Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  ottobre 01 Venerdì calendario

Fabio Cannavaro racconta la sua Cina

Il sorriso di Fabio Cannavaro è aperto, rassicurante. Non ostenta, è realmente felice. Guarda il mare della sua città, Napoli, e sembra abbia voglia di riconciliarsi con un mondo che per troppi anni, quasi sei, non gli è appartenuto. La Cina non è stata solo una parentesi, ma un’altra vita. Una cultura nuova. Un mondo che gli ha aperto orizzonti, ma che in fondo non ha mai sentito proprio. Alla fine, ha scelto. Ed è tornato a casa. Non ci tiene a fare la parte del figliol prodigo al quale vanno riaperte le porte con benevolenza: l’ex difensore della Nazionale e Pallone d’oro 2006 ricomincia da capo. Con un bagaglio importante. Calcistico, ma anche di vita. «Sono cambiato, come uomo e come allenatore».
Cannavaro, ci racconti la sua Cina.
«Un Paese che mi ha aperto la mente. Soprattutto sono cambiato io nel frattempo. L’esperienza ti aiuta a crescere, a vivere intensamente in un luogo diverso, a trarne insegnamento. E a capire anche che nella vita, a un certo punto, esistono delle priorità. Facile sacrificare la famiglia quando hai la certezza che puoi vederla di tanto in tanto ma poi la pandemia ha cambiato tutto. Ci sono stati momenti in cui gli affetti mi sono mancati in maniera asfissiante. E questo soprattutto negli ultimi due anni: il Covid ci ha insegnato delle cose e mi ha indotto a una riflessione».
Ma come l’ha vissuta ante-Covid?
«Benissimo, ho conosciuto un popolo incredibile: attivo, professionale. Attento a ogni dettaglio. Ho visto città dove tutto è gigante. Da appassionato di sport, all’inizio ho strabuzzato gli occhi davanti agli enormi impianti, ai palazzetti. Altro esempio: sciare in Cina è fantastico. E si scia anche al coperto. Ho imparato ad apprezzare la loro cucina, non solo quella cosiddetta turistica. Ho perfezionato il mio inglese. Certo, il clima non è il massimo. Ho provato un freddo che al ricordo mi dà ancora brividi. Sono stato bene, ma la terza quarantena non l’avrei sopportata».
Cosa l’ha convinta a tornare definitivamente a casa?
«Sei bolle in due anni, la più lunga di 72 giorni. Quella più corta è durata un mese. Lunghi periodi in cui all’inizio provi ad adattarti, comprendi che è l’unico sistema per fronteggiare la pandemia. Poi però sei da solo, lavori e basta. Che va anche bene, ma ho perso troppe cose, non ho seguito la crescita dei miei figli. Li ho visti due volte. Natale senza gli affetti, un banale compleanno in videochiamata compatibilmente con il fuso orario. È diventato pesante, troppo. E quindi un mese fa ho comunicato alla società, il Guangzhou, che non sarei rientrato. Mi hanno chiesto di aspettare, ripensarci. Anche lo scorso anno avevo chiesto di risolvere il contratto».
Il club vive una crisi economica significativa. Tanti giocatori sono andati via. Ha influito?
«Al Guangzhou ho lasciato 15 mesi di stipendio. I soldi non sono mai stati un problema, ci pagavano sempre in maniera puntuale. Purtroppo la sensazione di vivere in una prigione, sia pur dorata, ha fatto la differenza. Non era più tollerabile. Adesso per rientrare sarei dovuto stare quindici giorni in albergo da solo, poi sette a casa senza poter uscire e comunicando la temperatura tutti i giorni. Con la prospettiva di non poter vedere più la mia famiglia per chissà quanto altro tempo. Ho un rammarico, però».
Quale?
«Non ho salutato i giocatori. Ho lasciato una squadra che quest’anno poteva avere ambizioni. Il bilancio è comunque positivo: volevo vincere la Champions asiatica e siamo arrivati in semifinale».
Ci tornerà?
«Chissà, ma è una esperienza che porterò sempre dentro di me, personale e professionale».
E adesso?
«Voglio allenare, mettere a frutto l’esperienza fatta».
Ma a Napoli la panchina è occupata.
«E anche bene perché Spalletti sta andando alla grande. Però sognare non fa male».