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 2021  ottobre 02 Sabato calendario

Orsi & tori

Nonostante lo conosca bene da più decadi, non saprei dire con sicurezza se Mario Draghi preferisca andare al Quirinale o restare a Palazzo Chigi o verso altri lidi dove la sua superiore professionalità può farlo andare. So però che l’Italia ha bisogno assoluto che Draghi resti a capo del governo almeno fino al 2023. Ha destato attenzione l’uscita del ministro Giancarlo Giorgetti, un amico di Draghi, che in una intervista a La Stampa ha lanciato al Quirinale il presidente del consiglio. Non ci credo che Giorgetti, il più capace della Lega, non sappia quanto Draghi sia utile all’Italia con poteri esecutivi piuttosto che con funzioni di garanzia, quali sono essenzialmente le funzioni del capo dello stato italiano, limitato (si fa per dire) a essere garante dalla Costituzione e del suo testo, in seguito alla reazione comprensibile dei costituenti dopo i trascorsi dittatoriali del ventennio.
La mia personale convinzione è che Giorgetti abbia voluto lanciare, come si dice, un ballon d’essai per far venire allo scoperto quelli che veramente vorrebbero Draghi in un ruolo di garante. Di garante, per poi riprendersi il governo con figure magari più che rispettabili ma neppure lontanamente paragonabili a lui in termini di competenza, determinazione, abilità di manovra, credibilità internazionale, tutte qualità acquisite nelle funzioni di docente, di direttore generale del Tesoro, vice presidente di Goldman Sachs, ex-governatore della Banca d’Italia (il primo a essere eletto dal Parlamento, dopo la riforma seguita alle dimissioni di Antonio Fazio) ed ex-presidente della Bce con il favore, anche se non formale per mancanza di titolo, della Federal Reserve americana. La quale Fed, del resto, prima della Bce ne aveva favorito la nomina a Presidente del Financial stability forum, il consesso per cercare di far ripartire il mondo occidentale dopo l’interminabile crisi economica e finanziaria seguita per anni al crack della Lehman.

La presidenza del professor Sergio Mattarella è stata ineccepibile e, nei limiti della Costituzione, ricca di azione positiva non solo nel momento nel quale ha esercitato, proprio per la Costituzione, il potere maggiore, quello di dare il mandato al presidente del consiglio incaricato di formare il governo. Quindi un Presidente eccellente, rispettoso della Costituzione come pochi altri, schivo, umano, sempre misurato. Ma la scelta del candidato presidente del consiglio non può non avvenire in relazione alle posizioni dei partiti, alla maggioranza che si compone. E se si compone una maggioranza, la scelta di mandare il governo alle Camere è di fatto obbligata, anche con presidenti del consiglio, come è successo con il primo governo 5Stelle-Lega, senza esperienza politica e con una maggioranza composta da idee e progetti politici opposti. Il potere più forte del Presidente della Repubblica è di poter sciogliere le Camere e determinare le nuove elezioni se non si riesce a formare un governo politico, ripiegando su un governo di transizione per gestire, in genere con tecnici, le elezioni stesse, oppure lasciando in carica per l’ordinanza amministrazione il governo che non ha più la maggioranza.
Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale anche quando le forze politiche sono in guerra e il Presidente Mattarella ha interpretato questo ruolo benissimo come pochi. Sempre.
A volere Mattarella presidente della Repubblica fu Matteo Renzi, allora all’apice del consenso. L’ex-sindaco di Firenze, vale la pena di ricordarlo, aveva concluso con Silvio Berlusconi il patto del Nazareno, che avrebbe potuto portare all’approvazione del referendum per la riforma della Costituzione su cui vi era sostanziale accordo fra la maggioranza al governo e Forza Italia all’opposizione. Doveva essere eletto il nuovo presidente della Repubblica in seguito alla decisione di Giorgio Napolitano di dimettersi dal secondo mandato il 31 dicembre 2015 per le difficoltà legate all’età. Nell’ambito del patto del Nazareno, Berlusconi insisteva per l’elezione a nuovo presidente della Repubblica di Giuliano Amato, “il dottor sottile” per la sua intelligenza, in quel momento giudice costituzionale dopo la lunga carriera politica nel Psi, fino a essere per due volte presidente del Consiglio. Berlusconi lo sosteneva, dicono i bene informati, perché Amato avrebbe potuto concedere la grazia a Marcello Dell’Utri. Renzi si convinse che il “dottor sottile” al Quirinale sarebbe stato per lui ingombrante. E dopo una consultazione con tutti i partiti a eccezione del Movimento 5Stelle, decise di non accettare la richiesta di Berlusconi per Amato e di puntare invece per un uomo con le sue stesse radici, la sinistra Dc. Per caso seppi fra i primi la notizia perché sotto casa mia, in strada. incontrai Marco Carrai, l’amico più sicuro di Renzi, che ha l’ufficio milanese nel palazzo accanto. Era al telefono con Renzi, che gli stava anticipando la decisione sua e del Pd di votare Mattarella alla quarta votazione. Finita la telefonata, Carrai me ne spiegò le ragioni.
