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 2021  ottobre 08 Venerdì calendario

Intervista a Massimo Recalcati


Voleva fare il poeta o il maestro, Massimo Recalcati, e anche se notoriamente ha poi fatto lo psicoanalista, quelle vocazioni originarie deve averle tenute vive nel linguaggio – poetico e semplice, lontano dalle astrusità tipiche della disciplina – cosa che forse spiega anche il successo che raccoglie non solo nell’attività clinica e accademica, ma a ogni conferenza, in libreria, televisione e ora anche a teatro. Per spiegare il suo lavoro, per dire, usa la metafora del padre floricoltore che «nel lazzaretto delle piante sapeva leggere il dolore sulle foglie; quello che faccio io, sulle persone». Del resto pure lui ha un diploma da agrotecnico, cui è riuscito a far seguire una laurea in filosofia che lo avrebbe portato a Francoforte. Se – come racconta – l’inconscio non si fosse messo di traverso e non gli avesse aperto la porta della psicoanalisi. Il resto è noto, specie da quando le sue lezioni sono diventate Lessico famigliare, amoroso e civile su Raitre. Ha scritto anche un testo teatrale – Amen – che sarà a giorni al Parenti di Milano, ma sono soprattutto i libri – dai titoli sempre fascinosi – ad aver diffuso il suo «verbo»: parole come inconscio, desiderio, godimento a cui ha dato nuova vita; temi eterni cui ha dato risposte scandalose nel tempo che idolatra il nuovo: l’amore che dura anziché quello che brucia, il perdono come risposta al tradimento. Non c’è sintomo di sofferenza che non abbia trattato e quindi non poteva non arrivare al sesso, che affronta in questo nuovo libro in tutti i suoi aspetti sani e disturbanti, individuali e sociali, dall’«autarchia» sessuale alla perversione. C’è pure una noterella sulle «notti di Arcore» e il paradossale consenso politico che ne derivò. Serio, non serioso, generoso nel parlar di sé, piace anche perché non se la tira. Psicoanalista fino in fondo, come musica al proprio matrimonio ha voluto La cura di Battiato.
Un amico che è suo grande fan mi ha detto scherzando: “il vero scoop sarebbe un’intervista a Recalcati senza fargli pronunciare il nome di Lacan”...
«Sono felice di avere contribuito a sdoganare il nome di Lacan nel nostro paese. È rimasto chiuso in una nicchia estremamente ristretta di studiosi e di psicoanalisti. È indubbio che il fascino della sua parola dipenda dalla sua capacità di toccare il reale dell’esperienza umana. Perché radunava attorno a sé un pubblico che andava ben al di là della cerchia degli psicoanalisti? Perché sapeva parlare di sesso e di amore, di desiderio e godimento come nessun altro. Non retoricamente ma cercando di toccare l’essenziale».
Il libro parla della sessualità umana, ma subito premette che qui non intende entrare nel vivo del dibattito in corso sull’identità di genere e che il tema meriterebbe un libro a parte. Il prossimo?
«No. Il prossimo sarà sulla Bibbia. È un lavoro che mi sta impegnando da più di un decennio: mostrare che la psicoanalisi dell’ebreo ateo Freud ha le sue radici più segrete e profonde nel logos biblico».
Il titolo è un aforisma di Lacan bizzarro e complicato da dimostrare per lui stesso che lo teorizzò. Come si può sintetizzare?
«Questo aforisma è stato illustrato da Lacan ricorrendo al sofisma filosofico di Zenone: Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Per quanto gli esseri umani coniughino sessualmente i loro corpi questo non gli consentirà mai di unificarsi. L’atto sessuale esiste ma non potrà mai dare luogo a un rapporto. Io non potrò mai sentire da dentro il godimento dell’altro e viceversa. L’incontro sessuale non può mai unire i due in uno solo. Seguendo una bella immagine di Barthes è come se un bambino per cercare di incontrare il tempo smontasse un orologio. Nelle sue mani non ci sarebbe il segreto del tempo ma solo qualche rotella, semplici ingranaggi… Io non posso mai venire a capo del segreto del godimento del corpo dell’altro».
Il rapporto sessuale non esiste ma i suoi fantasmi sì. Quali sono i più infestanti?
