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 2021  ottobre 11 Lunedì calendario

Sonny Colbrelli si racconta

C’è stato un tempo in cui Sonny non era ancora Colbrelli. «Avevo dieci anni. Ero grosso, occhialuto, con due fondi di bottiglia grandi così per correggere miopia e strabismo e un ciuffo di capelli che a furia di stingerli erano diventati bianchi. Inguardabile. Ed ero un rompipalle: facevo i dispetti ai ragazzini di Casto, comunità montana della valle Sabbia, in provincia di Brescia, dove sono cresciuto, e quelli li facevano a me. Partivo in bici per fare il giro del paese, un percorso di due chilometri, ma mangiavo come se ne dovessi pedalare sessanta: cioccolata, coca cola e panini con la mortadella. E poi quel nome: Sonny in onore di Sonny Crockett, detective di “Miami Vice”. I miei erano invasati del telefilm». Insomma, un disastro. Ma poiché la vita è cambiamento, quando molti anni dopo Sonny ha incontrato Colbrelli e i due si sono piaciuti, i tornanti sono diventati meno ripidi. Questa, prima ancora della leggenda del re della Roubaix 2021, è la storia di una trasformazione a tappe, come si addice a un campione di ciclismo.
Sonny cosa c’era nel pianto a dirotto sul prato del velodromo di Roubaix, appena battuto Van der Poel?
«Il riscatto di una vita di sacrifici. Vincere la mia prima Roubaix, in quelle condizioni poi... Ero incredulo. Ma non ho pianto solo a Roubaix, l’ho fatto anche dopo l’oro europeo».
Giusto sottolinearlo: finalmente un uomo che non ha paura delle sue emozioni.
«Sono un sentimentalone, piango davanti ai film, piango quando saluto mia moglie Adelina e i miei figli, Vittoria e Tomaso, partendo per una trasferta. Sto lontano da casa 250-260 giorni all’anno: la famiglia mi manca, sapere di essere amato mi permette di correre libero».
Se ripensa alla Roubaix, cosa rivede come prima cosa?
«Boonen e Cancellara che alzano la pietra di pavé e io davanti alla tv che mi chiedo: chissà cosa si prova...».
E cosa si prova?
«È pesantissima! Avevo le braccia così stanche che ho temuto di crollare di schianto sotto il peso del trofeo, sai che figura...?».
Quanto ci ha messo a scrostarsi di dosso il fango?
«Il protocollo del podio incalzava: 5-6 bottigliette di acqua fredda e un pacchetto di salviette umide».
Le due gomme bucate prima dell’arrivo: leggenda o verità?
«Macché leggenda... Sono entrato in una buca e ho proprio sentito il rumore della foratura. Da lì in poi è cambiata la guidabilità della bici, pedalavo al limite, con la paura di scivolare come Moscon».
Il vecchio Sonny sarebbe scivolato per terra, infatti.
«Sono d’accordo. Il vecchio Sonny con la testa non era a puntino, diciamo. Complessi, paranoie, dubbi. Puoi essere al 100 per cento fisicamente, ma è la testa che dirige. Il nuovo Sonny invece non si è fermato».
Parliamone. Come nasce Sonny Colbrelli campione italiano, europeo e del pavé a 31 anni?
«La dieta: dal terzo anno da professionista ho smesso di essere sovrappeso. Correvo con 7-8 chili di zavorra. Ricordo una volta in Qatar, con la Bardiani di Bruno Reverberi, che non è uno che te le manda a dire. A tavola mi vede bere un litro di acqua gassata. Batte i pugni sul tavolo, sbotta: sei già gonfio, che cavolo fai? Ho capito che non scherzava. Quell’inverno col cibo mi sono tenuto, l’anno dopo ho vinto sette gare. Da lì non ho più sgarrato».
La rinuncia più grande?
«Andare a letto con la fame. Duro ma necessario».
Dopo il corpo, la mente.
«Paola Pagani, la mia mental coach, dice che abbiamo fatto un lavoro di rimozione dei pensieri-spazzatura. Oggi non vado, mi fermerò, non ce la faccio... Quando ne affiora uno mi dico che va tutto bene, che io là davanti con i migliori ci posso stare perché me lo merito. Vengo da una famiglia di operai, conosco il valore dei sacrifici e della fatica».
È la mentalità operaia uno dei suoi segreti?
«La fabbrica è stata la mia salvezza. Prima le maniglie, dove lavorava papà Chicco, poi i tubi: alle 6 del mattino li tiravo fuori dal forno e li caricavo sui camion. Finito il turno, via in bici ad allenarmi: un paradiso, in confronto. A 17 anni ho detto a mio padre: scegli tra la tuta da operaio e quella da corridore. E lui: vai pure in bicicletta».
Operaio anche nonno Celestino.
«Ai meno 3 km dal traguardo della Roubaix, ho accarezzato il taschino dove tengo la sua foto scolorita e ho guardato il cielo: nonno, fammi fare il numero della vita. Mi veniva a prendere a scuola, mi portava in pista a Dalmine, con la pensione mi comprava barrette, gel, pezzi di ricambio. Sognava di vedermi professionista, se n’è andato in due settimane per un tumore. Spero di averlo ricambiato».
Adesso che Sonny è diventato Colbrelli, gli obiettivi cambiano.
«Nel 2022 vorrei riconfermarmi, tornare al Giro d’Italia che non corro da 5 anni, punterò a Mondiale e Sanremo. Voglio fare le cose per bene, arrivare alle corse sereno, continuare il mio percorso».
L’unico giorno da dimenticare di questo spettacolare 2021 è il 15 luglio.
«Già. Il blitz della gendarmerie al Tour, nell’albergo della mia squadra, la Bahrein. Una perquisizione che ha gettato fango sul nulla. Se ne è più saputo qualcosa? No, eppure il mio cellulare e il mio computer sono ancora sequestrati. La verità è che ci sarà sempre l’invidia, il prezzo da pagare quando si va forte. Le critiche le leggo, gli emoticon delle siringhe sui social li vedo ma cerco di farmeli scivolare addosso. Ho capito che non si può piacere a tutti».
Merckx sulla Gazzetta ha riconosciuto il suo valore.
«Mi ha fatto piacere, l’ho chiamato per ringraziarlo».
Un regalo che si farà?
«Ho pensato alla Ferrari bianca di Sonny Crockett, ma non è tanto il mio genere. Piuttosto vorrei fare qualcosa in casa con la bici e la maglia infangata della Roubaix, che mai laverò...».
Sarà contenta sua moglie.
«Eh ma Adelina mi vuole bene, vedrà che mi accontenta».