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 2021  ottobre 07 Giovedì calendario

Marco Mancini ora insegna segreti di Stato all’università

La competenza c’è. Sul segreto di Stato Marco Mancini è un’autorità. Oltre trent’anni di intelligence, rapporti consolidati in mezzo mondo e due arresti (nel 2006) seguiti da processi bloccati proprio dal segreto di Stato. Quello per lo spionaggio della Telecom di Marco Tronchetti Provera e quello per il sequestro Cia a Milano dell’imam Abu Omar, tutti e due costati cari a suoi colleghi mentre per lui – e per altri – lo scudo eretto dalla presidenza del Consiglio impedì di andare fino in fondo. Certo, si può discutere sull’opportunità di mettere in cattedra, almeno sul piano sostanziale, un ex dirigente dei Servizi segreti come Marco Mancini. Al centro nei primi anni Duemila delle intricate e opache vicende del Sismi guidato dal generale Nicolò Pollari; volto noto da quando curiosamente si offrì ai fotografi e alle telecamere sull’aereo che riportava a casa Giuliana Sgrena del manifesto sequestrata in Iraq e liberata da Nicola Calipari – l’altra faccia di quel Sismi, in tutti i sensi – che però perse la vita per mano di un soldato statunitense; quindi convinto ad andare in pensione l’estate scorsa dopo che Report rivelò il suo incontro all’autogrill con Matteo Renzi. Era diventato, per dirla con un veterano dei Servizi, “una figura troppo ingombrante” al Dis, il Dipartimento per le informazioni e la sicurezza che coordina Aisi (ex Sisde) e Aise (ex Sismi). Incontrava Renzi come anche Matteo Salvini e tanti altri.
Riappare oggi Marco Mancini, in cattedra appunto, nella prestigiosa Università degli studi di Pavia, docente unico di un seminario di quattro ore per gli studenti di Diritto amministrativo e Diritto pubblico comparato. Tema, come si è detto, “il segreto di Stato”. Quattro ore, dalle 9 alle 13. C’è pure lo streaming, sarà interessante. L’ha invitato (e lo introdurrà) il professor Alessandro Venturi, titolare di quei corsi a Pavia e presidente della Fondazione dell’Istituto di ricerca e cura (Irccs) Policlinico San Matteo, nominato dal presidente leghista Attilio Fontana e in questa veste coinvolto (presunto innocente, ci mancherebbe) nelle vicende giudiziarie legate ai rapporti con la multinazionale sanitaria DiaSorin e il grande affare dei test sierologici di cui il Fatto dà ampiamente conto da un anno e mezzo. Un simpaticone, il milanese Venturi. Come il romagnolo Mancini, del resto. “Voglio dare una lezione alla stampa che ha dato conto delle vicende di Mancini senza mai scrivere che non è mai stato condannato, perché di fronte a quel processo mediatico non parlasse”, dice Venturi. Il segreto di Stato, appunto. Per Venturi proprio il segreto di Stato impedì a Mancini di difendersi. “L’hanno confermato sette presidenti del Consiglio, fino a Conte. Non solo Prodi e Berlusconi. E Mancini dovette scegliere se violare il segreto di Stato e beccarsi una condanna a 30 anni per rivelazione del segreto o per i reati che le Procure avevano ipotizzato di addebitargli. Per me non è né un santo né un demone, non mi interessa prendere posizione da una parte o dall’altra, ma solo problematizzare la vicenda. Non voglio parlare del segreto di Stato in astratto, ma di come funziona, anche negli altri Paesi”, dice Venturi. “Perché vede, io adoro insegnare. Ai ragazzi dobbiamo dare strumenti critici, problematici, non il pensiero unico per cui oggi tutti i giornali sono con Draghi”. E rivendica la competenza di Mancini sul segreto di Stato. Ne sapeva e ne scriveva anche il professor Vittorio Grevi, che proprio a Pavia insegnava e criticò l’uso del del segreto nel caso Abu Omar, per il quale l’Italia fu poi condannata dalla Corte europea dei diritti umani per non aver reso giustizia alla vittima di un sequestro di persona seguito (in Egitto) da torture. Mancini intanto, per Abu Omar, era stato condannato una volta in appello, ma poi prevalse di nuovo l’interpretazione estensiva del segreto di Stato.
Venturi intano assicura che dedicherà un altro seminario a quella che chiama “dittatura sanitaria”, anche se “io – precisa – non sono certo un no vax”. Potrebbe chiamare, dice, Giorgio Agamben o Massimo Cacciari, che hanno espresso posizioni molto critiche sul certamente discutibile green pass. “Tutti accettano le limitazioni dei diritti fondamentali e poi nessuno va a votare – osserva ancora Venturi – mentre in Francia la stampa ha preso posizione contro le restrizioni di Macron”. Leghista? “No, mi ha nominato Fontana, la mia è una nomina politica, ma io domenica non ho neanche votato”. Capirai, a Milano c’era Luca Bernardo contro Beppe Sala. “Milano funziona – dice Venturi –. Chiunque sia il sindaco”.