La Stampa, 9 ottobre 2021
Intervista a Maria Ressa
«Niente è possibile senza i fatti. Solo una realtà condivisa basata sui fatti può salvarci. E spero che questo premio ci darà più potere per fare il nostro lavoro».La giornalista filippina Maria Ressa ammette d’essere «sotto shock» per aver vinto il Premio Nobel per la Pace con il collega russo Dmitry Murtov grazie alla loro «battaglia per difendere la libertà d’espressione nelle Filippine e in Russia». Due chiari esempi, dice il comitato del premio, «di tutti i giornalisti che rappresentano questo ideale». In una conferenza dalla redazione del sito di notizie che ha fondato, Rappler, Maria Ressa ha risposto ad alcune domande.
Cosa ne pensa del fatto che il premio è andato a una giornalista?
«Viviamo in un mondo in cui i fatti vengono messi in dubbio. Quando il più grande distributore di notizie al mondo dà priorità a bugie, avvolte nella rabbia e nell’odio e le dissemina più velocemente dei fatti, allora il giornalismo diventa militanza. Anche noi di Rappler ci siamo trovati intrappolati in queste sabbie mobili, chiedendoci come potevamo continuare la nostra missione. Il comitato del Nobel ha capito che un mondo senza fatti è un mondo senza verità e senza fiducia. Senza di esse non puoi certo vincere contro il Coronavirus o i cambiamenti climatici».
Com’è cambiato il giornalismo nei 30 anni in cui lei è nella professione?
«Sono 35 anni, in realtà. Sì, sono vecchia (ride), ma fondando Rappler conoscevamo gli standard, l’etica e la missione del giornalismo. Quando ci hanno attaccati non è che avessimo scelta. Il nostro motto è “tenere duro” sulla linea tra il bene e il male. In meno di 10 anni il governo filippino ha presentato dieci richieste di arresto nei miei confronti. È stato molto difficile, in certi momenti, ma ho sempre creduto che dovevamo continuare a fare chiarezza, con un giornalismo che chiede conto al governo, concentrandosi sulla corruzione. Il giornalismo non è mai stato così importante come oggi, nonostante sia sempre più difficile fare il nostro lavoro».
Il Nobel è stato dato per il collegamento inestricabile tra giornalismo e democrazia. Ma in che modo tutto ciò è collegato alla pace?
«Nulla è possibile senza i fatti. Anche quando sono veramente noiosi, tutto inizia con una realtà condivisa definita dai fatti. Noi giornalisti abbiamo perso il ruolo di guardiani dell’informazione a favore di piattaforme tecnologiche. È una crisi esistenziale globale. Questo virus di bugie introdotto dai social media contagia la gente reale. Nel nostro eco-sistema dell’informazione è esplosa una bomba atomica. E, come accadde nel dopoguerra, il mondo deve far quadrato per risolvere il problema. Cosa fece il mondo? Creò le Nazioni Unite e la Dichiarazione universale dei diritti umani. Stiamo vivendo un momento simile».
Lei ha dichiarato che le grandi società tecnologiche devono essere responsabili di quel che fanno. Pensa che ora la ascolteranno?
«Gli Stati Uniti sono a un momento spartiacque grazie alla nuova whistleblower Frances Haugen, che ha prodotto documenti interni che dimostrano che Facebook sapeva che stava danneggiando la gente. Il senatore Blumenthal lo ha definito il “momento Big Tabacco”, cioè proprio come quando le multinazionali del tabacco sapevano che danneggiavano la gente, ma hanno continuato a vendere anche ai bambini».
I media sono stati demonizzati. Pensa che il Nobel possa influire? Si comincerà a fidarsi di nuovo dei media?
«La mancanza di fiducia è un effetto collaterale della perdita dell’importanza dei fatti che porta alla manipolazione. Noi giornalisti non siamo certo infallibili, siamo esseri umani, ma non ci sono alternative. Ecco dove la Big Tech sbaglia a dire che l’Intelligenza Artificiale farà meglio di noi. L’IA è programmata da esseri umani con i loro punti di vista e i programmatori non devono rendere conto al pubblico. E.O. Wilson, biologo che studia i comportamenti emergenti, dice che la crisi attuale è composta da emozioni paleolitiche, istituzioni medievali e tecnologia divina. Quando non hai i fatti, non hai la verità e non hai fiducia. La fiducia è ciò che ci tiene uniti per riuscire a risolvere i problemi complessi che il mondo deve affrontare oggi: quindi, quando attacchi i media spari solo al messaggero».
Cosa può dire ai giornalisti intimiditi dal potere?
«Non c’è momento migliore per diventare un giornalista. Quand’è più pericoloso, è quand’è più importante. Il giornalismo ti metterà alla prova intellettualmente, fisicamente, spiritualmente, moralmente e ti insegnerà a capire i tuoi limiti. Dobbiamo pensare lentamente, non velocemente»