Insieme ad alcuni errori compiuti da un cavallo di razza come Renzi, quella fu una scelta ottima, che tuttavia Renzi ha pagato cara, perché ruppe il patto con Berlusconi e Forza Italia, i quali non sostennero il successivo Referendum, con le conseguenti sue dimissioni da presidente del consiglio, peraltro senza seguire la prassi costituzionale, cioè senza andare come primo atto a rimettere il mandato nelle mani di Mattarella. Il quale Mattarella molto probabilmente lo avrebbe rimandato alle Camere. Renzi invece scelse la strada di dare le dimissioni in televisione, mentre la moglie Agnese piangeva. Voleva dimostrare che da sconfitto manteneva la parola di lasciare il governo, come dovrebbero fare i perdenti. Fu un grave errore, non solo per lui ma anche per l’Italia, perché il Referendum sulla riforma della Costituzione, fra l’altro del titolo V, era molto importante per la modernizzazione della vita politica italiana. Renzi sbagliò a non seguire la prassi, recandosi prima di tutto al Quirinale, ma certamente aveva scelto bene facendo eleggere Mattarella.
Mattarella oltre che un uomo e un politico di altissimo livello è anche professore di diritto costituzionale e chi per mesi ha sostenuto che avrebbe dovuto dichiararsi disponibile a un secondo, parziale mandato, per rimanere in tandem con Draghi capo del governo, non capisce niente della levatura di costituzionalista e di ottimo presidente della Repubblica di Mattarella. Quando mai chi conosce la Costituzione e il ruolo del presidente della Repubblica potrebbe permettersi di mandare un messaggio di disponibilità al parlamento e per di più per un mandato temporalmente parziale, influenzandone la scelta? Figuriamoci se lo farebbe mai Mattarella, che non è Napolitano.
Non c’è dubbio, tuttavia, che la rielezione di Mattarella consentirebbe a Draghi di arrivare alla fine della legislatura, cioè di governare fino al 2023 e quindi di dare un contributo decisivo al rilancio dell’Italia. Poi, potrebbe essere eletto Presidente della Repubblica, a un’età di quasi 77 anni.
Chi può pensare e sostenere che l’accoppiata Mattarella-Draghi per altri due anni non sia la migliore scelta per il paese? Ma a boicottare sono proprio quelli che pretenderebbero la dichiarazione di disponibilità di Mattarella a una riconferma, per di più con la pianificazione dichiarata di un mandato di soli due anni. Mattarella non si pronuncerebbe in questi termini neppure sotto tortura. Ma se il parlamento lo dovesse rieleggere, non vi è dubbio che sarà la sua sensibilità a suggerirgli di lasciare il posto a Draghi poco prima della fine della legislatura, ben sapendo che quei due anni di Draghi ancora capo dell’esecutivo sarebbero molto utili all’Italia. E altrettanto utile sarebbe, allora, il passaggio di Draghi al Quirinale.
Naturalmente, non vi è nessuna certezza che tutto ciò possa avvenire, se solo si considera che coloro che vogliono autenticamente Draghi subito al Quirinale lo fanno per poi disputarsi la guida del governo. Non sono pochi, fra i partiti e i singoli politici, quelli che coltivano questo scenario e quindi bene ha fatto Giorgetti a lanciare il ballon d’essai, a cui si è accodato con apparente entusiasmo il ministro forzista della pubblica amministrazione, Renato Brunetta, uno che sa bene, come Giorgetti, che per dare una vera svolta Draghi deve governare per altri due anni, tutti quelli disponibili della legislatura, invece di andare o meglio di essere spedito al Quirinale per fare soprattutto il garante, anche se potrebbe comunque avere peso politico ma non pratico in Europa.
Si comprende, quindi, perché nella conferenza stampa di mercoledì 29 Draghi abbia risposto con un tono per lui inconsueto di fastidio quando gli è stato chiesto se andrebbe volentieri al Quirinale: “È abbastanza offensivo nei confronti del presidente della Repubblica in carica cominciare a pensare in questo modo; è il Parlamento che decide della vita e dell’orizzonte, di questo governo…”. Insomma, oltre al rispetto per Mattarella la risposta è chiara: lasciatemi lavorare, finché il Parlamento vorrà che il mio governo governi.
