ItaliaOggi, 9 ottobre 2021
Orsi % Tori
«Il governo va avanti…»
Le parole valgono, ma è la voce, il tono, carico di nonchalance con cui Mario Draghi lo ha detto. Sentitelo o risentitelo a questo link https://video.milanofinanza.it/video/draghi-il-governo-va-avanti-A8Za5X5hA54e.
Non deve sorprendere quindi che a distanza di un giorno dalla apparente tempesta, Matteo Salvini sia andato a Palazzo Chigi e in un’ora scarsa di colloquio con il presidente del consiglio, senza che nulla sia cambiato rispetto al testo della richiesta di delega del governo al parlamento per la riforma fiscale, sia uscito con parole di collaborazione della Lega per la continuazione del governo.
Con Draghi a Palazzo Chigi la politica sta profondamente cambiando, per il semplice motivo che le sceneggiate vengono sommerse dalla razionalità, elementare, pacata…
Si può quindi essere ottimisti? L’Italia si rialzerà?
Non ci vuole una grande scienza per capire che l’Italia non è fra quasi tutti i paesi del mondo occidentale l’esempio migliore di efficienza in molti campi, dal fisco, alla giustizia, alla burocrazia. Una inefficienza che viene mitigata soltanto da due componenti: l’attitudine degli italiani al risparmio, secondi al mondo solo ai giapponesi, e la straordinaria capacità delle aziende italiane di esportare in tutto il mondo e da alcuni mesi in forte crescita in Cina, diventata il primo partner commerciale del paese davanti agli Stati Uniti. Questa performance, sottolineata nei giorni scorsi da Romano Prodi, apre non poche prospettive, positive e negative. Positive, perché essendo diventata la Cina il mercato più grande del mondo, avere la capacità di conquistare quote importanti di quel mercato da parte di prodotti e servizi italiani promette bene per il futuro. Negative, o meglio con aspetti negativi, per alcuni irrigidimenti (sempre secondo Prodi) del governo cinese verso una politica autoritaria dopo anni di crescente apertura verso una forma, sia pure speciale, di democrazia. «Prima dell’ascesa di Xi Jinping», è l’opinione di Prodi che conosce bene il paese avendovi anche insegnato in importanti università, «parlando con i vertici si percepiva una certa simpatia per la democrazia occidentale. Ora meno». Chi si sorprende di ciò (e non certo Prodi) non ha presente come la tecnologia stia cambiando la vita degli abitanti del mondo.
Sì, il presidente Xi Jinping, a luglio scorso ha rispolverato la divisa maoista, con un messaggio esplicito: la Cina è tuttora un paese comunista, anche se pregno di capitalismo, sulla base della scelta illuminata che fece Deng Xiaoping. E la suddivisione delle ricchezze del paese deve avvenire con meno ricchezze ai grandi imprenditori e più soldi ai poveri. È difficile non apprezzare questa linea, che ha portato a vari provvedimenti a contenimento e ridimensionamento degli Ott cinesi, come Alibaba e Tencent-WeChat, ma anche ad altre scelte per evitare le più che nocive indigestioni di smartphone dei ragazzi (ora non più di tot ore alla settimana) e di chi, anche adulto, non sa staccarsi dai videogiochi, nel baratro della ludopatia.
In questo effetto assolutamente negativo della tecnologia digitale, la Cina ha anticipato il mondo e tracciato la linea perfino a soggetti come Mark Zuckerberg che ha teorizzato la fine di alcuni valori fondamentali di una democrazia, come la privacy, pur di affermare i suoi sistemi del gruppo Facebook. Ebbene, finalmente Zuckerberg ha capito che il vento è cambiato e quindi ha sancito (vediamo se e come lo attuerà) che i ragazzi-bambini inferiori di 13 anni non possano avere un account su instagram. La decisione, tutta da verificare, gli è costata in borsa 6-7 miliardi di capitalizzazione, un’inezia rispetto ai quasi 1000 miliardi di valore borsistico del gigante, che fra le altre cose è la prima fonte di fake news.
Allora viva l’autoritarismo controllante di Xi Jinping che è arrivato a far scrivere ad alcuni giornali governativi che i videogiochi hanno la stessa caratteristica dell’oppio.
Discorso diverso è che per sottolineare queste salutari scelte, Xi Jinping rimette la casacca del presidente Mao. È evidentemente un altro messaggio chiaro, dopo la grande espansione con strumenti capitalistici, che Deng scelse per la nuova Cina sì da togliere sempre più dalla fame gli 1,4 miliardi di cinesi. Il messaggio è chiaro: non dimentichiamoci che siamo un paese comunista-socialista e che, se la creazione della Nuova Cina di Deng avvenne al culmine della povertà accentuata dalle purghe e delle altre diavolerie della Banda dei quattro, ora in Cina ci sono almeno 400 milioni di persone di classe media e la fame non c’è più. Ma la ricchezza va ridistribuita.
Ai paesi democratici questa logica non piace. Ai veri democratici non piace neppure che l’accumulo di ricchezze immense vada a danno dei poveri e che principalmente negli Usa ci siano ormai due Americhe: quelle dei ricchi sfondati e quella degli altri, e che le possibilità di evolvere siano limitatissime anche per un sistema di istruzione che fin dall’asilo, per non parlare delle grandi università, impone rette di decine di migliaia di dollari. Insomma insieme all’ambiente, ma non è una novità, il vero problema del mondo è la redistribuzione della ricchezza per consentire al numero maggiore possibile di poter condurre una vita dignitosa.
Da questo punto di vista è chiaro che la Cina primo mercato del mondo ha aspetti che non possono essere trascurati o sottovalutati e in questa area diventa fondamentale il progresso tecnologico, con il vantaggio di una guida unitaria senza limiti di durata al potere del presidente del partito comunista e del paese.
