la Repubblica, 2 ottobre 2021
I colossi del tabacco abbandonano le piste
Barry Sheene saliva sempre sul podio accendendosene una. Renzo Pasolini prima del via fumava come un turco. Marco Lucchinelli s’era fatto fare addirittura un buco nel casco, per un paio di boccate alla partenza. E in Formula Uno lo stesso: da Juan Manuel Fangio con un Avana, alla cicca che penzolava dal labbro di James Hunt. Sigarette e motori. Le industrie del tabacco hanno investito per più di mezzo secolo in Formula Uno, MotoGP e rally. Nel 2006, il bando ufficiale alla pubblicità delle sigarette nel motorsport. Ma alcuni colossi del settore, come Philip Morris e British American Tobacco, sono rimasti nel paddock, contribuendo con più di un centinaio di milioni di euro all’anno ai bilanci delle aziende in pista. Hanno continuato a sponsorizzare in maniera più o meno esplicita i propri prodotti, negli ultimi tempi quelli elettronici. Ora però sembra proprio finita.
Philip Morris nelle moto non ha rinnovato il contratto con Ducati, ed è da febbraio che deve firmare con la Ferrari in F1. Il 20 agosto il nostro Ministero della Salute ha scritto a Ducati, Ferrari e McLaren: una lettera riservata, sottoscritta dal Direttore Generale per la Prevenzione Giovanni Rezza, con cui si pretende «massima attenzione e sensibilità» al tema dei danni provocati dal tabacco e dai suoi derivati. Sottolineando che le vittime più fragili sono i giovani, destinatari delle campagne di PM e BAT. Seguendo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Rezza ha vivamente suggerito alle tre grandi case di comportarsi di conseguenza rispetto alle sponsorizzazioni più o meno evidenti di prodotti come quelli elettronici. Era cominciato tutto nel 1968 con le Lotus di Graham Hill e Jackie Oliver colorate del rosso-oro della marca Gold Leaf. Al rosso Marlboro ad un certo punto avevamo aggiunto il codice a barre sulle carene e i caschi di Ferrari e piloti. Nel motomondiale? Valentino griffato Gauloises con la Yamaha, Rothmans sulla Honda di Lawson e Spencer, Lucky Strike sulla Suzuki di Schwantz, ancora Marlboro sulla Yamaha di Biaggi. «E la Camel, fondamentale nella Parigi- Dakar»: secondo Carlo Pernat, da più di 40 anni nel paddock, «le aziende del tabacco sono state determinanti per la crescita del motorsport. Ma hanno anche dettato legge. Come quella volta ad Interlagos: i piloti volevano scioperare per la pista pericolosa e gli sponsor dissero: se lo fate, togliamo i soldi. Scesero tutti in pista».
Il buco nel casco non è un leggenda, parola di Marco Lucchinelli: «Ci infilavo la sigaretta accesa, due tiri prima di partire. Altri tempi», sorride lo spezzino, campione mondiale nel 1981. «Piaceva il pilota che beveva e fumava. Avevo imparato da ragazzino, quando mio zio Cesare – 93 anni – mi mandava a comprare le Alfa, ma mica un pacchetto: 4 o 5 “paglie” per volta. Salivo sul podio con la sigaretta in bocca perché mi piaceva, non per lo sponsor. Però preferivo i sigari toscani». E Barry Sheene? «Quando sono andato a trovarlo in ospedale dopo l’incidente a Silverstone, mi ha detto subito: “Fammi fumare”. Eravamo più avventurosi. Ora hanno tutti i capelli tagliati corti nello stesso modo: chissà se si divertono». Basta tabacco in pista, finisce un’era. «Si corre troppo, i soldi sono sempre meno: qualcuno dovrà rivekPer dere i suoi piani».