la Repubblica, 5 ottobre 2021
Intervista a David Crosby (dice che di musica, oggi, non si può più vivere)
David Crosby festeggia 80 anni (li ha compiuti lo scorso 14 agosto), celebra i 50 anni dal suo primo, leggendario, album solista, If I could only remember my name uscito nel 1971, e pubblica un nuovo album, For free, dedicato a Joni Mitchell e con la copertina disegnata da Joan Baez, quinto lavoro in sette anni. Non male per un artista che già nel 1964 portava in classifica con i Byrds Mr.
Tambourine Man di Bob Dylan, nel 1969 segnava la storia con Stephen Stills e Graham Nash, salendo sul palco di Woodstock, e negli anni Settanta dominava le classifiche e riempiva gli stadi con gli stessi e l’aggiunta di Neil Young. E per un uomo che è stato dipendente dalle droghe pesanti e dall’alcol, che ha subito un trapianto di fegato (pagato da Phil Collins), è stato arrestato e condannato, è scappato dalla prigione ed è stato arrestato di nuovo, ha avuto un figlio nel 1962 ma lo ha scoperto solo trent’anni dopo, ha scritto alcune delle più grandi canzoni della musica popolare e ha ferocemente litigato con i suoi ex compagni d’arte e d’avventura, in particolare con Graham Nash e Neil Young. «Sarei dovuto essere morto un sacco di volte», ha detto al Guardian, «e invece eccomi qua».
Mr. Crosby, dopo tanti anni riesce a capire quando quelle che scrive sono davvero delle grandi canzoni?
«Il mio metro è semplice: se la canzone mi porta da qualche parte, se mi fa fare un piccolo viaggio, vuol dire che c’è qualcosa che vale la pena cantare e condividere con gli altri. Se una canzone ti fa provare qualcosa è una bella canzone.
Questo è quello che so fare, amo le canzoni, amo comunicare con la gente, credo che in questo ci sia qualcosa di magico. Non mi aspetto che accada sempre o che tutti lo capiscano, ma va bene così».
È diverso scrivere oggi da come era sessant’anni fa?
«Senza pensarci su direi di no, scrivo per gli stessi motivi di allora. Ma poi penso che non è vero, so bene che il tempo che ho davanti non è molto, non so quanto può essere, due settimane o dieci anni. Ma quello che conosco oggi è la qualità della mia vita, cerco di spendere meglio il mio tempo, sono felice di fare musica e di stare con la mia famiglia. Cerco di passare più tempo che posso in mezzo alla musica. Per me è una gioia e mi diverto molto».
Cinquanta anni fa usciva il suo primo album solista, “If I could only remember my name”. Il disco solista successivo uscì diciotto anni dopo. E solo negli ultimi sette anni, invece, ha realizzato cinque album.
Come mai?
«Non avevo bisogno di fare dischi per conto mio, scrivevo la mia musica e la suonavo con Nash, con Stills & Nash, con Crosby, Stills, Nash & Young, avevo abbondante soddisfazione, non sentivo alcun bisogno di realizzare un album solista. Le cose sono cambiate dopo, soprattutto da quando ho iniziato a suonare con mio figlio James Raymond. Con lui è stato come ricominciare di nuovo, ci intendiamo perfettamente, suonare con lui è una gioia grandissima. È un autore anche più bravo di me per molti versi, ha scritto la canzone più bella dell’album, I won’t stay for long. E scrivere con qualcuno è molto più produttivo che scrivere da solo, l’ho imparato tanti anni fa scrivendo Wooden ship con Paul Kantner e Stephen Stills. Così ho scelto alcuni grandissimi autori con i quali è stato una gioia scrivere, come Donald Fagen, Michael McDonald, Becca Stevens, Michael League, Michelle Willis, che mi hanno aiutato a continuare a scrivere in questi ultimi anni».
Le dispiace non scrivere più con Nash?
«Abbiamo fatto delle cose bellissime, lui è un grande autore e musicista. Ma non ci parliamo più da molto tempo e le cose non cambieranno».
Il nuovo album parte dal titolo di una bellissima canzone di Joni Mitchell…
«Joni, per quello che posso dire, ha avuto un brutto periodo, ma è stata per trent’anni la migliore cantautrice del mondo, meglio di Bob Dylan, grandissimo poeta, ma dietro a lei come cantante e musicista. Non posso resistere davanti alle sue canzoni, ancora oggi, così l’ho chiamata e le ho detto che avrei voluto cantare For free e lei ha detto subito di sì».
Ascolta musica dei nostri giorni?
Trova qualcosa di interessante?
«Non ascolto molta musica a dire il vero, ma ogni tanto ci sono cose che ascolto e che mi fanno pensare. Il che è un buon segno, c’è ancora chi con la musica riesce a far pensare chi ascolta».
Ha recentemente venduto tutto il suo catalogo di canzoni. Perché?
«Perché per un artista oggi è difficile vivere. Non si guadagnano più soldi dai dischi, puoi solo mantenerti con i concerti e il Covid ha spazzato via anche quelli. Io sono fortunato perché ho potuto vendere le mie canzoni e garantire un futuro alla mia famiglia, altri sono meno fortunati di me».