Corriere della Sera, 5 ottobre 2021
Studiare Boccaccio ma solo in inglese
Lo studioso di economia delle lingue Michele Gazzola, che insegna nell’Ulster University, segnala da diversi anni le nefaste conseguenze culturali e politiche (ma anche economiche) della prostrazione italiana (ed europea) nei confronti della lingua inglese. Qualche mese fa si chiedeva perché le istituzioni Ue insistano nel privilegiare solo l’inglese nella comunicazione anche se l’inglese è ormai la lingua materna di poco più dell’1% dei residenti europei (e solo l’8% ritiene di averne buona competenza). Adesso Gazzola si sofferma sul neonato Fondo Italiano per la Scienza (Fis) – copia dello European Research Council (Erc) – che beneficia di 50 milioni di euro per il 2021 e di 150 milioni per il 2022 per progetti di ricerca in università italiane. Le disposizioni procedurali sono state pubblicate dal ministero dell’Università e della Ricerca. Ovviamente tempestate di formule inglesi («le relative deliverable e milestone», i «Principal Investigator», le «Host Institutions»), impongono non solo che i progetti vengano «presentati in lingua inglese a pena di esclusione ed irricevibilità», ma anche che gli eventuali colloqui orali si svolgano in questa lingua. I settori disciplinari sono tre, così definiti, in inglese: LS (Life sciences), PE (Physical Sciences and Engineering) e SH (Social Sciences and Humanities). Dunque, tenendo salvi i settori tecnico-scientifici, anche le discipline umanistiche, lingua e letteratura italiane comprese, dovranno obbedire all’obbligo dell’inglese. E succederà che i candidati italiani illustreranno in inglese a commissari italiani la prosa di Boccaccio o la poesia di Montale. Non staremo a dire che altrove gli equivalenti del Fis sono rispettosi del multilinguismo, ma in Italia chi non si butta tra le braccia dell’inglese con fede cieca è subito accusato di provincialismo antimoderno. Come se fosse very international pensare che basti una verniciata di anglofonia per assurgere al Pantheon mondiale. È lecito chiedersi che visione hanno i nostri attuali governanti della cultura e della lingua italiana. Un amico cinquantenne, desideroso di iscriversi a Beni culturali, mi faceva notare di recente che il piano di studi a Milano, tra storia, archeologia e letteratura, prevede un esame linguistico obbligatorio. Non francese né tedesco né spagnolo.