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 2021  ottobre 03 Domenica calendario

Er Bestia e gli altri: canti di borgata

Nei mesi della pandemia il potere evocativo della parola si è ripreso la scena: il tempo dell’ascolto e uno spazio da umanizzare. Privati della libertà di incontrarci, attraverso i podcast, genere mai così prolifico, abbiamo riscoperto il piacere dell’oralità, dalle storiacce di cronaca nera al lirismo degli aedi contemporanei. Intercetta il ritrovato interesse per la teatralizzazione del racconto, interpretato dai narratori come fossero testimoni in presa diretta, il radiofilm Metroromantici dei Poeti der Trullo, da oggi disponibile sulle principali piattaforme.
Protagonista del primo capitolo, Mi casa es tu casa, è Er Bestia, tra i componenti del collettivo anonimo formato nel 2010 nel quartiere romano del Trullo dove nel 1966, sulla collina di Montecucco, Pier Paolo Pasolini girò alcune sequenze del film Uccellacci e uccellini. Cresciuti grazie ai social, nel 2015 i Poeti pubblicano Metroromantici, florilegio che raccoglie i loro testi, e organizzano il Festival di poesia di strada in collaborazione con Ater, la società del Comune che gestisce le case popolari. Nel podcast, rivisitazione del radiodramma degli anni Trenta, hanno coinvolto il regista Andrea Rusich assieme agli attori Elisabetta De Vito, Francesco Giordano, Lorenzo Parrotto e Riccardo Parravicini, che hanno dato voce ai brani in prosa e in rima per oltre 40 minuti. L’atmosfera è quella di una Roma «sola e indispettita, con l’anima a pezzi... Madre, amante o Capitale» dalla quale Er Bestia, malgrado tutto, è inseparabile: «Roma è marcia, però non riesci a lasciarla. Una contraddizione intrinseca, quando siamo fuori – ammette Inumi Laconico, portavoce del gruppo – non vediamo l’ora di tornare». 

Come siete arrivati a produrre il radiofilm?
«Durante la pandemia ci hanno scritto Francesco Giordano e Lorenzo Parrotto per proporci di realizzare un podcast. Li avevamo visti al Teatro Argentina in Ragazzi di vita, per la regia di Massimo Popolizio, e ci erano piaciuti molto. Abbiamo pensato che sarebbe stato bello fare qualcosa di simile sulla nostra storia, con il radiofilm abbiamo chiuso il cerchio».
Che cosa riflettono questi tableaux da ascolto?
«Il nostro mondo: l’anima femminile, di strada, introversa... Il quadro di Er Bestia è più rap (la colonna sonora è tratta dall’album Adversusdel Colle der fomento, ndr), assieme al regista abbiamo lavorato alla visualizzazione di tutte le scene, volevamo che anche i suoni diventassero immagini. Ci piaceva l’idea di prendere un genere tramontato, il radiodramma, e reinventarlo in chiave filmica». 
In un passaggio lei incontra Er Bestia sul muretto di un lotto e riesce a imprimere una svolta alla sua vita appesa alla «mancanza di senso».
«Lui era così, era perso, un ragazzo di vent’anni che aveva il suo giro... Già ci conoscevamo, sapevo che scriveva sui muri le frasi del Colle der fomento e l’ho stuzzicato: “Perché non provi a scrivere le tue?”. Pochi mesi dopo, ho aperto la pagina Facebook dei Poeti der Trullo (165 mila like, ndr): io ho sempre avuto l’ambizione di scrivere, per Er Bestia all’inizio era un gioco ma in lui ho riconosciuto la scintilla. Da lì è partito tutto, si è creato il movimento che poi ha portato al libro». 
Perché si è dato lo pseudonimo di Inumi Laconico?
«Ho scomposto il mio nome e cognome, volevo scappare dall’anagrafica e ricreare il mio mondo attraverso la poesia. Laconico è perfetto: parlo poco, preferisco esprimermi attraverso la scrittura».
Che cosa lega la poesia a un posto come il Trullo?
«Sono stato bambino negli anni Novanta e ricordo che la piazza principale era una centrale di spaccio. Ho visto gente collassare in strada, giovani morire di overdose... Crescendo mi sono chiesto come potessi fare del bene, unire la mia passione per la poesia alla rigenerazione urbana. Il Festival di poesia di strada che abbiamo organizzato ha cambiato l’anima del quartiere: quando hanno visto tutti quei murales le persone erano felici, si sono mobilitate».
Il dialetto romano è una dichiarazione di intenti, un manifesto identitario che celebra il rapporto con la città?
«Il nostro è un romanesco accessibile, non quello di Belli e Trilussa ma quello che si parla oggi. Molti puristi ci hanno criticato ma non ci interessa rispolverare il dialetto dell’Ottocento: vogliamo essere lo specchio della lingua parlata dai ragazzi di oggi. Scriviamo molto anche in italiano, che rimane il nostro punto di riferimento. Il romanesco è più diretto, musicale, rimato... Punta alla sostanza, come il rap». 
Nel racconto si susseguono immagini di una Roma dolente, a tratti cruda: quanto c’è di autobiografico?
«Tutte le storie che abbiamo raccolto fanno parte del nostro vissuto: familiari, parenti, amici, gente che non ce l’ha fatta. Per come la viviamo noi, Roma è un po’ abbandonata ma la nostra non è una denuncia, una richiesta d’aiuto: è una fotografia. Finora ce la siamo sempre cavata da soli: il festival, il libro, tutto autoprodotto. Succede lo stesso nelle famiglie del Trullo: ce la fanno da sole ma è un rischio perché le modalità di sfangarla non sempre sono buone... I nostri personaggi non sono eroi o eroine, diamo voce alla gente, la facciamo vivere. Abbiamo preso tutte persone del posto e siamo andati con il regista a registrare suoni e rumori del quartiere: gli schiamazzi, le marmitte dei motorini, i gabbiani...».
Er Bestia è anche la metafora di una generazione, quella dei trentenni in bilico tra precarietà e ricerca di senso. 
«Io scrivo poesie per eccesso d’amore che non riesco a canalizzare in altri modi. Er Bestia è più arrabbiato, denuncia... Siamo in un’età di mezzo in cui può succedere tutto o niente. Non siamo ancora adulti ma neanche più ragazzini che vanno all’università. Il mio dilemma è: “Come posso vivere di poesia, di arte?”. Ci accomuna il fatto che, quando torniamo a casa la sera, ci mettiamo a scrivere e in questo troviamo un senso: non smettiamo di farlo perché a guidarci è un’esigenza più alta».
Quale potrebbe essere l’evoluzione del radiofilm?
«Prima dobbiamo incidere tutti e sei i capitoli nei quali snoccioleremo il nostro universo poetico. Il secondo sarà al femminile e avrà come tema l’amore in tutte le sue declinazioni».
State pensando a una trasposizione teatrale?
«In realtà con Rusich avevamo già scritto la sceneggiatura di un film, che potrebbe essere il punto di approdo dopo il libro e il podcast. Nel frattempo, stiamo lavorando a un altro progetto...».
Di che cosa si tratta?
«Di una serie di ritratti poetici e fotografici, Gente di Roma, in collaborazione con il fotografo Marco Guadagnini. Racconteremo le storie di soggetti presi dalla strada, di tutti i ceti sociali, che trasformeremo in poesie. L’idea ricorda un po’ il reportage Humans of New York, un po’ l’Antologia di Spoon River».