Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  ottobre 04 Lunedì calendario

Storia del Ponte di Ferro


Bastano le date per capire l’importanza simbolica del Ponte di Ferro nella storia di Roma. Siamo nel 1862, regna papa Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti. Il dominio temporale della Chiesa è in evidente declino. L’anno prima, marzo 1861, a Torino è stato proclamato il regno d’Italia che il pontefice, sgomento per la massa di incombenti novità, ha così commentato: «Da lungo tempo si chiede al Sommo Pontefice che si riconcilii con il progresso e con la moderna civiltà. Ma come mai potrà avvenire un simile accordo, quando questa moderna civiltà è madre e propagatrice di infiniti errori e di massime opposte alla fede cattolica?». La “moderna civiltà” presenta però anche aspetti ineludibili, tra questi l’industria e i trasporti. Il Ponte di Ferro, costruito tra il 1862 e il ’63, nasce per rispondere a queste esigenze. Inizialmente doveva consentire alla ferrovia che scendeva da Civitavecchia, con capolinea fuori Porta Portese, di raggiungere la nuova stazione centrale a Termini. Non esistevano però a Roma industrie metallurgiche in grado di costruire una struttura del genere. Si affidò dunque l’incarico a una ditta belga, la quale fece eseguire il lavoro di fusione e sagomatura dei pezzi in Inghilterra. I diversi tronconi vennero poi trasferiti a Roma e montati su piloni. Durò poco. Nel 1911 il tracciato ferroviario venne trasferito a monte sul nuovo Ponte san Paolo.
L’anno 1911, cinquantenario dell’Unità d’Italia, richiama un altro episodio che descrive, non meno del Ponte di Ferro, le condizioni del neonato Regno d’Italia. Tra le varie opere progettate per celebrare il Giubileo, rientrava un altro ponte per collegare (toponomastica attuale) Piazzale delle Belle Arti e Piazza Monte Grappa. Si affidò il progetto a una ditta torinese (ingegneri Ferrero e Purcheddu) che agiva sul brevetto francese di François Hennebique, pioniere del cemento armato. Venne così gettato l’attuale ponte Risorgimento a campata unica in cemento armato con una luce di oltre cento metri.
Nel commentare lo scempio causato dall’incendio al Ponte di Ferro e strutture accessorie, la sindaca in carica Virginia Raggi ha lamentato la perdita di un pezzo di storia della città. Confido che fosse consapevole dell’estensione di ciò che diceva. Non solo la storia antica ha segnato il ponte. Il 7 aprile 1944 dieci donne che avevano assaltato un forno che riforniva le truppe naziste, furono allineate contro le spallette e fucilate. Una delle tragedie di quei nove mesi d’orrore.
Il ponte aveva assunto nel tempo il nome di Ponte dell’Industria in una città che di industrie – a parte il cinema e la Tv – ha sempre conosciuto al più quella edilizia.
L’area dell’Ostiense ne è un esempio appropriato, una zona periferica, quasi in stato d’abbandono, trasformata in un vero polo industriale, con i suoi altiforni e le grandi strutture, le sirene delle fabbriche, le maestranze al lavoro, il fumo, l’odore pungente, forte, sprigionato dalla trasformazione del carbon coke in gas. Perché in quella zona, dopo un lungo dibattito, si decise d’impiantare anche il gazometro, cioè un marchingegno che dalla lavorazione del coke ricavasse gas da illuminazione.
Lo Stato Pontificio non brillava certo per voglia di innovazione. I papi temevano le novità, ogni nuovo ritrovato, ideologia, costume, era considerato un pericolo per la salute delle anime.
Papa Gregorio XVI commentò l’avvento dell’illuminazione a gas come una pericolosa ingerenza umana nel naturale alternarsi del giorno e della notte, poco meno di un attentato all’opera del Creatore. Il suo successore, Pio IX, almeno all’inizio la pensa diversamente e poco dopo la sua elezione indice una gara per l’illuminazione a gas della Città Eterna.
Si studia l’area più adatta comprese le ricadute, diremmo oggi, ecologiche. Alla fine, si sceglie un’ampia porzione di terreno dell’attuale Circo Massimo.
Siamo nell’anno 1852 e arrivano capitali inglesi per sostenere un’impresa che cammin facendo si è rivelata, come spesso succede, più complessa e costosa del previsto. La City of Rome and Italian Gas Light e Coke Company, poi denominata Compagnia Anglo-Americana dell’illuminazione a gas, si insedia nella capitale e nel giro di un anno realizza il primo impianto di produzione nell’attuale via dei Cerchi. Se non ci fossero le foto a documentarlo sembrerebbe incredibile la scelta di quel luogo, ricco di memorie classiche, di così alto pregio archeologico.
Gli anni successivi vedono l’Unità d’Italia, il ricongiungimento di Roma (con una popolazione di poco più di 200 mila abitanti!) al resto del paese. La scommessa diventa quella di far entrare la ex capitale pontificia nel concerto delle grandi metropoli europee.
La nuova capitale dei Regno vedrà le sue strade illuminate da oltre 2mila lampioni. C’è bisogno di dare luce ai nuovi quartieri costruiti per i Ministeri, le abitazioni dei funzionari, gli immigrati attirati da più accettabili condizioni politiche, i privati che chiedono anche loro gas per le abitazioni.
In breve tempo, lo stabilimento del Circo Massimo diventa insufficiente. Si cerca così una nuova area, in linea con la visione urbanistica e lo slancio industriale del sindaco Ernesto Nathan (1907-1913), per unanime riconoscimento tra i migliori che la capitale d’Italia abbia mai avuto. Oggi, il vecchio gazometro e il Ponte di Ferro sono ormai archeologia industriale a testimonianza di scelte diverse, di un mondo che va avanti e abbandona ciò che resta del passato a sonnecchiare sulle rive del Tevere.