Il Messaggero, 2 ottobre 2021
Biografia di Mahatma Gandhi
Oggi tutti gli uomini di buona volontà ricordano la nascita del Mahatma Gandhi, padre della indipendenza indiana e simbolo della protesta non violenta. Per ironia della sorte, morì vittima di un attentato, e il colpevole fu condannato a morte da quella giustizia che lui aveva tanto contestato. Non fu il primo né sarà l’ultimo dei paradossi di quella che in filosofia si chiama eterogenesi dei fini.
LE ORIGINI
Era nato il 2 ottobre 1869 a Porbandar, da una benestante famiglia indù. A 13 anni fu fatto maritare con una coetanea, secondo l’usanza locale. Oggi in Italia (e nella cultura occidentale) questa sarebbe un’esecrabile pedofilia, il che dimostra la volatile relatività della morale e dei costumi. A diciotto andò a Londra a studiare Giurisprudenza, visse e si vestì da buon borghese e cominciò a interessarsi di teosofia. Dopo la laurea tornò in patria ed esercitò senza troppo successo l’attività forense: aveva difficoltà a capire e ancor più a parlare quella la lingua così diversa.
Forse anche per questo fu mandato in Sudafrica a patrocinare alcune cause. Lì conobbe un certo successo ma anche le ingiustizie dell’apartheid, e ne trasse la conclusione che il mondo necessitava di una rivoluzione morale profonda. Fu così che elaborò progressivamente la teoria della pacifica disubbidienza civile. Tornò in India convinto che le libertà britanniche potessero essere estese ai trecento e passa milioni dei suoi connazionali, ma fu deluso dalla severità degli occupanti e dalla ferocia degli occupati. I primi, durante i disordini del Punjab, massacrarono nel 1919 un migliaio di civili; i secondi tre anni dopo arsero vivi a Cahun Chaura 22 poliziotti. Gandhi fu arrestato come ispiratore e sobillatore. Si dichiarò colpevole, malgrado fosse estraneo ai fatti, perché ammise di non aver considerato la possibilità di una cattiva interpretazione delle sue prediche. Chiese per sé il massimo della pena. Il giudice lo elogiò per la sua coerenza ed integrità morale, e gli inflisse sei anni.
L’OPERAZIONE
Gandhi accetto riverente, programmò quel periodo di detenzione per studiare le lingue e la letteratura, ma fu interrotto due anni dopo da un’appendicite. Fu operato con le tecniche occidentali che disapprovava, ma che gli salvarono la vita. Ritornò a protestare più convinto di prima, e da quel momento fu un viavai dalle carceri. Imputando, come Rousseau, la corruzione dell’uomo alla civilizzazione, aggravata dalla rivoluzione industriale, si vestiva del solo khaddar, un rozzo panno tessuto a mano, si nutriva di frutta e noci e digiunava per settimane. Come Tolstoi, suggerì di limitare i rapporti sessuali alla riproduzione volontaria, e di ridurre anche questa per evitare la sovrappopolazione dell’India. Soltanto gli anacoreti della Tebaide avevano condotto una vita più ascetica e rigorosa.
Così per quindici anni fu il capo spirituale di una folla sempre crescente. La sua immagine divenne un’icona: le magre gambe incrociate, le piante dei piedi rivolte verso l’alto, le mani occupate all’aspo, il volto assorto in una meditazione dalla quale si destava solo per invitare alla fratellanza, all’indipendenza e alla pace.
L’AUTOREVOLEZZA
Il governo inglese alternò il bastone alla carota, ma alla fine dovette cedere. Nel febbraio del 1931 Gandhi iniziò a Delhi il primo degli otto colloqui con Edward Irwin, il viceré delle Indie. Fu il primo riconoscimento ufficiale del ruolo e dell’autorevolezza del Mahatma, e questo indignò i conservatori. Con la sua consueta rude schiettezza Winston Churchill ringhiò: «È allarmante e anche nauseante vedere Mr Gandhi, un mezzo avvocato sedizioso, posare ora come un fachiro e poi salire mezzo nudo i gradini del palazzo del viceré, mentre sta organizzando una campagna di disobbedienza civile». Il grande statista aveva sbagliato bersaglio, perché il fascino di Rudyard Kipling e la convinzione della missione universale del British Empire stavano svanendo tra i sudditi di sua Maestà.
Dopo otto lunghi colloqui fu firmato il patto di Delhi: Londra liberava i prigionieri politici e riconosceva agli indiani una serie di benefici economici. Naturalmente era solo un inizio. Negli anni successivi l’influenza di Gandhi aumentò come il numero dei suoi arresti. Allo scoppio della seconda guerra mondiale il suo pacifismo come quello di Einstein vacillò davanti agli orrori di Hitler. Ma mentre lo scienziato suggeriva a Roosevelt di costruire la bomba atomica il venerabile santone mantenne la sua coerenza, e fu di nuovo incarcerato. L’India mandò varie divisioni a supporto degli Alleati, e in cambio la Gran Bretagna promise, e nel 1947 concesse, l’indipendenza.
Non fu un’impresa facile. Quell’immenso territorio era in parte abitato da musulmani, per i quali fu creato il Pakistan. Ma i due gruppi religiosi si detestavano e iniziarono a combattersi. Gandhi predicò la conciliazione, e sostenne il diritto al Pakistan a un risarcimento. Per questa sua politica, giudicata troppo arrendevole, il 30 gennaio 1948 Nathuram Gotse, un estremista indù, lo fulminò con tre colpi di pistola. Malgrado le proteste dei seguaci della vittima, l’assassino fu processato, condannato e impiccato.
IL DISINTERESSE
Gandhi era ormai diventato un mito, e giustamente si disse che l’India non aveva mai tanto venerato un uomo dai tempi di Buddha. Né dai tempi di Francesco d’Assisi, una vita era stata così contrassegnata dalla gentilezza, dal disinteresse, dalla semplicità d’animo e dal perdono del nemico. Per la prima volta, il mondo assistette a una rivoluzione guidata da un santo.
Ma Gandhi, anche nel suo Paese, fu un’eccezione. La maggioranza della popolazione non era né tollerante né mite. Nel conflitto eterno con gli islamici gli indù si sarebbero mostrati violenti massacratori come i seguaci di Maometto nei loro confronti. India e Pakistan sono stati i primi (con Israele) a rompere il monopolio delle grandi potenze nel possesso dell’arma nucleare, e oggi entrambe le nazioni sono in grado di distruggersi a vicenda con un botto solo. Non bisogna farsi illusioni sulla natura umana.
IL COLONIALISMO
È vero però che Gandhi seppe, con estrema intelligenza e sacrificio, interpretare lo Zeitgeist dell’epoca. Come tutti gli Imperi, anche quello britannico nel momento della sua massima espansione cominciò a declinare, mentre l’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti, guardava con sospetto e ostilità al perdurare del colonialismo. Fu in questo clima di mutamento culturale che Gandhi intuì la possibilità di un’indipendenza senza una guerra. Non occorreva combattere, perché gli inglesi chiedevano solo di andarsene. Dovettero anzi ritardare la partenza perché il nuovo governo indiano, riconoscendo la propria impreparazione, chiese a Lord Mountbatten, ultimo governatore, di rimanere dieci mesi in più.