La Stampa, 3 ottobre 2021
Vitus e scorie, la bomba sotto l’Artico
Virus e batteri sconosciuti resistenti agli antibiotici e scorie nucleari sepolte dalla Guerra fredda. La materia imprigionata nell’Artico è una bomba inquinante e pericolosa ancor più del coronavirus, pronta a sprigionarsi con la fusione dei ghiacci causata dall’innalzamento delle temperature. Se la Terra si surriscalda, la criosfera si scongela e collassa. Gli scienziati avvertono che i rischi ambientali per le specie viventi saranno devastanti.
Non è solo questione di emissioni di anidride carbonica provocate dall’iperattività umana. C’è un altro effetto che agita i climatologi, ed è lo scongelamento del permafrost, il pavimento di terra e rocce che fa da collante alla superficie terrestre e si mantiene a zero gradi o meno: contiene materiali biologici, chimici e radioattivi sequestrati per decine o addirittura centinaia di migliaia di anni e pronti per essere liberati. Uno studio sul permafrost artico condotto dal professor Arwyn Edwards della Aberystwyth University in Galles e diffuso su Nature Climate Change dimostra il pericolo a cui andiamo incontro provocando lo scioglimento del permafrost. Quando i componenti imprigionati nei ghiacci rientrano nell’ambiente «hanno il potenziale di mandare in tilt l’ecosistema, ridurre la fauna della calotta artica e mettere in pericolo la salute umana». In particolare, l’Artico che si scongela potrebbe causare la diffusione di scorie nucleari, virus sconosciuti e batteri resistenti agli antibiotici.
Il permafrost si estende sulla Terra per 23 milioni di chilometri quadrati, coprendone circa il 15%. Se il fondo inizia a sciogliersi, vengono a galla i microrganismi imprigionati, che rilasciano anidride carbonica e metano, gas serra da 25 a 30 volte più potente della CO2. La quantità totale di carbonio sepolta nel permafrost è di circa 1.500 miliardi di tonnellate, una cifra gigantesca confrontata ai 10 miliardi che emettiamo annualmente. Ne basterebbe l’1% per annullare i nostri grandi sforzi contro l’inquinamento climatico.
Ma dentro la calotta artica sotto zero si nascondono anche rifiuti radioattivi di sottomarini e reattori nucleari della Guerra Fredda. Tra il 1955 e il 1990, l’Unione Sovietica condusse 130 test nucleari in aria e in acqua vicino alla superficie dell’arcipelago di Novaja Zemlja, al largo delle coste della Russia nord-occidentale. I test hanno utilizzato 224 ordigni esplosivi, che rilasciavano energia nucleare, mentre più di 100 sottomarini dismessi sono stati affondati nei vicini mari di Kara e Barents. Il governo russo ha lanciato sì un piano di bonifica, ma gli studi oggi rilevano che l’area contiene sostanze radioattive come cesio e plutonio tra i sedimenti sottomarini. Inoltre, più di 100 microrganismi nel permafrost siberiano sono resistenti agli antibiotici. Mentre il pavimento ghiacciato si fonde, «è possibile che questi si mescolino con l’acqua di fusione e creino nuovi ceppi di batteri diversi dagli esistenti che resistono agli antidoti conosciuti».