Ma l’eccentrico nuovo direttore de Il Giornale, Augusto Minzolini, sempre a caccia di scoop anche dopo l’arrivo al vertice del quotidiano, è andato oltre e ha riferito che Draghi avrebbe detto la frase che segue rivolto al presidente Mattarella: “Se resti tu, resto anch’io”. Forse Minzolini ha letto nel pensiero di Draghi, ma non vi è dubbio che questa sarebbe la migliore soluzione per il paese. Replicando quanto è già avvenuto due volte per ex-governatori della Banca d’Italia. Il primo fu Luigi Einaudi, che da governatore, senza lasciare la carica, fu vicepresidente del consiglio e dal ’48 al ’55 primo presidente eletto della Repubblica. Quindi Carlo Azeglio Ciampi, prima governatore, poi presidente del consiglio e successivamente ministro del tesoro per poi essere eletto presidente della Repubblica dal 1999 al 2006.
Non vi è dubbio che Bankitalia, anche con Draghi, è stata la riserva per la selezione degli uomini da far salire ai vertici del governo e dello stato, fra i migliori che il paese abbia avuto. Ma nessuno ha avuto il cursus honorum di Draghi: come abbiamo visto, da professore e consigliere esecutivo della Banca Mondiale, a direttore generale del Tesoro, a vicepresidente della grande banca privata Goldman Sachs, a governatore della Banca d’Italia, a presidente, decisivo per la ripresa dell’economia europea, della Bce. E ora capo del governo.
Se toccasse agli italiani decidere direttamente, non vi è dubbio che sceglierebbero la rielezione di Mattarella e la permanenza a Palazzo Chigi di Draghi, con “inusuale staffetta”, certi dalla libertà di pensiero di Mattarella di dimettersi al momento giusto. Del resto, dicendo che non desidera essere rieletto (e da costituzionalista vero, abbiamo visto, non potrebbe dire altro), Mattarella ha aggiunto che si sente stanco. Stanco per i sette anni, ma per il bene del paese, se i partiti lo capiranno, due anni, sono sicuro che sia disponibile a farli. Per l’amore autentico che Mattarella ha per l’Italia, un sacrificio non lo rifiuterà se non si pretende che si pronunci prima, venendo meno al suo sapere di diritto costituzionale. Questo è un punto chiave da non dimenticare.
Specialmente quando c’è da concludere un’opera, attraverso il Pnrr, che dà la possibilità di far recuperare all’Italia quello che ha perso negli ultimi 20 anni. Qui non si fa il tifo, qui si analizzano il merito e le capacità di due uomini che insieme formano un’accoppiata unica di moralità e di competenza. C’è solo da augurarsi che prevalga il buon senso e l’interesse dell’Italia piuttosto che l’interesse equivoco che alberga, più o meno, in tutti i partiti.
A elezioni avvenute, in Germania cosa darebbero per avere un’accoppiata come Mattarella-Draghi?
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È davvero stupefacente la sequela di colpi fra i due schieramenti in Generali in Mediobanca. Del Vecchio-Caltagirone si rafforzano in Generali e il management di Mediobanca sposta il confronto nella banca fondata da Enrico Cuccia, che sale fino al 14 e più per cento in Generali. Il duo Del Vecchio-Caltagirone fa capire che il loro pacchetto potrebbe salire significativamente con l’aggiunta di quello dei Benetton. Ma Benetton allora esce dal Patto di consultazione in Mediobanca, comunicando che lo fa per essere neutrale. Ecco allora che tre imprenditori medio-grandi come la famiglia Monge (mangimi per cani e gatti), Gavio di Tortona (autostrade e non solo) e Lucchini (una volta fra i primi dell’acciaio), con un totale di quasi il 3% decidono di entrare nel patto di consultazione. E poi alla porta, con possibilità di crescere, c’è Unipol con al vertice Carlo Cimbri che deve molto a Mediobanca e specificamente ad Alberto Nagel; ma anche Diego Della Valle, e Roberto Bertazzoni (frigoriferi super e non solo) possono essere pronti a fare un passo verso Nagel. Sembra un gioco del Monopoli:”…i giocatori spostano a turno sul tabellone la propria pedina in base al risultato dei dadi, acquistando proprietà terriere per costruire a pagamento, case ed alberghi e incassando la rendita dei giocatori la cui pedina si ferma su una propria casella. Lo scopo è restare l’ultimo giocatore in gioco mandando in fallimento tutti gli altri”. Leonardo Del Vecchio non è solo occhiali, ma anche palazzi con Covivio, che infatti sta vincendo su Generali per gli immobili di A2A; Franco Caltagirone è, anche se non solo, il re incontrastato, e per questo più nobile, dei palazzinari romani…