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 2021  ottobre 06 Mercoledì calendario

Irma Testa pensa solo alla box. Intervista

Pugni e impugnatura hanno la stessa radice, ma boxe e padel non si somigliano neppure lontanamente. «Eppure» racconta Irma Testa, «in realtà qualcosa in comune ce l’hanno: forse lo spazio breve in cui si gioca, il fatto che il padel abbia meno regole rispetto al tennis, l’eco che senti attorno, il rumore del colpo». La prima medagliata olimpica italiana di sempre nella boxe, ambassador di Le Coq Sportif, era ospite presso il City Padel Milano di un party di bentornati ad alcuni reduci di Tokyo. Ha giocato, si è divertita, «è diventata una passione, sì. Ne avevo un’altra, fino a poco tempo fa, l’arrampicata sportiva. Ero brava ma ho smesso prima dell’Olimpiade per paura degli infortuni».
E così a Tokyo ci è andata e ha portato a casa lo storico bronzo nei pesi piuma. Com’è stato tornare a Torre Annunziata con quel magico disco di metallo?
«Incredibile. Bella la festa di piazza, con me sul palco c’era anche Ciro Immobile ed è stato emozionantissimo. Ed è stata festa in casa per due settimane di seguito. Ho fatto il giro dei parenti, zii, nonni, nipotina. È una vita complicata, sempre di corsa, non hai il tempo di vedere crescere i bambini, diventare anziani i genitori. Vorrei fermare il tempo a volte, ritrovare tutto come l’ho lasciato. Niente è mai com’era».
Il suo tatuaggio Panta rei spiega anche questo.
«Sì, tutto scorre e tutto travolge il tempo. Casa è una parola “diffusa” per me, tre sono i luoghi della mia vita attuale, Torre Annunziata, la caserma a Roma, il centro federale ad Assisi. Mi alleno sei-sette ore al giorno. Avrei voluto staccare un po’ di più dopo Tokyo ma a dicembre ci sono i Mondiali in Turchia. Ho fatto una breve vacanza in Grecia da sola, poi di nuovo i guantoni».
Ha ricevuto offerte dalla tv?
«Sì, ma ho dovuto rifiutare tutto.
Sto seguendo il Grande Fratello, c’è Aldo Montano, un amico e un mito dello sport. Sono iperconcentrata sulla boxe. E il tempo fino a Parigi 2024 è pochissimo».
È finita in uno strano ingranaggio temporale, 5 anni tra la sua prima Olimpiade, Rio, e Tokyo, e solo 3 fino alla prossima.
«Troppo e troppo poco. Quattro anni è lo spazio giusto, perfetto per uno sportivo, per misurare la sua evoluzione e la sua collocazione all’interno di una generazione».
Nei giorni scorsi sono emersi dettagli di un’inchiesta condotta dal professor Richard McLaren su una decina almeno di incontri truccati da giudici corrotti all’Olimpiade di Rio. Lei, allora, perse nei quarti contro la francese Mossely, poi oro, un incontro piuttosto controverso. Cosa ricorda?
«Controversa fu soprattutto la prima ripresa, ero sicura di aver vinto e invece i giudici Aiba preferirono lei. Ebbi un piccolo crollo nervoso, nel resto dell’incontro lei mi dominò. Ero sicura di vincere, troppo forse, anche perché l’avevo battuta due settimane prima. Però sì, in generale mi ricordo di verdetti scandalosi, di un clima molto strano, di pugili sconfitti che persero la testa al momento della proclamazione. A Tokyo gli incontri erano organizzati direttamente dal Cio ed è stato tutto molto sereno e tutti i tornei sono andati a chi li meritava davvero».
Lei ha rimpianti per la sua sconfitta in semifinale in Giappone contro la filippina Petecio?
«Ho perso un incontro che avrei potuto vincere. La prima ripresa era stata mia, lei poi ha cambiato tattica e atteggiamento, ricordo il suo sorriso, come a dirmi “adesso vedrai”. Lei è molto energica, anche troppo, in molti momenti mi è sembrato di combattere contro un uomo, anche per le sue fattezze molto mascoline. Picchiava come un uomo, ricordo due ganci andati a bersaglio che mi hanno fatto male. Sì, è il nostro mestiere prendere pugni e darne e non vedo l’ora di affrontarla di nuovo, magari ai Mondiali per riprendere un discorso che abbiamo solo iniziato a Tokyo. Conosco la sua storia di povertà, la sua voglia di riscatto. Il nostro sport è bello perché è come una seconda occasione che la vita dà a qualcuno».
La medaglia ha trovato uno spazio tutto suo a casa?
«Non ancora, perché la porto tanto in giro, mi piace mostrarla dalla parte della dea Nike. Ma ho paura di consumarla, quindi presto la metterò in una bacheca».
Prima o poi passerà al professionismo?
«Non penso. Da dilettante, in Italia, guadagni il giusto, anche grazie ai gruppi sportivi militari, come il mio, le Fiamme Oro. Il professionismo a livello femminile da noi in pratica non esiste, è un campo vuoto e non avrebbe senso».
Pregiudizi o cosa?
«Ce ne sono ancora e il mio grande rammarico dell’ultimo periodo è non aver avuto molte occasioni, in tv soprattutto, per parlare della boxe femminile, di fare luce sul nostro movimento e per dire che le donne che fanno pugilato non sono meno donne».
Farà un nuovo tatuaggio?
«Sulla caviglia, forse, accanto a Rio 2016 scriverò Tokyo 2020. Ma voglio farlo insieme alle mie tre compagne di nazionale (Angela Carini, Rebecca Nicoli, Giordana Sorrentino) nell’avventura in Giappone. Abbiamo condiviso un’esperienza unica assieme, e tutte insieme dobbiamo tatuarcelo per sempre».