la Repubblica, 2 ottobre 2021
Catalogo dei neonazisti a Milano
Da Cuore Nero – una specie di centro sociale di estrema destra chiuso nel 2010 – ai locali alla moda di Brera. Dalle foto con i rampolli delle famiglie calabresi che gestiscono lo spaccio di droga a Quarto Oggiaro all’inseguimento di un seggio in parlamento. Passando dai patti con i capi ultrà di Inter e Milan e dai saluti romani del Comitato Sergio Ramelli: i camerati che, ogni 29 aprile, ricordano con il “presente” e le braccia tese lo studente del Fronte della Gioventù ucciso nel 1975 da un gruppo di Avanguardia operaia.
In quattordici anni la “brigata nera” è rimasta sempre lì: conservando le posizioni. E guadagnandone di nuove. All’epoca c’era ancora An, poi la fase della Destra di Storace, poi Fratelli d’Italia. Il barone nero Roberto Jonghi Lavarini ieri come oggi, e così il più presentabile (fino agli “Heil Hitler” della cena filmata da Fanpage; ora lo è molto meno) Carlo Fidanza. Amico, ex ultrà interista passato al doppiopetto e ai lustri del parlamento europeo, di rito meloniano. La “brigata” in tutto questo tempo si è mantenuta e ha figliato. «È semplice: dovete dire a più gente possibile di mettere la croce qui e basta». Le istruzioni per il voto – nella coalizione che sostiene il candidato con la pistola Luca Bernardo – sono arrivate qualche sera fa insieme agli spritz e le tartine da una donna del gruppo immortalato nell’inchiesta su FdI andata in onda a PiazzaPulita. Era lunedì 27 settembre – cinque giorni dopo la cena del 22. Parte della comitiva si era data appuntamento per un aperitivo elettorale rinforzato nel dehor di un locale nell’elegante piazza del Carmine. Assenti Fidanza e Lavarini, c’erano i “giovani”: Federico Sagramoso, Monica d’Alessio, Chiara Valcepina e Annalisa Pini. Lì le braccia sono rimaste appoggiate ai tavolini, e niente “boia chi molla”, nè show, né provocazioni, nessun riferimento agli ebrei o al “black” inteso in senso finanziario.
Chissà se e quanto ne sanno, loro, la seconda generazione, del prima. Di quando un incendio doloso nel 2007 distrusse la sede di Cuore Nero in zona Certosa: era tutto pronto per la nascita di una base “comunitaria”, un circolo in grado di aggregare le diverse anime della destra radicale milanese. L’idea era venuta a Jonghi Lavarini, ex presidente di Zona 3, già dirigente di An (terzo dei non eletti, all’epoca, a Palazzo Marino), e all’ex capo ultrà della curva nord dell’Inter Alessandro Todisco, detto “Todo”, già leader italiano dei violenti Hammerskin, una formazione nata negli Usa da una scissione del Ku Klux Klan.Che accoppiata: un broker immobiliare di buona famiglia forse nobile («sono figlio di Cesare Jonghi Lavarini dei baroni di Ornavass»), sostenitore delle “destre germaniche”, del partito boero sudafricano pro-apartheid e orgoglioso appartenente alla Fondazione Augusto Pinochet; e un teppista da stadio, pregiudicato (un anno e sei mesi per odio razziale e partecipazione a struttura clandestina), un tempo violentissimo come il fratello Franco quando era leader degli Irriducibili e proprietario della linea di abbigliamento curvaiola “Calci&Pugni”.
Ma Lavarini non è uno che si formalizza, anzi. Condannato anche lui a due anni per apologia di fascismo («sono fiero di avere insegnato ai miei figli il saluto romano fin da piccoli»), fecero il giro del web le sue foto in compagnia di Salvatore Di Giovine, detto “zio Salva”, della nota famiglia calabrese implicata nel traffico di droga. E poi Ciccio Crisafulli, erede del boss mafioso Biagio “Dentino” Crisafulli. Camerata dichiarato, il rampollo Crisafulli frequentava Cuore Nero come il cugino James: a lui fu dedicata la maglietta “Quarto Oggiaro stile di vita” prodotta dalla “Calci&Pugni” di Todisco.
A fare da cerniera tra le teste rasate e la destra-destra milanese di palazzo era sempre lui: il “barone nero”. Rapporti di lunga data con Lino Guaglianone, ex tesoriere dei Nar, che infatti di Cuore nero è stato sponsor. Il pezzo da novanta e il terminale politico di “Joghi” – come lo chiamano i maligni – e della “brigata”, a un certo punto diventa Carlo Fidanza. L’“onorevole”. Tra gli ex An più vicini all’ultradestra insieme a Paola Frassinetti. Fidanza è quello che Lavarini avrebbe voluto diventare. Ma i tentativi di entrare nel palazzo al “barone” sono sempre andati male. L’ultimo: nel 2018, alla Camera con FdI, off course. Due anni dopo, la condanna per apologia del fascismo. Prima e in mezzo a questa parabola ci sono due appuntamenti che hanno segnato l’ultima stagione “di gloria” della neofascisteria milanese. I mille saluti romani del 29 aprile 2017 al campo 10 del cimitero maggiore per i morti della Rsi (beffando il divieto della prefettura). E il corteo del 29 aprile 2019 per Sergio Ramelli. Anche qui le autorità avevano imposto lo stop: ma i camerati del “Comitato Ramelli” sfidarono lo Stato. Incidenti con le forze dell’ordine, denunciati. In piazza, ex picchiatori, ultrà e parlamentari. Il finale? Il solito: saluti romani e il “presente” fascista. Poi la “brigata nera” si è messa a pensare alle elezioni. Le europee, un mese dopo, e le amministrative di domani a Milano.