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 2021  ottobre 03 Domenica calendario

Quando lo sport era di destra

Ora che abbiamo vinto i cento metri e la staffetta dei miracoli, ora che siamo quelli che corrono più veloce e saltano più in alto del mondo, ora che i nostri marciatori risultano i migliori del pianeta e l’Europa incorona le nostre pallavoliste, ora che battiamo persino gli orientali nel karate, ecco, in questo 2021 di grazia per lo sport italiano uno si chiede: ma perché per insegnare ai figli, non dico il nuoto, ma una semplice capriola dobbiamo uscire dalla scuola, bussare alla porta di un privato, sobbarcarci i relativi accompagnamenti, spese, disagi? Non parlo di chi vorrebbe allevare un campione, ma di quelli che si accontenterebbero di un po’ di moto, delle regole elementari della palla prigioniera, del salto della corda. Quelli che mirano assai più in basso del modello Jacobs: un seienne capace di inseguire l’amichetto senza inciampare nei propri piedi.
Uno degli studi di riferimento sull’educazione fisica nelle scuole europee, svolto dalla rete Eurydice, indica le attività giudicate obbligatorie dai diversi Stati rivelando un generale orientamento a far muovere il più possibile i bambini piccoli, in qualsiasi modo. C’è l’atletica, ci sono i giochi, c’è persino la danza (in Belgio, Danimarca, Gran Bretagna) insieme con le "occupazioni all’esterno e avventure". Qualche solerte Paese del Nord (Finlandia, Lituania) impone lo sci e il pattinaggio su ghiaccio, considerati competenze indispensabili. L’Italia figura nel grafico con una desolante fila di caselle vuote. Ginnastica? Ciascuno si regoli come crede. E in generale ci si regola non facendola affatto.
Il fatto è che da noi, fino all’altro ieri, lo sport conservava un certo sapore Anni Trenta, potenzialmente in conflitto con l’educazione all’uguaglianza e all’idea mite di una partecipazione senza vincitori. Non proprio controindicato, ma politicamente sospetto. Il massimo esegeta delle ossessioni esistenziali lungo l’asse destra-sinistra, Giorgio Gaber, collocava le scarpe da ginnastica a destra, insieme – è immaginabile – al Foro Italico che si chiamava Mussolini, al salto nel cerchio di fuoco di Achille Starace, all’attenti, al riposo e alla marcia in gruppo dei Balilla. Non aveva torto. Commuoversi per l’inno e la bandiera è stata per mezzo secolo un’esclusiva della destra. Solo molto tardi, sull’onda del Mondiale di Pertini e Bearzot, il nazionalismo sportivo ha rotto il recinto dell’Arco costituzionale e, pian piano, inorgoglirsi per coppe e medaglie tricolori è diventato socialmente lecito.
Se il problema è questo – e di sicuro lo è stato per lungo tempo – si vorrebbe dire ai titolari della programmazione scolastica, ai pedagoghi, a tutti coloro che influenzano le scelte della didattica scrivendo e consigliando: guardate che la musica è cambiata. La connessione che avete in mente – ginnastica uguale legge del più forte, machismo, esibizione muscolare, «Chi vale vola e chi non vola è un vile» come da citazione (Italo Balbo) sulle magliette di Otto Grunf – semmai è esistita, è sparita da un pezzo. Oggi Gaber, se riscrivesse il suo monologo, metterebbe le scarpe da ginnastica nella casella di sinistra: sono le scarpe dell’integrazione, di Fausto Desalu, della portabandiera olimpica Paola Egonu, di Miriam Sylla, di Abraham Conyedo, dei mille bambini arrivati da lontano che oggi saltano, corrono e palleggiano nei nostri campetti di periferia cercando nello sport e nel gioco rispetto e amicizia. Con l’oro "smezzato" tra Gianmarco Tamberi e Mutaz Barshim abbiamo pure inventato la competizione solidale, la fraternitè della medaglia. Con alcuni clamorosi coming out abbiamo reso i palazzetti gay-friendly. Cosa serve di più?
Dunque, qui si spezza una lancia in favore dell’educazione fisica "old style" fin dalle elementari, con maestra apposita, possibilmente laureata in scienze motorie, palestra e tuta obbligatoria due volte a settimana, all’interno dell’orario scolastico. Ora che ogni controindicazione politica è sparita, la filosofia del corpore sano può essere allegramente condivisa dai progressisti e dai tradizionalisti, dai cultori della partecipazione e da quelli della competizione. Entrambi possono abbandonare vecchie liti e riscoprire il nemico comune, che precede assai i cerchi di fuoco, la destra e la sinistra: è l’ideologia della maglia di lana, è il panico da raffreddore, sono i certificati medici a fini d’esenzione per il bambino sovrappeso o la bambina giudicata troppo delicata. E’ il partito mammista del Copriti Bene e dell’Attento Che Sudi, potenziale fabbrica di obesi infelici e mingherlini maldestri: dovremmo essere tutti d’accordo nel tenerlo a bada, almeno nella scuola.