La Stampa, 1 ottobre 2021
Ratti e Rota raccontano il Padiglione Italia a Dubai
Ieri notte la festa, oggi l’apertura dei cancelli per la prima Esposizione Universale dell’area Menasa (Medio Oriente, Nord Africa e Sud dell’Asia). Attesa più di tutte le altre a causa della pandemia che ha ritardato l’inaugurazione di un anno. «E anche per questo sarà la festa più grande del mondo» aveva promesso la ministra della Cultura Noura Al Kaabi, commissario del padiglione dei padroni di casa, gli Emirati Arabi. Sul palco Andrea Bocelli, poi Ellie Goulding, popstar britannica, il pianista cinese Lang Lang, il cantante emiratino Ahlam Al Shamsi. Anche nello show l’Expo di Dubai è nato come ponte tra la Vecchia Europa, l’Asia, il Medio Oriente arabo e l’Asia, dalla Cina a Singapore.
Un’Expo non solo diversa geograficamente, ma anche in quanto reduce da lezioni che lasciano il segno: la pandemia e l’emergenza climatica. Come può il Bello, vedi il David di Michelangelo realizzato in 3D a grandezza naturale (lo hanno prima scannerizzato, poi stampato in un blocco di resina fatto in 14 pezzi), raccontare la tecnologia più futuribile fatta di circolarità dei materiali ed ecosostenibilità dei progetti? Nel Padiglione Italia che ieri ha ricevuto il premio come «miglior progetto imprenditoriale dell’anno» ai Construction Innovation Awards si scioglie mirabilmente l’ossimoro: le preziose eredità culturali si esaltano dentro la capacità di visione del futuro. Il David è al centro del Teatro della Memoria che è stato costruito tra i distretti «Opportunità» e «Sostenibilità». Al Padiglione made in Italy che racconterà le grandi sfide del nostro domani – il tetto, che più immaginifico non si può, composto da tre scafi di barche a vela rovesciate, una bianca l’altra rossa e la terza verde, hanno lavorato 70 partner istituzionali, 15 Regioni, 30 Università. Il progetto è stato firmato da Carlo Ratti e Italo Rota. Sotto l’insegna «Beauty connect people» le passerelle sono rivestite con bucce d’arancia secche e chicchi di caffè frantumati. Un’installazione di alghe converte l’anidride carbonica emessa dai visitatori in ossigeno. La plastica riciclata estratta dal mare infine è intrecciata alle corde nautiche che circondano il Padiglione.
Carlo Ratti, Italo Rota, qual è la mission del Padiglione Italia?
Rota: «Anche l’architettura può contribuire a un mondo migliore. Il Padiglione è una grande installazione per sperimentare soluzioni per il domani, ibridando due mondi una volta considerati opposti: il Naturale e l’Artificiale. E la riflessione parte dal padiglione ma si può estendere ai progetti urbani di tutto il mondo».
Ratti: «L’integrazione tra naturale e artificiale è la sfida più interessante dell’architettura contemporanea. A lungo visti come due poli inconciliabili, stanno seguendo una doppia convergenza. Lo osserviamo tutti i giorni sul nostro corpo aumentato da appendici tecnologiche quali telefoni cellulari, computer, tablet o dispositivi da polso. Qualcosa di simile sta avvenendo alla scala urbana. Da un lato il mondo digitale - con le sue reti, i suoi sensori/attuatori e i suoi sistemi di intelligenza artificiale - ci permette di far sì che il mondo dell’artificiale - quello delle nostre città e dei nostri edifici, per intenderci - si comporti sempre più come un organismo vivente. Gli spazi si adattano in tempo reale alle condizioni circostanti. Dall’altro lato, le nuove tecnologie ci consentono di incorporare la natura nelle nostre città. Questo duplice processo è al centro del concetto di sostenibilità oggi - probabilmente la nostra unica via d’uscita dalla crisi ambientale dell’antropocene».
In che cosa consiste la «circolarità» del Padiglione?
Rota: «La costruzione del Padiglione si ispira allo stesso tempo ai biotipi naturali e alle tecnologie più avanzate che derivano dalla ricerca spaziale. Da un lato, l’edificio guarda all’organizzazione delle foreste tropicali, dove la luce filtra da un’alta copertura e la vita è organizzata di conseguenza. Dall’altro, un tema cruciale è la produzione di neo-materia, nuovi materiali di origine composita, organica e biologica, che consentono un approccio circolare: le neo-materie sono materiali che possono potenzialmente essere riutilizzati ovunque, con modalità e finalità diverse. Il Padiglione Italia rappresenta una sorta di architectural banking: un catalogo da cui scegliere gli elementi di architetture future, sempre nella chiave della circolarità. Temi che saranno sempre più cruciali nel futuro delle nostre città».
Ratti: «In questo progetto, l’idea della circolarità incorpora in sé diversi concetti fondamentali, come riciclo e riuso. La circolarità si applica sia alla scelta dei materiali, sia al concept stesso del Padiglione: quello di un’architettura capace di evolversi nel tempo, in modo sostenibile. Tre barche arrivano a Dubai, vengono capovolte per diventare il tetto del padiglione e, al termine dell’Expo, sono pronte a salpare verso nuove destinazioni. L’idea che gli scafi possano essere usati in modi diversi fa parte della ricerca».
Facciamo finta di entrarci.
Rota: «L’ingresso nell’edificio avviene tramite due rampe di scale mobili, le quali salgono sul dorso di una grande duna di sabbia. Mentre si entra, si può ammirare da vicino una porzione della lunga facciata del Padiglione, 70 chilometri di corde nautiche, che oscillano dolcemente, facendo entrare nell’edificio una brezza che dà sollievo. Tra le corde, si scorgono grandi festoni verdi e luminescenti: un bioreattore di alghe in miniatura, sviluppato per Eni, che ci parla di un altro modo di ricavare energia dalla materia biologica».
Rispetto all’Expo di Milano, qual è il valore aggiunto?
Ratti: «Ne citerei almeno due. Da un lato, gli Expo sono sempre tematici: Milano ha lasciato il segno con il tema del cibo. Dubai cerca di fare la stessa cosa nel campo della sostenibilità e del dialogo tra le culture. Gli Expo oggi sono piattaforme di sperimentazione: quasi una sorta di Burning Man - la città temporanea che nasce ogni anno per qualche giorno nel deserto della California - del design. Il secondo valore aggiunto: abbiamo potuto lavorare sui temi dell’innovazione con le più avanzate imprese del made in Italy».
Rota: «Il valore aggiunto è sicuramente il luogo in cui avviene: forse la città in cui è più evidente la prospettiva delle conseguenze del cambio climatico. La risposta non può che venire da un’utopia progettuale. È il quesito posto dal grande progettista americano Richard Buckminster Fuller: utopia o oblio? I progettisti devono abbracciare la dimensione dell’utopia, altrimenti sono destinati all’insignificanza».
In che modo il Padiglione Italia ha fatto tesoro della lezione della pandemia?
Rota: «L’Expo è la prova generale del mondo che riapre: una sfida per tornare insieme, ma in sicurezza, nelle nostre città. Il Padiglione dispone di avanzate tecnologie per la sanificazione dell’aria e ne fa circolare moltissima. E affronta così i due temi cruciali: il risparmio energetico e la sicurezza sanitaria post-Covid».