il Giornale, 9 ottobre 2021
Il computer prima di Apple
È stato il primo computer di Steve Jobs, ma non era di Apple. Si chiamava P101 ed era italiano, disegnato da Mario Bellini per Olivetti. La storia racconta che Jobs si presentò due volte a Bellini per offrirgli un lavoro nella sua azienda, ma il designer rifiutò: per lui computer, smartphone e tablet sono semplici scatole. Ancora oggi: nulla di eccitante. Eppure P 101 lo diventò, almeno per il fondatore della Mela. Così, nella settimana che celebra il decennio dalla morte di Steve Jobs, viene in mente quel primo calcolatore italiano, di cui raccontiamo la storia affascinante.
La Programma 101 nasce nel 1963: l’Olivetti, che aveva perso il suo fondatore Adriano, era entrata in crisi l’anno prima. E così la sua Divisione Elettronica Olivetti, nella quale lavorava il progettista Pier Giorgio Perotto, finisce nel mirino della General Electric, il nuovo azionista di maggioranza. Perotto stava lavorando su un prodotto che fosse una via di mezzo tra il calcolatore da scrivania che sapeva fare solo le quattro operazioni base e le grandi macchine specifiche azionate da tecnici specializzati. Voleva insomma creare un personal computer prima ancora dei personal computer. La sua perottina – così la chiamavano – prende dunque forma, ma la Olivetti-General Electric decide di chiudere la Deo espostare tutti nella nuova azienda. Perotto a quel punto si ingegna e dà di matto, letteralmente: l’idea era quella di mostrarsi inaffidabile, tanto che alla fine riesce a rimanere dov’era. A lavorare sul suo piccolo calcolatore che sicuramente agli americani non sarebbe interessato.
Il piccolo gruppo dei dimenticati – simile ai pirati di Jobs che un paio di decenni dopo diede forma al Macintosh – continua il suo sforzo sotto traccia e alla fine del 1964 arriva il prototipo della P101. Che conquista Natale Capellaro, Direttore Generale Tecnico della Olivetti: sicuramente era una macchina molto avanti, tanto avanti che in quel momento sarebbe servita a poco. Ma avrebbe fatto il futuro della tecnologia: la P101 era infatti meccanica e aveva 10 registri di memoria e un facile linguaggio di programmazione basato su 15 istruzioni elementari di significato intuitivo. Nonché la possibilità di registrare dati e programmi su una scheda magnetica tipo floppy disk, una piccola stampante incorporata. E, soprattutto, stava su una scrivania.
Capellaro insomma dà il via libera e per il design viene incaricato Mario Bellini, che propone una soluzione ai tempi molto funzionale e accattivante. Poi, su suggerimento di Elserino Piol, la presentazione del prodotto viene organizzata sul mercato americano, al BEMA di New York. Nell’ottobre 1965 insomma la P101 diviene l’attrazione principale dell’esposizione. E la stampa americana applaude alla nuova macchina pensate che arriva dall’Italia.
Se ne accorge però anche la concorrenza, che comincia a studiarla. E nel 1967 Hewlett Packard presenta sul mercato l’HP9100, ovvero un calcolatore che adotta alcune soluzioni brevettate dalla P101. La HP paga 900 mila dollari a Olivetti per le royalties, ma la cifra si moltiplicherà a dismisura approfittando del fatto che all’Olivetti alcuni alti dirigenti comunque continuavano a non credere nell’elettronica. La Programma 101 era insomma per loro troppo moderna.
L’errore fu pagato sul mercato. Dove un prodotto unico nel suo genere diventò il primo tra tanti in arrivo. La P101 alla fine fu prodotta e venduta in 44.000 unità a 3.200 dollari, che erano numeri lusinghieri ma non paragonabili con il successo della altre macchine Olivetti. Il suo sviluppo (seguirono le P203, P602 e P652) fu lento, e nel frattempo i rivali americani furono in grado di mettere sul mercato con macchine ancor più performanti. La soddisfazione fu, per l’azienda italiana, che la P101 finì addirittura per essere utilizzata dalla Nasa per o calcoli della missione sulla Luna. Però fu l’ultimo colpo di coda di una storia che rischiava di essere dimenticata se non ci fosse stato Steve Jobs. Che, ispirandosi a quel computer, cominciò con l’Apple I a conquistare il mondo. Tutto tranne Mario Bellini.