«Tra me e il corpo dell’altro c’è sempre di mezzo il fantasma. È un altro modo di leggere l’aforisma di Lacan. Il rapporto sessuale non esiste perché io sono innanzitutto in rapporto al mio fantasma prima di essere in rapporto all’altro. Il fantasma maschile tende a essere – come ha indicato Lacan – feticistico, a idolatrare il “pezzo”, il “divino dettaglio” del corpo. Quello femminile tende invece a non scindere il godimento dall’amore, o, meglio, a fare dipendere il godimento sessuale dal sentirsi amate. Ma non dobbiamo schiacciare i due fantasmi sulla semplice anatomia dei sessi. Maschile e femminile per come Lacan usa questi termini non si riferiscono a differenze anatomiche ma a stili differenti di soggettivare il nostro corpo sessuale. Questo significa che una donna può anche godere in modo maschile e un uomo può amare anche in modo femminile…». Nel capitolo sul feticismo lei racconta di pazienti ossessionati da seni e scarpe, piedi e slip, addominali o voci. Non da potere, soldi o cervello. Non sono erotizzanti?
«Potere, soldi e cervello sono attributi fallici. Rientrano nel capitolo dell’avere. Certo che ci può essere un feticismo fallico».
Nella costruzione dei fantasmi, “parole-proiettile” o atti dei genitori (il tradimento del coniuge in primis) sembrano segnare profondamente un figlio, perché?
«Ci sono traumi evidenti, palesi, persino eclatanti. E ci sono invece traumi più sottili, impercettibili, invisibili. Quello che rende gli eventi davvero traumatici non è tanto la natura dell’evento ma come il soggetto ha ripreso questo evento nel corso della sua storia. Sappiamo, per esempio, che ci sono parole che hanno marcato la nostra vita in modo fondamentale. Ma non seguendo un determinismo elementare secondo il quale la parola traumatica determina inesorabilmente la vita del soggetto. È il soggetto che si è identificato a quella parola, che ha elevato (inconsciamente) quella parola alla dignità di un destino drammatico».
C’è un capitolo sul tabù/mito della verginità. Esiste ancora o ha un valore nuovo?
«Per come ne parlo nel libro la verginità è una condizione irrinunciabile dell’amore. Però non la si deve intendere come un dato anatomico. Non coincide con il corpo illibato ma con la possibilità di ricominciare sempre dall’inizio, con un primo sguardo, un primo incontro, un primo bacio».
Da vizio capitale per i Padri della Chiesa a diritto democratico senza restrizioni, il sesso oggi sta meglio di quando era tabù?
«Io non sono un nostalgico del passato, tantomeno dei tabù. Nondimeno constato che il nostro tempo ha dissolto insieme al tabù anche la dimensione del segreto che invece è essenziale sia all’erotismo sia all’amore».
I ragazzi hanno più bisogno di educazione sentimentale o sessuale? E da chi?
«L’educazione sessuale non esiste. I ragazzi ne sanno sempre più dei loro supposti educatori. L’educazione sentimentale invece è fondamentale. Il suo luogo elettivo è la scuola. Ma non con corsi specialistici. Spiegare bene Petrarca, Ungaretti, Calvino è fare educazione sentimentale. Trasmettere il desiderio di sapere, erotizzare la cultura è fare educazione sentimentale».
Per spiegare, lei ricorre spesso a film e libri. Qui, visto il tema, ci sono Woody Allen e Philip Roth ma anche Fellini e Pasolini, Sorrentino e Lagioia...
«Be’ un lettore trova nel libro una lista di riferimenti che può decidere di approfondire. Per me il testo più importante però su questi temi resta Il Seminario XX di Lacan».
Tv, teatro, festival. Si sente showman?
«Per niente. La mia vita è solitaria e operaia. Ricevo continue proposte televisive che rifiuto quasi regolarmente. Dopo il terzo Lessico ho voluto chiudere quell’esperienza che è stata bellissima ma anche complicata visto la mia professione. I festival ai quali lei allude sono in realtà per me conferenze che preparo con grande cura. Il fatto che vi sia un vasto pubblico ad ascoltarmi mi gratifica e un po’ sempre mi imbarazza. Il teatro è una mia passione giovanile che ho ripreso con una scrittura fortemente drammatica. Le mie due attività principali restano quelle dello psicoanalista e del professore».
Come vive uno psicoanalista una parodia di Crozza? Con ironia o fastidio?
«La mia famiglia si diverte. Io sono molto a disagio pensando ai miei pazienti. Problema che evidentemente Crozza non si pone. È la ragione per la quale cerco di frequentare il meno possibile la televisione». —