ItaliaOggi, 2 ottobre 2021
Prigionieri russi fatti fuori dai tedeschi
Incredibile che a ottant’anni dall’attacco nazista all’Unione Sovietica, la cosiddetta Operazione Barbarossa, il 22 giugno del 1941, ancora vengano ignorate tutte le atrocità compiute. O, meglio, si conoscono, gli storici ne hanno scritto, ma se ne parla poco, e per i giovani tedeschi non sono interessanti.
Adesso Margot Blank e Babette Quinkert hanno pubblicato un catalogo, con numerose foto, Dimension eines Verbrechens. Sowjetische Kriegsgefangene in Zweiten Weltkrieg, dimensione di un crimine – prigionieri sovietici nella seconda guerra mondiale (Metropol Verlag, 278 pagine, 24 euro), per conto del Deutsch-Russisches Museum di Karlshorst, nei pressi di Berlino, il museo che ricorda non solo la guerra, ma anche l’occupazione sovietica nella Germania comunista, fino alla caduta del Muro nel novembre 1989. Ma gli ultimi militari dell’Armata Rossa partirono quattro anni più tardi.
Al museo, nell’anniversario dell’Operazione Barbarossa è stata aperta una mostra sui crimini di guerra tedeschi. I nazisti fin dall’inizio non rispettarono le norme della Convenzione di Ginevra: la guerra all’Urss aveva come fine l’annientamento della popolazione, per liberare la terra destinata ai tedeschi. Era previsto che i prigionieri, alla fine del conflitto, non dovessero tornare ai loro campi e alle loro case.
Il 19 febbraio del 1946 al processo di Norimberga contro i 21 imputati nazisti, venne proiettato un documentario sovietico sui crimini compiuti nei campi di concentramento dei prigionieri. Hermann Göring non si mostrò colpito: questa è la guerra. Ma anche il cancelliere Konrad Adenauer in visita a Mosca nel 1955 tralasciò di rievocare la guerra. Quando Kruscev gli pose una domanda diretta, rimase nel vago: «È vero, avvennero molti orrori».
Solo nel 1978, lo storico Christian Streit pubblicò la sua tesi di dottorato Keine Kameraden, non erano camerati, sulle condizioni dei prigionieri sovietici nel III Reich. I nazisti fecero prigionieri cinque milioni e 700 mila militari dell’Armata Rossa, e tre milioni e 350 mila morirono di stenti, o giustiziati dai nazisti. Per un confronto, gli ebrei eliminati furono circa sei milioni. La Germania attese fino al 2015 per riconoscere la colpa, ma ai pochi superstiti non fu concesso alcun risarcimento, sia pure simbolico. Le autrici del catalogo sostengono che le atrocità compiute non furono motivate solo da questioni ideologiche, dall’odio per il bolscevismo, ma anche da valutazioni economiche del III Reich. I massacri di massa erano necessari per garantire la conquista e l’occupazione dei territori orientali dopo la vittoria. Un risarcimento ai pochi ex prigionieri ancora in vita da parte della Germania sarebbe un gesto auspicabile nei confronti della Russia di Putin. Ma si pagano le pensioni alle SS della Lettonia, arruolate dal III Reich.
Molti prigionieri morirono durante il trasporto nei campi di prigionia. I commissari politici e gli ebrei venivano fucilati. Si voleva eliminare la classe dirigente dell’Unione Sovietica. I soldati erano costretti ai lavori forzati e ricevevano razioni insufficienti. Il cibo mancava anche per i tedeschi, e dare da mangiare ai prigionieri era un «inutile spreco». Il bolscevismo era un crimine contro l’umanità, dunque era giustificato trattare i sovietici come bestie. Solo i militari italiani prigionieri in Germania venivano trattati peggio, scrive in un saggio lo storico militare Gerhard Schreiber.
Difficile fare dei calcoli esatti. Secondo alcune fonti, già nel 1941 almeno 750 mila prigionieri furono giustiziati dalla Wehrmacht. I crimini non furono commessi dalle SS, l’esercito collaborò senza opporre alcuna resistenza, e aveva il controllo dei campi di prigionia. Dopo la sconfitta, nel 1945, si trovavano ancora nei lager circa un milione e mezzo di prigionieri, liberati dagli alleati.
I superstiti vennero rimpatriati a scaglioni, ma in patria non furono ben accolti. Per Stalin erano dei vigliacchi, che si erano arresi senza combattere, e dei traditori. Furono controllati uno a uno dagli agenti del servizio segreto, spediti in battaglioni di punizione, e circa 250 mila furono condannati a pene fino a sei anni di lavori forzati. Solo nel 1995 i prigionieri di guerra vennero riabilitati.