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 2021  ottobre 02 Sabato calendario

L’inchiesta di Fanpage che inguaia Fratelli d’Italia

Un giro di finanziamenti in nero per pagare la campagna elettorale su Milano di Fratelli d’Italia, saluti romani, battute sugli ebrei e sui «ne*ri», riferimenti ad Adolf Hitler e sberleffi verso Paolo Berizzi, il giornalista di Repubblica sotto scorta per le minacce ricevute dai neofascisti. La prima puntata di un’inchiesta video di Fanpage, andata in onda anche su Piazzapulita, coinvolge il partito di Giorgia Meloni e direttamente uno dei suoi esponenti più in vista, l’europarlamentare Carlo Fidanza. Ovvero colui che, a un cronista sotto copertura, propone di pagare «in black» alcune spese di una candidata. L’uomo che fa da collegamento tra Fdi e la destra più nostalgica nel capoluogo lombardo è Roberto Jonghi Lavarini, conosciuto come il “Barone nero”, soprannome ripreso da Julius Evola. Una vicenda che mette in grande imbarazzo quello che è – secondo i sondaggi – il primo partito italiano. Fidanza ha annunciato di essersi autosospeso da Fdi. Mentre Giorgia Meloni assicura che «nel nostro movimento non c’è spazio per atteggiamenti ambigui sull’antisemitismo e sul razzismo, per il paranazismo da operetta o per rapporti con ambienti dai quali siamo distanti anni luce, né per atteggiamenti opachi sul piano dell’onestà». Però prima di prendere decisione chiede a Fanpage l’intero girato dell’inchiesta, cioè 100 ore di filmato.
Secondo la presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, «non può esserci spazio nei partiti dell’arco costituzionale per chi fa il saluto romano, inneggia a Hitler e insulta neri e ebrei. Nell’Italia che promulgò le leggi razziste, come le ha definite giustamente Draghi, non ci possono essere ambiguità su questo». Il Comitato di redazione e la direzione di Repubblica inoltre esprimono solidarietà a Berizzi.
Dopodiché uno dei protagonisti, Jonghi Lavarini, si dice convinto che quelle riprese siano state «solo battute, millanterie e goliardate da bar. È un chiaro attacco politico alla destra e al centrodestra, a due giorni dal voto». Bisognerà vedere se la Procura di Milano la penserà allo stesso modo. Infatti le immagini aprono un doppio scenario per gli investigatori. Da una parte ci sono le ipotesi di reati economici, ovvero il finanziamento illecito e il riciclaggio. Un contesto messo in luce da diversi passaggi del video, registrati con la telecamera nascosta. In uno di questi Fidanza, convinto di parlare a un finanziatore del partito ma invece rivolto al giornalista di Fanpage, fa, come detto, riferimento a pagamenti «black» per la campagna elettorale. Jonghi Lavarini, sempre davanti alla telecamera nascosta, spiega di avere «una serie di lavatrici» per il finanziamento, mezzi che sostiene di avere usato più volte. Stabilire cosa ci sia di vero dietro a queste parole e che significato possano avere, sarà compito dei militari del Nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza milanese, con il coordinamento del sostituto procuratore Giovanni Polizzi. Un compito non facile, perché gli investigatori dovranno provare a ricostruire i passaggi di denaro e soprattutto trovare documentazione a supporto di quella che al momento è solo un’ipotesi. Le attività, i contatti e le relazioni di Jonghi Lavarini sono ampie, non riguardano solo l’estrema destra in senso classico ma anche il mondo religioso (la Chiesa Ortodossa) e un network russofono e tradizionalista denominato Aristocrazia Europea, popolato da nobili e militari. L’altro scenario che emerge dalle immagini è quello che riguarda le ipotesi di reato di apologia del fascismo e di propaganda di idee fondate sull’odio razziale. Le braccia tese, le battute sugli immigrati e le frasi fasciste registrate sembrano dare elementi solidi per l’accusa. Di questa parte delle indagini se ne occuperà il pm Piero Basilone, esperto in materia di terrorismo e di eversione. Il primo passo che verrà fatto dalla procura sarà l’acquisizione dell’integrale delle immagini. «Il nostro è stato un lungo lavoro di studio e fatica per guadagnarsi la fiducia di quell’ambiente – dice Salvatore Garzillo, uno dei giornalisti che hanno realizzato l’inchiesta – altrimenti partecipare agli eventi che abbiamo ripreso sarebbe stato impossibile. In questi tre anni ho dovuto anche continuare la mia vita come nulla fosse: soltanto due persone sapevano quello che stavo facendo».