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 2021  ottobre 05 Martedì calendario

L’offshore trasloca nei piccoli Stati Usa

Sioux Falls, nel South Dakota, è una cittadina di 192mila abitanti a cinque ore di auto dal monte Rushmore, dove su una grande parete di roccia sono scolpiti i volti di George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln. Il monumento è l’unico motivo per cui il South Dakota è conosciuto nel mondo. Eppure, senza dare troppo nell’occhio, lo Stato del Midwest americano è diventato negli ultimi anni un santuario della ricchezza globale. Qui sono custoditi beni fiduciari per un valore di circa 400 miliardi di dollari, quanto il Pil dell’Irlanda o di Israele, addirittura più di quello norvegese.
Il ruolo del South Dakota emerge tra i documenti dei Pandora Papers, circa 12milioni di file prelevati da 14 società di gestione fiduciaria che operano in diversi paradisi fiscali, dalle Isole vergini britanniche al Belize, da Singapore a Dubai. I documenti segreti, che riguardano 27mila società di 29mila individui, vengono pubblicati in questi giorni dai media di 117 paesi coordinati dall’International consortium of investigative journalists (Icij).
Nel 2016 – rivelano i file – l’imprenditore guatemalteco Federico Kong Vielman, esponente di una delle dinastie più ricche del Paese centroamericano, ha trasferito 13,5 milioni di dollari a un trustee di Sioux Fallas. Parte del denaro proveniva dall’azienda di famiglia, che produce cere per pavimenti, rossetti e altri prodotti.
È solo uno dei tanti esempi. Nei Pandora Papers sono stati identificati più di 200 trust stabiliti o creati negli Stati Uniti dal 2000 al 2019 e ben 81 sono registrati nel South Dakota. I trust sono collegati a persone di 40 paesi e controllano attività per oltre un miliardo di dollari, tra immobili negli Usa e conti bancari a Panama, Svizzera, Lussemburgo, Porto Rico e Bahamas.
I Pandora Papers confermano dunque che il denaro dell’élite mondiale si sta dirigendo sempre più verso alcuni piccoli Stati degli Usa come Delaware, Nevada, Wyoming e, soprattutto, South Dakota. Denaro che fugge da centri offshore tradizionali per molto tempo considerati sicuri come Svizzera e Jersey.
Il nuovo scandalo che giunge a cinque anni di distanza dai Panama Papers e coinvolge 35 capi o ex capi di Stato e di governo, 330 politici, un centinaio di miliardari e vip del mondo del calcio e dello spettacolo, dimostra che i paradisi fiscali sono più vivi che mai. Perché i soldi sono come l’acqua. Trovano sempre un varco in cui insinuarsi e sparire come un fiume carsico.
Bisognerà analizzare più nel dettaglio i Pandora Papers per capire i veri effetti della lotta all’evasione fiscale internazionale degli ultimi anni. I documenti di cui l’Icij è venuto in possesso (pubblicati in esclusiva in Italia dal settimanale L’Espresso) vanno indietro nel tempo fino agli anni 70 anche se la maggior parte di loro è concentrata tra il 1996 e il 2020.
Il Common reporting standard dell’Ocse, ovvero lo standard per lo scambio di informazioni sui contribuenti dei circa cento paesi aderenti, invece, è entrato in vigore solo nel 2017, anche se ha già cominciato a dispiegare i suoi effetti positivi.
Lo ha spiegato il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, rivelando che tra il 2008 e il 2019 i depositi bancari posseduti da stranieri nei centri offshore sono calati del 24%, con una perdita di 410 miliardi di dollari. E buona parte di questo declino è dovuto proprio allo scambio automatico di informazioni. L’Ocse ha anche scoperto che nei centri offshore che hanno aderito nel 2017 e nel 2018 al protocollo internazionale sulla trasparenza, i depositi dei non residenti si sono ridotti in media del 22 per cento. Nel 2020, inoltre, gli esperti dell’organizzazione avevano verificato un forte calo dei depositi a Guernsey (-64%), all’Isola di Man (-59%), a Jersey (-67%) e in Svizzera (-45%) mentre erano aumentati a Hong Kong (+158%) e Macao (+235%). Nel complesso, l’avvio dello scambio automatico è stato accompagnato da una riduzione dei depositi tra il 20% e il 25 per cento. Nel 2020 almeno 11.300 miliardi di dollari erano detenuti offshore ma i capitali migrano sempre più da un paradiso all’altro.
Sarà un caso, ma proprio come avvenne all’indomani della crisi finanziaria innescata dai mutui subprime negli Stati Uniti alla fine del 2006, anche questa volta, con i governi nella disperata necessità di trovare risorse finanziarie per riavviare le economie, le fughe di documenti segreti dai paradisi fiscali riprendono. Era accaduto nel 2008 con il caso SwissLeaks e poi con i Panama Papers nel 2016, succede oggi con i Pandora Papers. Ma questa volta si tratta di un’operazione più grande perché il furto di dati riguarda non una ma 14 società in centri offshore sparsi nel mondo.
Nelle economie globalizzate il denaro viaggia dove piace ai suoi proprietari, ma le leggi sono ancora fatte a livello locale. Quindi il denaro scorre inevitabilmente nei luoghi in cui i governi offrono le tasse più basse e la massima sicurezza. Chiunque possa permettersi le spese per trarre profitto da questa discrepanza è in grado di conservare la ricchezza che il resto dei cittadini perderebbe, il che aiuta a spiegare perché in tutto il mondo i ricchi sono diventati molto più ricchi e le diseguaglianze sono aumentate.
Nel frattempo, fioccano le prime reazioni alla pubblicazione dell’inchiesta giornalistica. Le autorità di Pakistan, Messico, Spagna, Brasile, Sri Lanka, Australia e Panama hanno promesso che apriranno velocemente delle indagini. E anche quelle della Repubblica Ceca hanno twittato che indagheranno sulle persone citate nell’inchiesta, tra cui il primo ministro Andrej Babis.
«Penso che come altre inchieste giornalistiche investigative anche questa darà un impulso molto positivo ai decisori politici – afferma invece il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni –. Sono sicuro che il Parlamento europeo raccoglierà questo impulso in modo forte. E io mi impegnerò a farlo anche dal punto di vista della Commissione. Ad esempio, nel nostro piano di lotta all’evasione fiscale ci sarà una proposta contro l’abuso delle società di comodo». Quelle società che l’economista Gabriel Zucman, esperto di paradisi fiscali, chiede che vengano dichiarate fuorilegge.