il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2021
Intervista a David Cronenberg
“Il cinema è morto, ma non provo alcuna nostalgia”. Demiurgo del body horror, autore di capolavori inquietanti quali Videodrome (1983) e La mosca (1986), Crash (1996) e A History of Violence (2005), il regista canadese David Cronenberg è special guest al Matera Film Festival.
Cronenberg, qual è il suo rapporto con l’Italia?
Voglio girare un film in Italia da quando vidi La dolce vita. Fellini mi ha ispirato profondamente, per me il vostro Paese era via Veneto, così diverso dalla Little Italy della mia Toronto. E che dire di Marcello Mastroianni: il Marcellooo di Federico, il Bell’Antonio di Bolognini, indelebile. Noi canadesi non siamo come gli americani, per noi l’Europa vale: Bergman, Antonioni, una vera alternativa a Hollywood. Cruciale per la mia arte.
Come la pandemia ha intaccato le nostre vite?
Ho 78 anni, e come il Covid ricordo solo la poliomielite. Molti bambini come me ne erano affetti, tutti eravamo preoccupati: finché non hanno trovato il vaccino. Sebbene dal punto di vista personale sia un’esperienza devastante, la pandemia è un’avventura globale sorprendente, impressionante: è l’unica cosa che ha unito tutto il mondo. In un certo senso, una forza positiva.
Il Covid perfeziona il controllo dei corpi, catalizza la biopolitica?
Il controllo del corpo è vecchio quanto l’umanità, basti pensare a quello delle donne, anche nella cultura occidentale. Ogni dittatura vi si appoggia, ma nel Covid c’è qualcosa di più interessante: liberare il corpo tramite il suo controllo, giacché la malattia è un attacco.
Sui vaccini però non c’è unanimità.
Sono doppiamente vaccinato, e dovremmo esserlo tutti. Da sempre c’è gente contraria ai vaccini, ma Internet ha radicalizzato il quadro: è una grande fonte di disinformazione. C’è paura per le terapie mediche, per i vaccini basati sul Dna, per gli effetti collaterali: una persona comune fatica a capire. Negli Usa, e non solo lì, si paga la forte sfiducia per tutto quello che è legato al governo: si pensa che sotto ci sia sempre qualcosa di malefico. Ma come si può credere che Bill Gates si sia servito della pandemia per impiantarci dei microchip e controllarci, e poi andarsene in giro con l’iPhone in tasca? Eppure, la colpa non è solo della gente, ma dei governi che non hanno fatto nulla per conquistarsi la nostra fiducia.
La pandemia ha influenzato il suo lavoro?
Non dal punto di vista creativo o filosofico, ma pratico: è stato più costoso e impegnativo, però i protocolli ci hanno consentito di girare ugualmente. Certo, della mia troupe ho visto solo gli occhi sopra la mascherina.
Nessuna relazione tra il Covid e il cortometraggio da lei scritto e interpretato in cui si prende cura del suo cadavere, The Death of David Cronenberg?
Non ha nulla a che fare con la pandemia, bensì con la tecnologia NFT (Non-Fungible Token) a cui s’è interessata la regista, mia figlia Caitlin (sulla piattaforma SuperRare il corto è stato acquistato per 71mila dollari, ndr). Per una serie tv in cui ho recitato, Slasher, avevano riprodotto fedelmente il mio corpo con un doppio in silicone: mi ci sono affezionato, l’ho messo a letto e ci ho fatto questo corto.
A sette anni da Maps to the Stars è tornato sul set anche per il lungometraggio Crimes of the Future, che riprende la sua opera seconda del 1970: il protagonista Viggo Mortensen dice che per lei è un ritorno alle origini, a partire dalla manipolazione degli organi.
L’ho scritto vent’anni fa, riesumato con entusiasmo e finito di girare due settimane fa ad Atene, ora devo montarlo, e preferisco sia una sorpresa. Diciamo che è ambientato in un universo parallelo, e ha una struttura complessa.
Make-up biologico e transumanesimo sono della partita?
La cultura umana non ha mai resistito a modificare il corpo: cicatrici, mutilazioni, tatuaggi, ultima la chirurgia plastica, non c’è corpo che sia naturale. Io stesso senza l’auricolare ipertecnologico che indosso, mille volte più potente del computer del programma spaziale Apollo, non sarei in grado di sentire: oggi abbiamo tante risorse per arrestare o alterare il processo di invecchiamento, senza questa collaborazione hi-tech la mia carriera sarebbe finita anni orsono.
Il cinema per come lo conosciamo finirà mai?
La dissoluzione del cinema tradizionale è un fatto. La pandemia ha accelerato il processo: piattaforme quali Netflix e televisori con qualità cinematografica hanno esaltato il consumo domestico. Io per primo non vado in sala da molti anni, e non ho alcun rimpianto: tra problemi di parcheggio e spettatori che guardano il telefonino, ho avuto esperienze tremende. I festival saranno uno dei pochi posti in cui continuare a vedere film in sala.
Nessun rimpianto nemmeno per la pellicola?
Non scherziamo, il digitale è largamente superiore. Spielberg ricorda i vecchi tempi del cinema come meravigliosi, ma si sbaglia: erano terribili. È la stessa differenza che esiste tra la pur fascinosa macchina per scrivere e i software per l’elaborazione testi che funzionano come la nostra mente. Non c’è paragone.