La Stampa, 10 ottobre 2021
La Decima di Beethoven completata dal computer
E così abbiamo anche la Decima sinfonia «di» Beethoven. Scritta a sei mani, se si può dire così, da Ludwig van, da un gruppo di musicologi e soprattutto dall’intelligenza artificiale. Insomma, un computer si è incaricato di comporre quello che Beethoven non poté o non volle scrivere. L’Orchestra Beethoven, diretta da Dirk Kaftan, di eseguirlo per la prima volta ieri, al Telekom Forum di Bonn e, ovviamente, in streaming.
Non è la prima volta che si tenta di allargare il corpus delle Nove. Alla sua morte, nel 1827, Beethoven lasciò una disordinata serie di abbozzi della Decima, sparsi in vari album e quaderni (se li fabbricava di persona, legando insieme foglietti e ritagli): circa 250 «battute» che poi non sono tutte nemmeno tali, semmai veloci appunti difficilmente intelligibili. Che sia andato oltre è improbabile, anche se una testimonianza indica che una Decima, o almeno una sua parte, sia esistita e non solo nella sua testa. La dobbiamo a Karl Holz, funzionario pubblico e musicista dilettante, secondo violino nel quartetto di Ignaz Schuppanzigh e compagno di bevute di Beethoven. Holz raccontò a Wilhelm von Lenz, uno dei primi biografi, che Beethoven gli aveva suonato al pianoforte un movimento di sinfonia, «le cui parti stavano tutte davanti a lui in abbozzi che nessuno, oltre a lui, poteva decifrare». In altra occasione, Holz disse che Beethoven gli aveva suonato addirittura la sinfonia intera, di cui però non si è mai trovata traccia. Nel 1988, il musicologo Barry Cooper usò i frammenti superstiti per la «ricostruzione» di un ipotetico primo movimento in mi bemolle maggiore, che fu eseguito, pubblicato e pure inciso (Nicholas Cook, invece, ha sfornato un movimento di un inesistente Sesto concerto per pianoforte e orchestra).
L’operazione presentata ieri a Bonn è diversa. Tutto inizia nei primi mesi del ’19, quando Matthias Röder dell’Istituto Karajan di Salisburgo contatta Ahmed Elgammal, direttore del labratorio di Arte & Intelligenza artificiale della Rutgers University del New Jersey. Al gruppo si uniscono il compositore Walter Werzowa, Mark Gotham, esperto di musica computazionale, Robert Levin dell’Università di Harvard e altri cervelloni non artificiali. Sono loro che hanno deciso come «riempire» il computer: con gli enigmatici appunti della Decima, certo, ma anche con altra musica di Beethoven. «Man mano che il progetto si evolveva», spiega Elgammal, «si evolveva anche la capacità dell’Intelligenza artificiale», che insomma doveva imparare a pensare come Beethoven. Per dirla sempre con Elgammal, si trattava di «insegnare alla macchina il processo creativo di Beethoven».
A questo punto lo scettico può obiettare che restano due problemi irrisolti e forse irrisolvibili. Il primo riguarda la Decima: non si tratta di ricostruire un puzzle in disordine, ma un puzzle al quale mancano quasi tutti i pezzi. Il secondo, più in generale, Beethoven, anzi il rapporto fra l’intelligenza umana e quella artificiale. La macchina potrà pure conoscere tutto quel che Beethoven ha scritto e padroneggiare alla perfezione i suoi «processi creativi». Ma difficilmente saprà trascenderli per creare qualcosa di nuovo, violando le sue stesse regole come faceva Beethoven. Vita e arte non sono la stessa cosa, ma non sono nemmeno inscindibili. E per ora il computer non ama, non odia, non si sbronza, non è malato e non è sordo. Insomma, non è Beethoven. L’idea di una macchina che si mette nel cervello di un genio e comincia a lavorare come lui è affascinante e inquietante insieme: ma forse è il destino di tutto quello che chiamiamo progresso.
Sta di fatto che il Beethoven computerizzato, applaudito da una platea dove spiccava l’ex cancelliere Gerhard Schröder in una serata assai kitsch (dietro gli orchestrali un maxischermo si riempiva di rette e punti e altra passamaneria «scientifica») è stata una delusione. Intanto, non è tutta la sinfonia, ma solo due movimenti: uno Scherzo e un Adagio maestoso che sfocia in un tempo di minuetto. Qui compare l’organo. Se nella Nona Beethoven aveva introdotto la voce umana, magari nella Decima ci avrebbe ficcato l’organo, e poi si sa che il Ludwig terminale vagheggiava di dedicarsi a grandi oratori para-händeliani (potrebbe essere la nuova sfida per il computer: fategli incrociare il Messiah e la Missa solemnis, e vedete che ne esce).
Di questa mezza Decima colpisce solo il tema, inequivocabilmente autentico, dello Scherzo. Per il resto, si resta su un para-Beethoven abbastanza generico. Absit iniuria verbis, il sapore è quello del pesce congelato: che sia pesce, non c’è dubbio; che pesce sia, se sogliola, merluzzo o tonno, no. E allora forse è meglio accontentarsi delle sinfonie che Beethoven ha scritto di persona e lasciare che la Decima resti quello che è: un sogno.