la Repubblica, 3 ottobre 2021
Il padiglione dell’Afghanistan all’Expo è vuoto
C’è una fila lunghissima davanti al padiglione dell’Afghanistan all’Expo di Dubai. Il problema è che il padiglione è chiuso, non aprirà mai. E in verità la gente fa la fila per entrare nella porta accanto, quella del ristorante “Al Baik”, una catena che è una specie di McDonald’s saudita. Saltiamo da un ingresso all’altro, quello principale è sbarrato, ma passando nel corridoio d’uscita del Baik, da una porta d’emergenza, si riesce ad entrare. Tutto è rimasto fermo idealmente al 15 agosto, al giorno in cui l’Afghanistan “occidentale” è collassato e i talebani sono tornati al potere a Kabul. Saranno in tutto poco più di 200 metri quadri, sarebbe stato un padiglione piccolissimo e umile, ma sarebbe stato il salone in cui il governo del presidente Ashraf Ghani avrebbe celebrato “Un viaggio tra culture antiche e successi moderni”. Il sito Internet del padiglione su Expo2020Dubai è ancora attivo, era stato preparato da uno dei consulenti inglesi o americani che hanno affiancato Dubai Expo. Il padiglione sarebbe servito a far capire come “le nuove industrie emergenti in Afghanistan abbiano influito positivamente sugli standard di vita degli afghani creando occupazione, accesso all’istruzione e altra crescita sociale”. Nelle teche di vetro vuote ispirate agli antichi bazar afghani, dovevano esserci prodotti locali come zafferano, le pietre preziose e il cashmere. Non c’è nulla.
Sembra una drammatica barzelletta, il presidente Ghani avrebbe fatto celebrare tutto l’opposto di quello che succede oggi con i talebani. Industrie emergenti praticamente non ce n’erano neppure con Ghani, e i diritti di donne e ragazze in pochi giorni sono tornati indietro nel Medioevo.
L’assurdo raggiunge nuovi livelli quando si pensa che l’altra notte, alla cerimonia di inaugurazione, sventolava ancora la bandiera di uno Stato che non c’è più, quella rosso, nera e verde del regime precedente. Non c’era il vessillo bianco con la “shahada” islamica, la professione di fedeltà ad Allah e al profeta. Ancora più assurdo: a pochi chilometri da qui, in una villa di Abu Dhabi, ha trovato rifugio proprio Ashraf Ghani, il presidente che in agosto era fuggito passando dal Tagikistan. Il governo degli Emirati ha accettato di nasconderlo qui, nonostante 20 anni fa proprio gli emiratini fossero i primi e gli unici assieme a Pakistan e Arabia Saudita ad aver riconosciuto i talebani.
In tutta la Expo questo padiglione afghano chiuso e abbandonato è il piccolo segnale “geopolitico” più importante. Gli altri vanno colti poco alla volta. Una visita al super-tecnologico padiglione indiano (5 piani di schermi e applicazioni di ogni tipo) celebra quasi ovunque la grandezza del premier Narendra Modi. C’è un video con l’evoluzione dell’uomo, da quando era un giovane soldato, a quando era venditore di thè, ai primi passi in politica, ai primi anni con la barba corta e curata, al volto che l’uomo si è disegnato oggi. Una lunga barba bianca che lo avvicina alla figura di un guru, sotto un claim “Infinite leadership”, una guida infinita. Anche il padiglione cinese (e dovremmo dire quasi tutti) fa un uso massiccio di video-wall, televisori e computer per spiegare ai visitatori cos’è il loro paese. L’edificio è una enorme lanterna circolare che si illumina con le scritte e gli slogan indicati dal partito. Il claim è “Costruire una comunità con un futuro condiviso per il genere umano”. Dentro, anche qui, tutti i migliori prodotti della tecnologia cinese sono accompagnati da enormi schermi che spiegano e quasi impongono la loro versione dei fatti.
Così il padiglione dell’Arabia Saudita, con un enorme ingresso di specchi sospesi in diagonale sulla coda all’entrata, e poi un enorme video sulle bellezze del deserto e gli antichi palazzi di fango di una civiltà che sembra aver saltato molte tappe per arrivare all’uso intenso della tecnologia che sta facendo oggi.Il giro si chiude con il padiglione degli Stati Uniti. Anche qui uso massiccio di tecnologia, una grande torcia della libertà ispirata all’omonima statua di New York si illumina di mille colori proprio all’ingresso. All’ingresso i visitatori viaggiano ordinati su una specie di piccolo tappeto mobile, simile a quelli che distribuiscono i bagagli all’uscita degli aeroporti. Ci sono il passato e il futuro. La copia del Corano in inglese che fu del presidente Jefferson davanti al rover che la Nasa ha portato su Marte. Lo slogan è “Vita, libertà e costruzione del futuro”. L’Expo è una fiera, ognuno prova a vendere il suo meglio.