Questo è un punto che occorre tenere presente, sempre. Nella costituzione scritta da Mao ma nella quale ebbe poi un’influenza decisiva il pensiero di Deng, quasi in forma simpatica verso la democrazia classica, era scritto, come per gli Usa, che il capo del paese poteva durare in carica per due periodi massimi di cinque anni. Nel progetto introdotto nella costituzione da Xi Jinping, evidentemente con l’approvazione dell’Assemblea del popolo, il limite di permanenza al potere è stato eliminato.
Si può vedere la scelta in due modi:1) per eliminare uno dei cardini della democrazia occidentale per quasi tutti i capi di stato e di governo; 2) per aver compreso che nel vortice creato dalla prorompente rivoluzione tecnologica, poter non cambiare linea e quindi progetto paese per più di 10 anni è un vantaggio competitivo straordinario. Difficile dire se la scelta risponda alla ragione 1 o alla ragione 2. In tal senso, per capire meglio, non c’è da aspettare molto: nel 2022 scadrebbero i secondi cinque anni di comando del presidente Xi Jinping.
Prevarrà un concetto di democrazia occidentale o il vantaggio competitivo che crea, specialmente nel contesto tecnologico attuale, la possibilità di avere un piano a lungo termine che non cambia ogni 4-5 anni? Non vi è dubbio in ogni caso che, come li conosciamo anche nel mondo occidentale, taluni eccessi del capitalismo sono deleteri e quindi Xi Jinping ha voluto ricordare al mondo che la Cina è, dai tempi di Deng, un’eccezione con ideologia comunista-socialista, ma con strumenti capitalistici che in certe fasi dello sviluppo vanno messi sotto controllo.
Del resto, a darle ragione è stato direttamente l’attempato presidente Joe Biden che ha cominciato a riesumare lo strumento della democrazia di mercato con il rilancio dell’antitrust. È di tutta evidenza che sommando le capitalizzazioni degli Ott americani e osservando i loro comportamenti, il loro potere congiunto arriva a essere sfidante del potere dell’Amministrazione americana.
Si potrebbe quindi dire che mentre continua la competizione e la sfida fra i due più grandi paesi del mondo, i presidenti stanno tutti e due cercando di tagliare le unghie agli Ott, e per il momento, grazie anche alla forma di governo, Xi Jinping è in vantaggio.
Diverso ancora è il tema geopolitico e la riconferma, anche con continui voli di aerei militari cinesi su Taiwan, che Pechino non molla sulla pretesa di far ritornare indietro la storia a quando Taiwan era parte del territorio cinese. Questa azione si estende all’area di influenza degli Usa nel mar della Cina. E queste sì che sono problematiche serie, dove un errore da una parte o dall’altra potrebbe far scattare una brutta scintilla. Ma con le problematiche economiche che incombono a causa delle conseguenze del Covid (enorme liquidità, accensione dell’inflazione, grandi fallimenti) e comunque per i cicli e i ricicli storici dell’economia mondiale, è quasi sicuro che nessuno dei due paesi vorrà fare mosse pericolose per la pace militare, mentre la guerra commerciale nessuno la può arrestare.
acap
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Ed è mia personale convinzione che a prevalere sarà chi avrà più abilità nello sfruttare la straordinaria evoluzione scientifica e tecnologica, in una fase che non era mai stata vissuta nella storia del mondo. E, tra scienza e tecnologia, che ormai procedono strettamente connesse e di pari passo, l’intelligenza artificiale fa da apripista e trascinatore.
Io non so nulla di partite a scacchi, ma il professor Mario Rasetti sì. Il professore è presidente di Isi di Torino e New York, l’istituto di ricerca che da 34 anni, dopo il ritorno del professore dalla Princeton University, è sempre fra i primi dieci istituti di ricerca più importanti del mondo. Bene, è noto a tutti i giocatori di scacchi che le mosse di entrata sono ormai codificate e che la complessità viene più avanti nella partita. Da tempo i giocatori umani competono con l’intelligenza artificiale, che spesso vince. Ma recentemente è accaduto ciò che non era pensabile: il giocatore- intelligenza artificiale non ha vinto con le ultime mosse, ma fin dalla prima mossa, inventandone (si fa per dire) una completamente nuova.
Ma questo non è un allarme o un pericolo per l’intelligenza umana, per il cervello umano, che il professor Rasetti studia da anni. L’intelligenza artificiale, o meglio learning machine come il professore preferisce chiamarla, non può cogliere tutto quanto coglie il cervello dell’uomo in maniera contemporanea e coordinata: per esempio se cammina in strada, con la coda dell’occhio può vedere che arriva un auto, che c’è uno spigolo, e istantaneamente reagisce. La learning machine opera sui dati di cui dispone già. Se con un algoritmo ad ok predisposto gli si chiede di copiare un quadro di Vincent van Gogh, lo farà alla perfezione pezzetto di petalo dopo pezzetto, ma appunto per farlo deve avere incamerato com’erano i fiori di quel quadro.
Quindi il primato del cervello umano non è discussione, ma il progresso, nei limiti descritti, del learning machine è straordinario grazie alla quantità di dati che oggi possono essere raccolti e che costituiscono la fonte per i calcoli dai quali nasce anche l’apertura vincente della partita a scacchi. Il progresso ulteriore passerà quindi dagli strumenti di calcolo. Anche i computer quantistici sono sempre una evoluzione delle ricerche di Alan Mathison Turing. Oggi si sa che per il calcolo si è vicini a logiche e tecnologie che possono andare oltre. È questo il confine di un ulteriore balzo in avanti che può cambiare ulteriormente il mondo.
Ci arriverà prima l’America e il mondo occidentale o la Cina? La partita è aperta.(riproduzione riservata)