?
«Sì, volevo dire risotto perché contiene il sorriso ed è faticoso da preparare».
La parola recitata le dà un piacere carnale?
«Il peggior errore che può commettere un attore è ascoltarsi troppo: il suono della propria voce è così potente che distrae da ciò che si dice. Amo dire parolacce, ma garbo è la parola con il suono e il significato che più amo».
Lei non parla di identità, ma di indole. Dice che da quella non si scappa, che “si può solamente integrare”.
«Non sempre si può essere sinceri, ma leali sì: posso darti quello che so di me ma non quello che devo ancora scoprire. Non so se le scelte che ho fatto fossero le migliori, ma erano quelle che potevo fare nel momento in cui le ho fatte. Per non essere prigionieri della propria indole si deve integrare ciò che siamo, che non muta, con ciò che vorremmo, che muta».
Il teatro l’ha aiutata in questo?
«Il teatro lo intendo come un luogo di narrazione: una cucina dove si entra con l’intenzione di fare il risotto e lo si fa».
Forse la sua parola preferita non è garbo, ma risotto.
«Forse è una ricetta: risotto garbato».