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 2021  ottobre 06 Mercoledì calendario

Marta Vincenzi va ai servizi sociali. Intervista

«Come mi sento adesso? Svuotata e suonata. Sono stati dieci anni di dolore. Prima feroce, poi strisciante. Ogni giorno mi sono svegliata e dopo qualche secondo ho pensato “no, la mia vita non è più normale”».
Marta Vincenzi, ex sindaca di Genova, condannata a 3 anni per omicidio colposo, disastro colposo, falso per la gestione dell’alluvione che il 4 novembre 2011 fece sei vittime nel capoluogo ligure, andrà ai servizi sociali. Niente carcere, ma volontariato nel suo quartiere, in Valpolcevera. In più, dovrà pagare 20mila euro al comune di Genova, soldi da destinare alla lotta al dissesto idrogeologico.
Marta Vincenzi, ora cosa farà?
«Continuerò a scrivere libri, sta per uscire il nono, un romanzo distopico ambientato a Genova. In questi anni mi ha salvata la scrittura».
Si professa ancora innocente?
«Rispetto la sentenza e ne accetto le conseguenze. Ma siamo in un Paese libero e continuo a pensare che questo processo non abbia reso giustizia ai parenti delle vittime, alla sottoscritta, agli altri imputati e alla città di Genova».
Perché?
«Sono l’unico sindaco che ha pagato per questo genere di eventi, sempre più frequenti. Ma la mia condanna non ha dato risposte certe e non ha prodotto nulla di concreto: cosa succederà al prossimo alluvione? Serve investire nella Protezione Civile e sui singoli cittadini, le chiusure preventive e automatiche non bastano, bisognerebbe chiudere le città due volte l’anno per fare esercitazioni».
Lei ha sempre definito il suo iter giudiziario “doloroso”. Da persona giudicata colpevole, non pensa di mancare di rispetto ai familiari di chi quel 4 novembre 2011 perse la vita? Anche il tribunale di Sorveglianza le ha fatto notare di non aver chiesto scusa o cercato un confronto.
«Non era così semplice. In un libro autobiografico ho scritto una pagina dedicata a loro, ma quella scelta non fu presa bene. Se me lo permettessero piangerei insieme a loro, ma non può certo essere un’imposizione. Però il dolore che uno prova, la tanta o poca empatia verso le parti lese, non può essere oggetto di giudizio. Ci si può pentire per qualcosa che si è compiuto volontariamente non di azioni che non hai compiuto».
Quindi non si è rimproverata
niente in questi dieci anni di processi?
«Credo di aver sbagliato nei toni, poi ho sempre detto quello che pensavo e questo non ha aiutato».
Se tornasse indietro?
«Lo dico con grande amarezza, perché bisognerebbe avere fiducia nella giustizia, ma sceglierei il rito abbreviato (formula che comporta la riduzione di un terzo della pena, ndr). Con il senno di poi, se avessi rinunciato a difendermi sarei già uscita da tutta questa storia».
In queste ultime settimane ha ricevuto messaggi di stima.
«Da esponenti locali del Partito Democratico, al quale non sono iscritta da molto tempo, e non solo.
Ne sono arrivati centinaia, mi hanno sostenuto. Ho visto che esiste ancora una bella comunità di persone che non bisogna deludere».