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 2021  ottobre 04 Lunedì calendario

Classe media in via di estinzione


Ci sono storie che scegli di raccontare. Altre, invece, ti trovano… quasi ti stessero cercando. Altre ancora tornano da te dopo che le hai narrate. Tornano e si mostrano sotto una luce diversa, rivelando parti che in precedenza non avevi colto. Ed è come se quello che hai raccontato fosse solo il frammento di un intero, lo squarcio del presente che illumina ciò che è di là da venire.
Queste storie sono esigenti. Pretendono uno sforzo ulteriore. Chiedono di essere comprese nella loro complessità, e nel loro significato più intimo. È come procedere da un dettaglio per approdare all’insieme. È come muovere da un ramo, seguire la linea del tronco, arrivare alle radici, e conoscere così – a poco a poco – l’albero.
A me è capitato quando ho parlato delle trappole evolutive. Ce ne sono moltissime in natura. Oggi voglio parlarvi di quella che riguarda le tartarughe marine. I giovani esemplari di questa specie trascorrono i primi anni di vita in mare aperto, al sicuro, lontani dai grandi predatori. L’evoluzione conserva e preserva. Eppure…
Eppure può accadere che un cambiamento – brusco ed esogeno – alteri lo stato presente delle cose. Lo comprometta. Irrimediabilmente. È allora che il comportamento evoluto, dettato dall’istinto di conservazione, può ribaltarsi nel suo opposto: nella molla che spinge verso un pericolo mortale. Verso la morte.
È proprio ciò che succede alle giovani tartarughe quando, in mare aperto, finiscono in aree ad alto tasso d’inquinamento. E qui cominciano a mangiare la plastica, che è il flagello dell’habitat marino, la causa principale della devastazione che sta provocando la morte di tantissimi animali. Non solo le tartarughe. Anche delfini, balene e uccelli. La plastica non deperisce, perciò la nocività dei suoi effetti è esponenziale.
Ecco, la trappola evolutiva scatta quando una mutazione repentina produce un cortocircuito nella natura e nell’ambiente. Mi sono reso conto che gli ultimi vent’anni sono stati una gigantesca trappola evolutiva.
La globalizzazione – e dunque la possibilità di delocalizzare la produzione in Paesi con un basso costo del lavoro – è il mutamento improvviso. Un mutamento improvviso, sì, ma anche epocale, che – generando forti compressioni salariali – ha finito per cancellare un pezzo importante di domanda interna. Un mutamento che ha abbattuto l’inflazione. E – soprattutto – un mutamento che ha creato un regime perenne di tassi di interesse bassissimi.
Quei tassi, ormai inchiodati allo zero assoluto, sono una trappola evolutiva. Le piattaforme tecnologiche nate grazie a enormi capitali in cerca di rendimento – dunque a capitali estremamente pazienti – sono trappole evolutive. Parliamo di aziende disposte a sostenere perdite consistenti a medio e lungo termine pur di fracassare la concorrenza. Incertezza, grado di rischio, previsione dei flussi di cassa… nell’età dei tassi a zero, per alcuni tutto questo non conta più nulla.
La finanza ha sempre collegato presente e futuro attraverso una variabile che non poteva essere messa in discussione: il costo del denaro. Il variare dei tassi scandiva il tempo. Ma se i tassi sono a zero, o sono negativi, allora presente e futuro, oggi e domani, si accartocciano l’uno sull’altro. E tutto diventa possibile: qui e ora.
Diventa possibile indebitarsi all’infinito, sostenere perdite insostenibili, e aspettare il momento in cui si conquisterà una posizione di prevalenza sul mercato.
Diventa possibile trasformare i progetti più visionari in realtà. Schegge di un futuro remoto si trasformano così in ipotesi prossime. Quasi a portata di mano. Per dirla con De Andrè, ci sono nuvole e sole. È il caso delle piattaforme disintermendianti dove l’utente finale è cliente e fornitore allo stesso tempo ed è oggetto continuo di estrazione di valore. Ma è anche il caso della scienza applicata alla robotica, all’intelligenza artificiale, alla medicina e a tutto ciò che è sostenibile.
I tassi a zero sono la trappola evolutiva per definizione. Misurarsi ancora e ancora con questa storia che ritorna significa scoprire le radici di quello che – usando un concetto teorizzato da Michel Foucault – possiamo definire il più grande dispositivo di controllo. Gli effetti di questo assetto planetario e gli esiti a volte rovinosi di questa trappola evolutiva sono sotto gli occhi di tutti.
Un mondo in cui le distanze sono accorciate – annullate – è un mondo che giustappone selvatico e metropoli, è un mondo in cui è facile – troppo facile – consumare lo spillover, il famoso salto della specie. Ed è un mondo in cui l’interconnessione globale fa circolare un virus sulle medesime traiettorie dell’eterno movimento di merci e persone.
E le tartarughe marine? Chi sono le tartarughe marine di questa trappola evolutiva?
Sono la classe media occidentale: spiazzata, travolta, impoverita, sospinta in una caduta inarrestabile lungo le pareti – liscissime – della piramide sociale. Sono le aziende che non sono state in grado di delocalizzare. O quelle che hanno bisogno di profitti per andare avanti e non possono reggere perdite non sostenibili. O quelle tra i cui soci non figurano i capitali pazienti emersi negli ultimi anni.
Non sappiamo dire quanto progresso e quanto sviluppo tutto questo abbia davvero portato. Sappiamo, però, che lo sviluppo e il progresso sono spesso nemici e raramente sanno convivere l’uno con l’altro.
Pasolini concepiva lo sviluppo come creazione di bisogni e beni spesso superflui, mentre identificava il progresso con la creazione di beni necessari. È nello spazio definito da questo iato che ci troviamo. È nel giusto bilanciamento di sviluppo e progresso che possiamo trovare le risposte per affrontare le sfide di un’era post-pandemica. —